Per primo ne parla il procuratore antimafia Piero Grasso; un approfondimento arriva da Walter Veltroni; la conferma, definitiva e ufficiale, la firma Carlo Azeglio Ciampi, allora presidente del Consiglio e poi presidente della Repubblica: la strage di 5 persone del maggio 1993 all’Accademia dei Georgofili di Firenze e le bombe che esplosero quasi contemporaneamente a San Giorgio in Velabro e a San Giovanni in Laterano a Roma causando altri 22 feriti, furono sicuramente eseguite dalla mafia, ma videro coinvolti anche pezzi deviati dello Stato che ne disegnarono la regia.
Al di là del relativo sconcerto davanti alla conferma di connivenze tra malavita e parti deviate di istituzioni, relativo perché da sempre se ne sussurrava, ma mai lo si era detto chiaro e forte, e al di là del disagio causato dal rendersi conto che ci sono voluti 17 anni perché queste verità fossero portate a galla da persone, pur degne, che sapevano e che avrebbero dovuto parlare prima, la cosa che più lascia senza fiato è che anche questi fatti continueranno a restare avvolti dal mistero e non perché non si riuscirà a dipanare la matassa di complicità e di connivenze, ma perché non si lascerà neppure cominciare l’opera di chiarificazione.
Il Pd domanda che si vada fino in fondo alla questione, i Verdi presentano una denuncia alla Procura di Roma. E il Pdl che fa? Per bocca dell’ineffabile Fabrizio Ciccitto, dice un no netto perché, afferma, è una «caccia alle streghe» e un tentativo di «ricreare nel Paese un clima giustizialista».
Ma cercare la verità su fatti terribili che non sono opinione, ma realtà è una caccia alle streghe? Tentare di capire chi ha davvero gestito la strategia della tensione e chi ha stretto patti con Cosa Nostra è essere giustizialisti? Cercare assassini e mandanti non è una cosa che ogni Stato, anche non tanto libero e non tanto democratico, dovrebbe fare sempre?
Questa è davvero la prova che in realtà la legge contro le intercettazioni non disdegna di mettere il bavaglio alla stampa, ma che il suo scopo principale è quello di mettere le manette alla magistratura.
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