Bisogna ammetterlo: la Gelmini ha ragione quando dice che non capisce perché gli studenti protestino per difendere i “baroni” universitari. Intendo, ovviamente, che ha ragione quando dice che non capisce. Perché gli studenti salgono sui monumenti e sui tetti, scendono in strada, occupano facoltà, presidiano rettorati, dipingono cartelli di protesta, urlano slogan nei cortei non per difendere i baroni ma per contestare tutte le mille carognate che nella legge di riforma universitaria sono poste attorno a quell’unica norma che il ministro chiama in causa in ogni suo intervento.
Una norma, tra l’altro, che potrebbe anche essere approvata, ma è sicuramente debolissima, visto che si propone di abbattere il nepotismo diretto impedendo di partecipare ai concorsi di docenza a figli e parenti di docenti della medesima università, ma che non tocca né la possibilità del “posto di scambio” tra i parenti di docenti di università diverse, né quella del posto concesso all’amico proprio o di amici potenti. È una norma che rende un po’ più complicata la parentocrazia, ma non si sogna minimamente di andare a toccare l’essenza stessa dei concorsi e delle commissioni per cancellare quelle negatività che possono mettere in secondo piano la tanto sbandierata meritocrazia.
La Gelmini, curiosamente ma evidentemente, pensa davvero che gli universitari siano la parte meno intelligente del Paese se pensa di infinocchiarli presentando loro un’unica esca appetibile che galleggia in un mare di liquami, da portarsi a casa in un pacco unico, talmente velenosi che vanno a cancellare le autonomie economiche – e quindi scientifiche ed etiche – delle università. Quelle autonomie sancite dalla Costituzione.
Perché, secondo il disegno suo o di chi glielo ha dettato, appare evidente che le università dovrebbero essere costrette, per sopravvivere, a mettersi economicamente a disposizione delle industrie che così potranno indirizzare le ricerche dove meglio loro aggrada risparmiando anche le spese di laboratori scientifici interni. E le facoltà che alle industrie non interessano, che chiudano pure.
La storia insegna che è sempre da diffidare quando i re o gli imperatori dicono che i baroni vanno cancellati perché hanno troppo potere. Di solito questo succede perché vogliono andare a occupare anche quelle residue sacche di potere di cui finora non sono ancora riusciti a impadronirsi.
Ma vi sembra verosimile che davvero a Berlusconi, Gelmini, Brunetta, Bondi e compagnia interessi quella cultura che, secondo l’illuminato Tremonti, «non dà da mangiare»?
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