Ve
la ricordate la “cultura del fare”? Era quella che Berlusconi
proclamava come caratteristica sua e dei suoi dipendenti
contrapponendola alla cultura vera e propria che, a suo dire, era
prerogativa della sinistra e, quindi, causa delle disgrazie italiane e
mondiali. Era una specie di invito ad agire subito, senza pensare, anche
perché chi pensa può diventare pericoloso in quanto magari scopre
difetti nell’idea del capo, obbietta e può addirittura riuscire a
convincere altri della sua idea.
Chi
avesse pensato che la “cultura del fare” fosse rimasta sepolta dagli
innumerevoli insuccessi berlusconiani da assieme alla pulizia delle
fedina penale del suo propugnatore, deve amaramente ricredersi perché un
po’ dappertutto – anche da parte di alcuni insospettabili – si sta
inneggiando all’accordo elettorale Renzi-Berlusconi con l’unica
motivazione che “finalmente qualcosa si è mosso”.
Sono
reazioni terribili soprattutto perché dimostrano che la distruzione
sociale berlusconiana ha fatto breccia un po’ deppertutto: secondo molti
è importante fare qualcosa, non come lo si fa; non se quello che viene
fatto porta vantaggi ai cittadini e alla democrazia, oppure se li
danneggia; non se la nuova legge è ancora incostituzionale; non se tra
poco scatterà un nuovo ricorso e la Consulta sarà costretta ancora una
volta a intervenire.
Maurizio
Menegazzi mi ha segnalato una frase agghiacciante tratta dal film
“L’uomo d’acciaio” e che pare attagliarsi ottimamente all'andazzo di
questi ultimi anni: «Il fatto che tu possieda un senso morale e noi no –
afferma un figuro rivolgendosi al suo avversario – dà a noi un
vantaggio evolutivo; e se la storia ha provato qualcosa è che
l’evoluzione vince sempre». Fortunatamente non è così. Ove così fosse,
la razza umana avrebbe dovuto soccombere davanti alle tigri con i denti a
sciabola, ai mammut e a tutta una serie di belve feroci. Invece,
fortunatamente, l’intelligenza, la cura del bene comune, una scala etica
di valori hanno permesso alla nostra stirpe di sopravvivere – almeno
finora – a tutte le minacce esterne. Ci si fosse affidati soltanto alla
“cultura del fare”, della stirpe umana non resterebbe neppure il
ricordo.
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