martedì 4 febbraio 2025

La nipote di Mubarak

        Vi ricordate la nipote di Mubarak? O, meglio, il caso in cui la marocchina Karima El Mahroug, soprannominata “Ruby Rubacuori”, salì agli onori della cronaca perché Silvio Berlusconi – riassumo rozzamente – per difendersi dall’accusa di aver avuto una serie di incontri sessuali con lei quando era ancora minorenne, cercò di sottrarla alle indagini iniziali della polizia facendo affermare a una sua fedelissima che la ragazza era la nipote dell’allora Presidente dell’Egitto e che bisognava evitare un incidente diplomatico internazionale?

A tale proposito merita ricordare che Berlusconi fu poi assolto mentre furono invece condannati in via definitiva, per favoreggiamento della prostituzione, Emilio Fede, Lele Mora e Nicole Minetti. Ma ancor più doveroso è non dimenticare che la maggioranza del Parlamento, per difendere l’allora presidente del Consiglio, votò come se Berlusconi avesse avuto ragione a imbastire una bugia talmente evidente da far sogghignare l’intero mondo per come l’Italia aveva saputo mettersi in ridicolo.

Su quell’episodio sono stati versati fiumi di inchiostro, ma quella volta nessuno lo vide come un vero e proprio colpo di genio di Berlusconi che, con la compiacente complicità dei partiti che formavano la maggioranza, tra i quali erano già in posizione di rilievo Meloni, Salvini, Tajani e Lupi, è riuscito non soltanto a sdoganare la falsità, ma a indicare la strada verso quel nuovo modo di fare politica in cui la bugia è ormai assunta come regola e la verità come imprevedibile eccezione.

Da ragazzini ci sentivamo ripetere ossessivamente «Non dire mai bugie». Anzi era il comandamento, l’ottavo, che la famiglia e la società tenevano più in evidenza come base fondante dell’educazione e dell’onestà. In realtà il testo canonico dice «Non dire falsa testimonianza», ma ha un sapore un po’ troppo ufficiale, come se la verità diventasse doverosa, oltre che apprezzabile, soltanto nelle aule dei tribunali.

Oggi l’ottavo comandamento sembra essere scomparso in quella mota indistinta che ormai caratterizza una vita politica che sembra avere come unici scopi quelli di sopraffare la voce altrui di mantenersi alti nei sondaggi e di vincere le elezioni successive. E infatti dalle bugie siamo assediati e intossicati.

Esemplare è stata in questo senso la recita in forma di messaggio video da parte di Giorgia Meloni dopo che il procuratore Lo Voi aveva comunicato, com’era suo dovere, al Tribunale dei ministri che un cittadino l’aveva denunciata, unitamente a Nordio, Piantedosi e Mantovano, per la vicenda di Almasri, il torturatore, violentatore e assassino libico riportato velocemente a Tripoli con un volo di Stato.

Non era, come ha detto lei, un avviso di garanzia, ma una doverosa comunicazione che nei suoi confronti era stata presentata una denuncia. Il denunciante non era né un avvocato di sinistra, né un amico di Prodi, perché i suoi trascorsi politici si sono concretizzati nel Movimento Sociale e nell’Italia dei Valori di Di Pietro. La tempistica degli avvenimenti è stata immediatamente confutata anche dalle ridicole e contraddittorie ricostruzioni dei fatti da parte dei denunciati.

Al di là di questo episodio, di bugie, poi ne abbiamo sentite moltissime: sui migranti, sui conti pubblici, sulle necessità della giustizia, sui finanziamenti alla sanità pubblica e all’istruzione, e potrei andare avanti molto a lungo. E oggi le falsità ci arrivano anche da lontano e influenzano i nostri sovranisti tra cui fa di tutto per spiccare, come sempre, Salvini. Alle assurde sparate di Trump, un professionista del travisamento, fa eco Musk con il suo sostegno ai neonazisti che definisce «l’unica salvezza per la Germania» e con l’ultima alzata d’ingegno: «Make Europa Great Again», fai di nuovo grande l’Europa che, con tutta evidenza, significa, invece, distruggi l’Europa e fai rinascere le divisioni tra tante entità più piccole che, magari, ricominceranno a farsi la guerra. E non soltanto quella commerciale.

Però merita cercar di capire meglio perché ormai la bugia corrisponda troppe volte al successo elettorale. Fermiamoci alla nostra Italia e chiediamoci perché la disumanità contro i migranti e la vicenda di Asl Masri per il momento non sembrino togliere consensi alla Meloni e ai suoi complici.

Si potrebbe pensare che la strage di migranti annegati nel Mediterraneo, la disumanità nei confronti di quelli che si salvano, la prigionia immotivata nei CPT, i respingimenti, pur se inutili come quelli in Albania, possano benissimo attagliarsi alla mentalità dei fascisti, ma a votare per Meloni ci sono anche molte persone che, nel privato, non hanno in sé tracce di disumanità e, inoltre, il risultato elettorale ormai dipende in grandissima parte da coloro che non vanno più a votare perché non sentono il dovere di andare alle urne almeno per impedire che questi crimini si perpetuino.

Quindi, se l’attuale governo, anche se deporta poveri cristi innocenti e rimpatria con tutte le comodità delinquenti conclamati e ricercati su ordine della Corte di Giustizia Internazionale, continua a contare su sondaggi positivi, deve molta gratitudine a Berlusconi e alla sua determinazione nello sdoganare anche le bugie più ridicolmente incredibili perché a reggerlo non è soltanto la nostalgia di un mondo repellente che ha ammorbato l’Italia per un ventennio, ma anche l’ignoranza nel senso puramente etimologico del termine: non conoscenza. E la gente non sa più quello che in realtà succede perché non legge più i giornali, non ascolta i telegiornali, si lascia penetrare quasi soltanto dalla propaganda, dai social, dal deliberato e artistico diffondersi del sentito dire, mentre la cultura viene disprezzata perché inutile, mentre sarebbe fondamentale proprio per smascherare le falsità.

In queste condizioni qualunque notizia perde credibilità e allora tutto acquista una qualche plausibilità. Poi, a vincere spesso è la voglia di restarne fuori, per non sporcarsi come molti di noi hanno fatto dopo il 68 con il risultato non soltanto di macchiarci del peccato di omissione, il più grave, ma anche di lasciar sporcare il mondo che oggi è talmente lordo da poter indurre alla disperazione che nel cristianesimo è uno di quei “peccati che gridano vendetta al cospetto di Dio”.

Disperare, insomma, anche in maniera assolutamente laica, non è né lecito, né possibile e ognuno di noi deve fare qualcosa. Proviamo a cominciare con l’impegno di leggete e far leggere, come atto di resistenza civile; non violenta, ma efficacissima ed evidentemente molto temuta.

 

martedì 28 gennaio 2025

La memoria non dura solo un giorno

 

          Oggi è il 28 gennaio e sarebbe ipocrita, oltre che stupido, sentirsi a posto con la coscienza perché ieri, 27 gennaio abbiamo celebrato la Giornata della Memoria. Perché la Memoria, se c’è, non dura soltanto una giornata. E perché, se si può dedicare un giorno a ricordare le vittime, serve l’intera vita – anche se può sembrare paradossale – per ricordare i carnefici, l’aberrazione del razzismo, l’orrore dello sterminio e per individuare i germi della xenofobia e dell’eterofobia che non sono meno gravi del “razzismo”: ne sono soltanto la pericolosissima anticamera.

Tutti conoscete la realtà dei Lager nazisti. Pensateci un po’, richiamatela alla mente e poi chiudete gli occhi e portatela avanti nel tempo di ottant’anni: portatela a oggi. Dite che è impossibile perché non ci sono le camere a gas e i forni crematori? È vero: non ci sono più – almeno per quanto ci è dato di sapere – in nessuna parte del mondo. Vi sentite rassicurati? Non credo e se così fosse, sbagliereste clamorosamente perché le camere a gas e i forni crematori erano soltanto la pur orrenda apparenza: la sostanza erano le uccisioni, gli omicidi, le crudeltà, le stragi, a prescindere dai mezzi usati.

Il fatto è che noi siamo schiavi delle rigidità che istintivamente diamo alle parole e alle immagini. Per esempio, continuiamo a domandarci se quello che troppo spesso ci appare davanti sia fascismo, o meno, e continuiamo anche a lasciarci rispondere, senza indignarci profondamente, che il fascismo non può tornare perché è un relitto della storia. Eppure dovremmo sapere che il fascismo non è soltanto il saluto romano, il colore nero, le urla “Presente”: queste sono apparenza, non sostanza e l’apparenza è praticata solo dai meno furbi. Il fascismo è molto di più: è disprezzo per le altre vite umane, è insofferenza per la democrazia, è soddisfazione per l’approfondirsi delle diseguaglianze tra i ceti sociali, è il rancore, se non l’odio, per altre nazioni, altre religioni, altre lingue, altre inclinazioni sessuali, altre convinzioni politiche. Vi pare che di queste realtà sia priva l’Italia di oggi? E vi sembra sia importante il nome con cui questi figuri si autodefiniscono per distinguere se siano fascisti, o qualcos’altro?

E se pensiamo alla Shoah, che vuol dire “tempesta devastante”, e a quello che succede oggi, ritenete che la scelta tra chi deve vivere ancora per un po’ e chi deve morire subito sia tanto diversa se viene fatta non appena le persone scendono da un carro bestiame, o se dipende da chi c’è e chi non c’è in un condominio contro il quale si lancia una bomba sapendo benissimo che si faranno certamente centinaia di vittime innocenti soltanto per la presunzione di riuscire a uccidere un colpevole?

Credete che ci sia una differenza davvero sostanziale tra il programmare di uccidere tutti gli appartenenti a un gruppo umano e il decidere “soltanto” di ucciderne il più possibile? O che ci sia davvero un abisso tra i campi circondati da filo spinato e dotati di torrette con le mitragliatrici pronte per tenere prigionieri degli innocenti, e le alte e impenetrabili mura dei CPT dove sono tenuti prigionieri, nell’indifferenza praticamente generale, esseri umani che non hanno commesso alcun reato e che sono talmente imbottiti di farmaci, calmanti e droghe che, prima o dopo, in non pochi casi, passano senza scossoni dalla disperazione al suicidio?

Ha ragione Papa Francesco quando dice che «Viviamo in una terza guerra mondiale combattuta a pezzi». E nella stessa maniera stiamo assistendo anche a uno sterminio a pezzi, che non si svolge con tutte le sue possibili apparenze nel medesimo posto e nello stesso tempo, ma che in tanti posti diversi punta ad assassinare il maggior numero possibile di esseri umani. Con l’aggravante che quella volta si poteva davvero non sapere quello che stava accadendo, o, almeno, si poteva pensare di essere creduti se si diceva di non sapere. Oggi abbiamo tutto davanti ai nostri occhi e, quindi, non sapere è impossibile: possiamo solo far finta di non sapere per non doverci sentire nel fastidioso obbligo di indignarsi davvero e, quindi, di reagire.

Come si può vedere quello che ci succede attorno, anche a pochi chilometri di distanza, e non partecipare, per come si riesce, alla vita sociale e politica del proprio Paese, addirittura non andando nemmeno a votare? Come si fa a restare indifferenti mentre i simboli fascisti e nazisti tornano a fare proseliti che si accaparrano maggioranze anche davvero molto relative, ma che, nei computi democratici, sempre maggioranze restano?

Insomma: è necessario continuare a far vivere la Giornata della Memoria anche oggi, domani e nei giorni a seguire perché non è il negazionismo l’aspetto più pericoloso della questione, bensì la voglia di non parlare di quanto è accaduto. Il negazionismo è tanto lontano da una realtà storica più che abbondantemente provata, da non attrarre nessuno che non voglia già in partenza essere attratto. Più preoccupanti sono i tentativi di camuffare la storia e di riscriverla per lavare, soprattutto in politica, alcuni panni sporchi. Ma terribilmente pericoloso è il lasciar perdere, il lasciar dimenticare un po’ alla volta con il silenzio, perché – frase abusata ma non per questo meno valida – chi non ricorda i propri errori è condannato a ripeterli.

Un’esagerazione? Provate a pensare a quanti mattatoi si sono reincarnati nell’ex Jugoslavia, in Afghanistan, in decine di altri Paesi dell’Asia, dell’Africa e dell’America centrale e meridionale. Provate a pensare a Gaza che non è considerato come un Lager per le sue dimensioni, non per la sua terribile realtà; pensate a quello che Trump sta imponendo non solo sul confine con il Messico, pensate al Mediterraneo dove vengono lasciati annegare migliaia di disperati e rabbrividite. Il problema è che perché il male trionfi, basta che i cosiddetti buoni non facciano niente per ostacolarlo. E sappiamo benissimo che esiste un solo miglioramento possibile per un ghetto, o per un Lager: eliminarlo.

Insomma, bisogna essere memoria, ancor prima che fare memoria. Ed essere memoria è domandarsi: cosa avrei fatto io allora? E soprattutto, pretendendo da sé stessi una risposta sincere: cosa sto facendo, per quanto posso, oggi?  

 


venerdì 24 gennaio 2025

Avvisaglie di dittatura

        

         Vi siete mai chiesti quale sia il principale segno distintivo di ogni dittatura? Pensate alla violenza, alla crudeltà, all’impego abnorme delle forze di polizia, alla soppressione di ogni forma di democrazia reale? Ci siete vicini, ma la storia non è avara di racconti di dittature che, per almeno un periodo della loro esistenza, non abbiano evitato, o che siano riuscite a tenere ben nascoste, queste caratteristiche.

La vera e inevitabile peculiarità comune, invece, è quella che i protagonisti del regime dittatoriale, anche in fase di preparazione dell’assalto definitivo al potere, raccontano menzogne evidentissime con la convinzione di riuscire a farle passare come verità, almeno in buona parte della popolazione. Per loro, insomma diventa decisamente più importante la cosiddetta realtà virtuale che fa comodo, mentre scompare la vita reale che potrebbe indurre i sudditi a pensare e a tornare cittadini.

Prendete, come esempio palmare, il ministro degli Interni, Matteo Piantedosi, e il suo intervento in Senato sul caso del generale libico Najeem Osema Almasri Habish, oggetto di un mandato d'arresto internazionale a fini di estradizione, emesso dalla Corte penale internazionale dell’Aja perché considerato responsabile di omicidi, stragi, torture, violenze fisiche e sessuali e altre amenità del genere nei confronti dei migranti bloccati nelle carceri – ma sarebbe più giusto chiamarle Lager – della Libia.

Piantedosi ha detto, rispondendo al question time senatoriale, che Almasri è stato rilasciato «per poi essere rimpatriato a Tripoli, per urgenti ragioni di sicurezza, con mio provvedimento di espulsione, vista la pericolosità del soggetto». E mi è difficile trovare un esempio più chiaro di disprezzo dell’intelligenza dell’ascoltatore.

Per cominciare: se un attentatore islamico compie un attentato nel nostro Paese, vista la sua evidente pericolosità, Piantedosi farebbe preparare un aereo di Stato per portarlo velocemente e comodamente nel suo Paese? O riuscite forse a concepire che se, per esempio, nel 1972 fossero stati arrestati in Italia i terroristi di Settembre nero, autori della strage alle Olimpiadi di Monaco, il ministro degli interni dell’epoca avrebbe tenuto lo stesso comportamento di Piantedosi? Evidentemente no.

Qualcuno potrebbe dire che si è trattato di un’assurda alzata d’ingegno del ministro e magari potrebbe richiederne le dimissioni. Ma che senso avrebbe? Pensate davvero che Piantedosi abbia agito da solo senza consultare nessuno?

Se, visto che si trattava di mandato d’arresto internazionale e che andava a toccare patti internazionali, appunto, sottoscritti dall’Italia, non avesse avvertito il ministro degli Esteri Tajani, allora sarebbe lo stesso Tajani a sollevare un polverone contro Piantedosi. Ma invece Tajani risponde, evidentemente alterato, alle domande dei giornalisti: «L’Italia è un Paese sovrano e non è sotto scacco di nessuno». Laddove per scacco, visto che non si può interpretare in tal modo un trattato liberamente sottoscritto, è evidente il riferimento alla Libia con il sottinteso «Se non lo avessimo lasciato andare, la Libia non ci avrebbe più aiutato a bloccare l’emigrazione». E poi, indifferente con che modi li trattiene.

Per me già il concetto che un po’ di morti nelle carceri di Tripoli e migliaia di morti tra le onde del Mediterraneo possano essere considerati “utili” per disincentivare le fughe dalle guerre, dalla fame, dalle dittature, sarebbe più che sufficiente per considerare questo governo – come consideravo anche l’ex ministro Marco Minnitti – totalmente inadatto a rappresentare un Paese civile.

E vi sembra possibile che di tutto sia stata tenuta all’oscuro la presidente del Consiglio, Giorgia Meloni? E che da lei, che tutto sempre vuole controllare, non sia arrivato il necessario imprimatur alla liberazione del criminale e al suo viaggio immediato su un aereo di Stato? Lo conferma anche il rumorosissimo silenzio del ministro della Giustizia, Carlo Nordio, sempre pronto a parlare, ma in questa occasione evidentemente scavalcato da ordini superiori.

Stiamo continuamente cercando tracce di fascismo, pur evidenti, ma ci stiamo dimenticando che le dittature possono essere anche diverse nell’apparenza, ma non nella sostanza che è soprattutto quella di pretendere che i propri sudditi non vedano più la realtà, ma accettino una narrazione virtuale che nel concreto non esiste.


venerdì 3 gennaio 2025

Una lingua; anzi, due e diverse

Apparentemente sembrerebbe proprio la stessa lingua, anche se con inflessioni dialettali leggermente diverse. Ma evidentemente così non è perché quando i significati delle stesse parole, e quindi il senso delle stesse frasi, contengono concetti profondamente diversi per chi parla e per chi ascolta, allora i casi sono due: o, appunto, chi ascolta capisce poco perché la sua lingua non è uguale a quella di chi parla, oppure capisce benissimo, ma fa finta di aver capito cose profondamente diverse confidando sul fatto che altri accetteranno le sue considerazioni adulterate senza minimamente pensare di ascoltare l’intervento su cui si commenta.

 Un esempio chiarissimo ci è offerto dal discorso di fine anno del Presidente della Repubblica che ha riscosso entusiastici apprezzamenti dall’estrema destra all’estrema sinistra, cosa che dovrebbe essere assolutamente impossibile perché Sergio Mattarella in ogni suo discorso non vuole mai evitare i punti politicamente e socialmente più scabrosi, ma li affronta affermando con chiarezza, ma senza toni aspri, le proprie convinzioni.

Gli esempi sono tanti, ma credo ne basti uno per capire il fenomeno. Mi riferisco all’uso della parola “patriottismo” che ha fatto dire a Giorgia Meloni di aver «apprezzato il richiamo del Presidente al valore fondante del patriottismo, come motore dell’azione quotidiana e sentimento vivo che muove l’impegno di quanti sono al servizio della cosa pubblica e della comunità nazionale». Mentre Elly Schlein ha apprezzato il fatto che “Il Presidente ci ha ricordato quanto sia urgente costruire un Paese più giusto, solidale e attento ai bisogni di tutte e tutti. Le sue parole sulla pace, sulle diseguaglianze, sull’emergenza climatica, sulla precarietà, sono un richiamo potente alla responsabilità collettiva».

E allora rileggiamo il passo che Sergio Mattarella dedica al concetto di patriottismo: «Patriottismo è quello dei medici dei pronto soccorso, che svolgono il loro servizio in condizioni difficili e talvolta rischiose. Quello dei nostri insegnanti che si dedicano con passione alla formazione dei giovani. Di chi fa impresa con responsabilità sociale e attenzione alla sicurezza. Di chi lavora con professionalità e coscienza. Di chi studia e si prepara alle responsabilità che avrà presto. Di chi si impegna nel volontariato. Degli anziani che assicurano sostegno alle loro famiglie. È patriottismo quello di chi, con origini in altri Paesi, ama l’Italia, ne fa propri i valori costituzionali e le leggi, ne vive appieno la quotidianità, e con il suo lavoro e con la sua sensibilità ne diventa parte e contribuisce ad arricchire la nostra comunità. È fondamentale creare percorsi di integrazione e di reciproca comprensione perché anche da questo dipende il futuro delle nostre società».

A me pare evidente che il concetto di patriottismo espresso dal Presidente sia molto più vicino all’apprezzamento espresso dalla segretaria del PD che a quello della presidente del Consiglio, per non parlare dei suoi alleati di governo che difficilmente credo possano sottoscrivere le parole dedicate alla sanità pubblica e alla scuola, economicamente mortificate dalla legge di bilancio, e, ancora di più, alla visione di fratellanza espresso nei confronti di chi «con origini in altri Paesi, ama l’Italia…».

Il sospetto è che quando Giorgia Meloni ha sentito la parola “patriottismo” si sia talmente emozionata da non sentire più il resto e, quindi, da averla tradotta con un termine apparentemente simile, ma profondamente diverso e pernicioso: “nazionalismo”.