Il 2 giugno, per esempio, in Italia si festeggia la nascita della Repubblica e la data si riferisce al referendum in cui il popolo italiano ha deciso di non volerne più sapere del re, e così, per molti la parola “repubblica” è diventata semplicemente il contrario di “monarchia” e contemporaneamente, vista la situazione del momento, ha assunto anche il ruolo di sinonimo di “democrazia”.
Eppure etimologicamente la non obbligata corrispondenza tra i due termini è più che evidente: repubblica significa cosa pubblica, mentre democrazia vuol dire potere del popolo e non sempre nella realtà le cose sono coincise. Molte sedicenti repubbliche, soprattutto quelle che nella dizione ufficiale sono accompagnate da aggettivi specificativi, non sono state assolutamente democratiche, ma ostaggi di tiranni, dittatori, capi religiosi. Ma anche molte altre hanno visto separare sempre di più la realtà repubblicana da quella democratica.
Se ci fermiamo al nostro Paese, la cosa poteva aver senso nel 1946 e nei primi decenni successivi, ma con il passare degli anni la situazione è drasticamente cambiata e repubblica e democrazia sono diventate sempre meno coincidenti.
Provate a pensarci. Quella volta la percentuale del popolo che decideva, cioè quello che andava a esprimere il proprio voto nelle elezioni di ogni tipo, raramente scendeva sotto il 90 per cento. Oggi ci si considera soddisfatti se si riesce a superare il 50 per cento e così nelle ultime elezioni, quelle del 2022 la coalizione che ha vinto e che ancora oggi governa ha ottenuto il 43,7 per cento dei suffragi dei votanti che sono stati il 63,9 per cento degli aventi diritto di voto. Questo vuol dire che, a fronte di un 30,2 per cento di voti sul totale del corpo elettorale, con il premio di maggioranza previsto dalla legge, governa con il 59,25 per cento dei seggi alla Camera e il 57,5 per cento al Senato.
Questo con il proporzionale puro non accadeva: le maggioranze si costituivano per strada e magari cambiavano all’interno della stessa legislatura, ma avevano davvero il diritto di chiamarsi maggioranza nei riguardi della popolazione italiana e non soltanto dei due rami del Parlamento.
A peggiorare la situazione, riducendo lo spazio della discussione, e quindi del possibile dissenso, si è aggiunta la drastica riduzione dei parlamentari motivata da risibili ragioni di risparmio, mentre si gettano via miliardi a puro scopo di propaganda elettorale.
Democrazia, poi, vuol dire scelta e la scelta può essere tale soltanto nel caso la si possa effettuare con sufficienti informazioni a disposizione. Sempre negli anni Quaranta e immediatamente successivi, le voci da cui la popolazione poteva apprendere quello che stava succedendo erano moltissime e presentavano punti di vista diversi che potevano aiutare nel comprendere a quale forza politica si era più vicini. Oggi le voci della carta stampata si sono ridotte di molto e alcune sono veri e propri bollettini di propaganda; le televisioni, soprattutto quelle controllate dai governi di turno si fanno notare più per le cose che tacciono che per quelle che dicono; il web è preda di chiunque voglia fare propaganda, o, ancor peggio, voglia far passare per vere realtà inesistenti, o situazioni diametralmente opposte a quello che realmente succede.
Potremmo andare avanti a lungo nel parlare di come il concetto di democrazia sia andato in crisi nel nostro Paese, e non soltanto con l’attuale governo, ma già da alcuni decenni, soprattutto nel nome di quella “governabilità” che ha come vero significato quello che appariva su un cartello dei tram di una volta: “Non parlare al manovratore”. E – non può in alcun modo consolarci – ma in altri Paesi sta già andando decisamente peggio, tanto che in una Nazione democratica, in cui il governo è davvero l’espressione del popolo al potere, alcune alleanze internazionali oggi sarebbero fortemente messe in dubbio.
Il fatto è che se si vuole davvero festeggiare la Repubblica, lo si può fare soltanto riconquistando la democrazia. E una prima occasione può essere colta già tra una settimana andando a votare ai referendum. Io voterò cinque Sì, ma l’importante in questo momento è smentire coloro che non vogliono che si vada a votare: a loro la democrazia non solo dà fastidio, ma fa addirittura spavento.
Non andare a votare significa, di fatto, scegliere di non assumersi la responsabilità per ciò che accade oggi nel proprio Paese — indipendentemente da chi o cosa si vota. Confido molto nelle nuove generazioni, e l’ultima ricerca dell’IRES sui giovani udinesi lo dimostra: c’è consapevolezza crescente sull’importanza del voto come strumento concreto per cambiare le cose.
RispondiEliminaConcordo. Andiamo a votare! Abbiamo conquistato il voto con grandi sacrifici e lotte di varie generazioni, soprattutto noi donne.
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