giovedì 29 maggio 2025

I sei referendum

Probabilmente nel leggere il titolo di questo “Eppure…” avrete pensato che io abbia fatto un errore perché i quesiti referendari per i quali si voterà domenica 8 e lunedì 9 sono cinque. Lo so benissimo e su tutte le cinque schede barrerò la casella con il “Sì” per abrogare leggi che considero ingiuste e sbagliate.

Lo farò per ridare il diritto al reintegro ai licenziati senza giusta causa, per togliere penosi limiti di risarcimento imposti ai giudici per la stessa circostanza, per proibire contratti a termine senza serie motivazioni, per non permettere che negli appalti la ditta principale si lavi le mani nei confronti della sicurezza e per non far aspettare molto più di dieci anni chi si merita la cittadinanza italiana.

Ma nei seggi elettorali si procederà anche a un altro voto referendario, anche se non sarà data alcuna scheda per esprimerlo e se il suo risultato non avrà immediati effetti pratici. La sesta consultazione sarà effettuata con la semplice partecipazione al voto che è esplicitamente avversata dalla quasi totalità dell’attuale maggioranza parlamentare che vuole approfittare dell’articolo 75 della Costituzione che prescrive che nei referendum abrogativi «La proposta soggetta a referendum è approvata se ha partecipato alla votazione la maggioranza degli aventi diritto, e se è raggiunta la maggioranza dei voti validamente espressi».

È un articolo che oggi sentiamo fortemente penalizzante nei confronti di chi chiede di abrogare una legge ingiusta, ma che verso la fine degli anni Quaranta, quando raramente l’affluenza scendeva sotto il 90 per cento, appariva non soltanto legittimo, ma quasi doveroso.

Oggi, a percentuali di votanti che non raramente non arrivano al 50 per cento, riuscire a raggiungere il quorum vorrebbe dire sconfessare il governo in carica, quello che si impegna a far andare deserta la consultazione.

E non si tratterebbe di sconfessarlo soltanto sui cinque quesiti, ma si tratterebbe soprattutto di affermare che l’Italia non intende continuare a vergognarsi delle azioni e delle decisioni di Meloni e complici non soltanto dal punto di vista politico, ma anche e soprattutto da quello umano.

Ho detto che andrò a votare per dire Sì ai cinque quesiti, ma lo farò soprattutto per dire No a un governo e a una maggioranza i cui membri restano seduti quando la minoranza chiede di alzarsi in piedi per rendere omaggio alle decine di migliaia di bambini e di altri innocenti uccisi a Gaza dalle bombe di quel criminale di guerra che si chiama Netanyahu. Per dire No a una presidente del consiglio che mai ha detto una sola parola per condannare il primo ministro di Israele, amico di quel Trump che la Meloni vede come il suo miglior alleato anche quando decide cose nocive per l’Europa. Per dire No a un governo che in Europa fa votare contro le proposte di decisioni sostanziali sul piano del commercio per indurre Netanyahu a interrompere una strage che fa ribollire il sangue a chiunque abbia ancora in sé qualcosa di umano.

Quindi, vi prego, domenica 8 e lunedì 9 andate a votare per cinque Sì, ma soprattutto per un implicito No che non avrebbe conseguenze immediate, ma che ci consentirà almeno di salvare la nostra dignità personale e che ci permetterà di dire che noi non siamo complici di colui che ammazza e affama un popolo intero soprattutto per difendere sé stesso ed evitare quei processi che lo aspettano da anni e neppure di quelli che, sostenendolo, hanno le mani lorde di sangue.

In questo caso il voto, oltre che un diritto, è anche un dovere. Ricordatevelo e ricordatelo anche a tutti coloro con cui avete a che fare.

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