Credo sia il caso di tornare sulla manifestazione udinese perché su stampa e televisioni assortite si notano ben più distintamente i commenti sugli incidenti scoppiati a manifestazione conclusa che sulle motivazioni che hanno portato a scendere in strada migliaia di cittadini che condannano le violenze, le invasioni e gli assassinii del governo Netanyahu e si esprimono in favore del diritto all’autodeterminazione dei palestinesi. Sono sicuramente antisionisti, laddove sionismo è considerato sinonimo di imperialismo, e contemporaneamente non sono minimamente antisemiti in quanto considerano tutti gli uomini uguali, a prescindere dal colore della pelle, dalla lingua, dalla religione e dall’etnia. E lo fanno anche perché fossero loro in quella condizione vorrebbero che qualcuno manifestasse per loro.
Il fatto è che la stragrande maggioranza degli articoli che ho letto non prende in considerazione un aspetto fondamentale: se, infatti, parliamo di quello che è accaduto martedì sera, non dobbiamo riferirci a un evento unico, ma a due realtà completamente staccate tra loro.
La prima era un corteo, assolutamente pacifico, da ben oltre diecimila persone, donne e uomini, giovani e vecchi, rumorosi ma ordinati, che hanno sfilato nelle vie di Udine per qualcosa che, vista la distanza da dove la strage è avvenuta, teoricamente non avrebbe dovuto riguardarli; però hanno comunque deciso di protestare contro chi ammazza bambini, donne, uomini che nulla hanno a che fare con il terrorismo, contro coloro che sganciano bombe e mitragliano indiscriminatamente; contro quello che si vanta di aver fornito quelle bombe, quelle mitragliatrici e quei proiettili e che pretenderebbe gli dessero il Nobel per la pace perché, come ha detto Tacito, è stato sodale con coloro che hanno creato un deserto e l’hanno chiamato pace.
La seconda riguarda un centinaio, o poco più, di malintenzionati già decisi a provocare il caos visto che, già prima che il corteo vi arrivasse, urlavano in piazza Primo maggio che volevano arrivare allo stadio, ben sapendo che sarebbe stato impossibile, e che poi hanno ripetuto anche a Udine quello che avevano già inscenato in altre occasioni e in altre città: scontri con le forze dell’ordine, violenza assortite, incendi dei contenitori stradali delle immondizie.
Alcuni hanno detto che «gli organizzatori avrebbero dovuto isolare le decine di mele marce per difendere una manifestazione che era stata pacifica». Sono assolutamente d’accordo che i malintenzionati, magari già distinguibili in partenza perché celati dietro un passamontagna o qualche sciarpa, avrebbero dovuto essere isolati e allontanati dalla manifestazione, ma questo compito non era degli organizzatori, bensì delle forze dell’ordine che, oltre a possedere una professionalità che i civili non hanno, possono fruire anche di ricchi archivi e casellari giudiziali in cui nomi, cognomi, fotografie e curricula dei violenti sono già praticamente a disposizione per tempestive identificazioni.
Taluni dicono che polizie e carabinieri non devono intervenire preventivamente perché il loro compito è quello di difendere i cittadini, le proprietà private e gli arredi urbani. D’accordo, ma coloro che scendono in piazza contro il genocidio praticato contro la popolazione palestinese, non sono cittadini anche loro? Non hanno anche loro diritto alla protezione delle forze dell’ordine?
Ho sentito un’esponente della destra – purtroppo l’autodifesa della mia mente ne ha cancellato immediatamente il none – che diceva che ogni manifestazione dovrebbe essere cancellata se gli organizzatori non sono in grado di assicurare che non ci saranno incidenti. Nessuna sorpresa che costui non conosca la Costituzione, ma l’unica risposta che posso dargli è che vada a rileggersi (o più probabilmente a leggersi per la prima volta) l’articolo 21 e l’articolo 17 della nostra Carta fondamentale.
Non è accettabile che si cerchi una scappatoia del genere per evitare che il dissenso diventi troppo visibile e fastidioso. E sinceramente avrei difficoltà a discuterne anche se preventivamente, per lo stesso timore di disordini, fossero proibiti, o costretti a porte chiuse, i derby calcistici Roma-Lazio, Genoa-Sampdoria, Inter-Milan, Juventus Torino e, magari, un futuribile Udinese-Triestina. Ma sono sicuro che questo non succederà mai perché gli spettacoli calcistici, a differenza delle manifestazioni sociali e politiche in cui partecipano cittadini indignati e disinteressati, muovono ingenti masse di denaro.
Quelli che hanno sfilato non sono coloro che hanno commesso violenze e per loro non c’è da parlare di condanne perché hanno marciato per protestare, ma soprattutto per dimostrare che è di nuovo necessario sognare: immaginare e volere un mondo diverso in cui cessino le discriminazioni, i razzismi, i fondamentalismi religiosi, le diseguaglianze, il capitalismo senza freni e la povertà senza salvagenti. Un mondo di pace vera e non soltanto di assenza di spari.
È un’utopia? Sicuramente sì, ma l’aria senza utopie sarebbe irrespirabile e le utopie, del resto non sono luoghi inesistenti, ma soltanto posti in cui non si è ancora riusciti ad arrivare.
La mia emozione di aver visto tanti sognatori messi insieme è ancora fortissima e posso capire chi teme che una simile massa di persone trovi la voglia di tornare ad andare alle urne.
Il fatto è che la stampa e le TV locali hanno esasperato l'aspetto negativo di un manipolo di facinorosi e non valorizzato la grande e festosa partecipazione della società civile. E poi: siamo sicuri che questi provocatori non siano conosciuti dalle forze dell'ordine? Pare che siano stati intercettati all'inizio della manifestazione e banalmente allontanati. E cosa dire dell'enorme dispendio di risorse pubbliche per una partita di calcio? Non si poteva giocare a porte chiuse?
RispondiElimina