martedì 24 marzo 2020

Le parole del virus: Confine

In questo periodo dominato dal Covid-19, mentre, in tempi e modi diversi, le varie nazioni decidevano inevitabilmente di ridurre le libertà di movimento e di lavoro dei propri cittadini, fino addirittura a far rinascere le frontiere che all’interno della Comunità Europea non esistevano più, mi è venuto spesso in mente l’aforisma di Ambrose Bierce che, nel suo Il dizionario del diavolo, scrisse causticamente : «Confine. s.m. In geografia politica, linea immaginaria fra due nazioni, che separa i diritti immaginari dell’una dai diritti immaginari dell’altra».

Una definizione che si attaglia perfettamente alla situazione odierna. A voler essere linguisticamente pignoli, si potrebbe obiettare che la traduzione avrebbe potuto essere più attenta usando la parola “frontiera” al posto di “confine”, in quanto queste due parole, pur descrivendo la stessa realtà, hanno etimologia e anima diametralmente opposte: frontiera, infatti, indica il luogo dove due entità si fronteggiano, si affrontano; confine, invece, descrive il posto in cui le stesse due entità mettono in comune, sì, la fine dei rispettivi territori, ma pongono anche a contatto, quindi almeno parzialmente in comune, realtà sociali e culturali diverse, che postulano occasioni e possibilità di contatto e, quindi, di dialogo, di apertura, di reciproco arricchimento. Dipende tutto da come le si vuole guardare, se con lo spirito di chi vuole aprirsi e aprire con la voglia di conoscere e comprendere, oppure con la determinazione a chiudersi in sterile difesa o, eventualmente, a sopraffare il diverso.

In questi giorni questi due significati diversi balzano agli occhi con forza, come con forza appare evidente l’artificiosità delle divisioni tra nazioni: per il virus non esistono assolutamente, come non ci sono nemmeno per gli animali, per gli uccelli, per tutta la natura.

Per ribadire l’essenza della parola “frontiere” si sono visti i leader italiani delle forze di destra dapprima invocare di chiudere ogni valico, ogni approdo, e poi, quando eravamo diventati noi – gli italiani – i più pericolosi propagatori del virus, chiedere di aprire di nuovo tutto, mentre erano gli altri governi ad aver pensato di sbarrare i possibili accessi agli abitanti della penisola. Niente di nuovo sotto il sole, se non il timore che uno dei più bei sogni sociali, quello dell’Europa Unita, possa subire altri colpi tali da frantumarlo, almeno temporaneamente.

E ancora più evidente appare il significato di “confine” che pone tanto a contatto realtà diverse da far capire con chiarezza che le differenze che affascinano la parte peggiore di noi sono soltanto superficiali e non essenziali. Pensate alla Cina che, dopo essere stata accusata di essere l’appestatrice mondiale, manda in Italia tonnellate di medicinali e apparecchi necessari per affrontare l’emergenza, oltre a un buon numero di medici con esperienza già acquisita e da dividere con i sanitari nostrani. E anche ai cinesi che vivono in Italia e che, prima, chiudono i propri negozi per far sentire la loro vicinanza alle sofferenze dei cittadini lombardi, e poi regalano migliaia di quelle mascherine che alcuni italiani, invece, hanno tentato di sfruttare per arricchirsi aumentandone il prezzo in maniera vergognosa.

E aiuti arrivano anche dalla Russia e soprattutto da Cuba che, mentre il virus sta approdando anche nei Caraibi, decide di mandare in Italia una sessantina di medici e infermieri che si sono già fatta una solida esperienza nel combattere i virus visto che hanno affrontato con successo, in Africa, l’espandersi del terribile ebola.

Né ha importanza minore il gesto di Husen Abdussalam, etiope, presidente dell'associazione Oromo, che ha portato agli operatori della CRI di Milano cinque carrelli colmi di prodotti alimentari, per l'infanzia e per l'igiene personale destinati alle famiglie milanesi in difficoltà. Perché? Semplice e commovente la risposta: «Ci avete salvati dal mare e adesso noi aiutiamo voi». Poca cosa, dirà qualcuno, ma questo è molto più di un gesto simbolico: è una dimostrazione molto concreta di solidarietà e di vicinanza.

L’ultimo esempio è recentissimo. In questi giorni più di un imbecille legato alla destra, ha cominciato – scusate il linguaggio, ma è il loro linguaggio – a chiedere «Dove cazzo stanno i medici “senza frontiere” che fino a un mese fa s’imbarcavano sulle navi ONG a 10 mila euro al mese? Dove cazzo stanno i “medici” (le virgolette sono loro, non mie) di Emergency? Dove cazzo sta il grande Gino Strada?». Ebbene la risposta era semplice, se non scontata: erano già ovunque – a Bergamo, a Cremona, a Piacenza, ma anche in Corea – dove il virus stava colpendo più duro.

A rendere più evidente questo confine – mi illudo che non sia per sempre una frontiera – tra gli imbecilli che accusano e quelli che in silenzio aiutano, è arrivata la richiesta del presidente della Lombardia, Fontana, leghista, che ha chiesto aiuto ad Emergency per gestire l'emergenza in Lombardia. E GinoStrada ha risposto: «Eccomi, sono pronto. Vengo ad aiutarvi».

Non servirebbe aggiungere altro, ma è difficile non notare che resistono frontiere terribilmente efficaci e incredibilmente difficili da abbattere. Sono quelle che separano i poveri dai ricchi, i giovani dai vecchi, i sani dai malati, i fanatici di una dottrina da quelli di un’altra, gli individualisti da coloro che credono nella solidarietà, i disabili da quelli che sono definiti “normodotati”, gli uomini dalle donne e così via in un’infinità di divisioni che abbiamo sempre sotto gli occhi e alle quali anche noi, più o meno consciamente, partecipiamo; o almeno non ci opponiamo con la dovuta decisione. Confini per abbattere i quali bisognerà lavorare ancora tantissimo. Anche quando il Civid-19 sarà diventato soltanto un orrendo ricordo.

Le altre parole: Anonimo, Libertà

Tutti gli “Eppure…” li puoi trovare anche all’indirizzo http://g-carbonetto.blogspot.it/

Nessun commento:

Posta un commento