Il PD potrebbe
quasi rallegrarsi di aver raccolto il 18,7 per cento dei voti alla
Camera e al 19,1 al Senato. Se gli elettori, infatti, avessero potuto
già sentire in anticipo le parole pronunciate da Franceschini in questi
giorni, sicuramente le percentuali sarebbero state ancora inferiori.
Anche perché l’ex segretario del PD dal 2006 al 2008, è ancora una delle
personalità di spicco di quel partito, capace – dicono – di influire su
una cospicua quota di iscritti.
Ebbene, parlando delle prospettive
politiche, ancora molto nebulose, del dopo elezioni, l’ineffabile
ministro della Cultura ha proposto l’ipotesi di un governo «senza
maggioranza», cioè con dentro tutti, o quasi – cita Di Maio, Salvini,
Berlusconi, Martina, lasciando fuori soltanto Liberi e Uguali e Fratelli
d’Italia – e non, ovviamente, per affrontare l’ordinaria
amministrazione, bensì per creare una «legislatura costituente» e per
fare riforme costituzionali tra le quali, in primis, «il
monocameralismo» e una riforma elettorale «o che dia la maggioranza al
primo arrivato, o punti a un sistema proporzionale, ma allora devi
accettare che si stringano alleanze in Parlamento»; ma «dopo lo scontro
frontale nei collegi uninominali, è difficile mettersi insieme».
Arduo pensare che Franceschini si
sia già dimenticato del risultato del referendum del 4 dicembre 2016:
molto più probabile che lo consideri soltanto un fastidioso inciampo
lungo la strada allora tracciata da Renzi e dai suoi (tra i quali c’era
anche lo stesso Franceschini), una strada che è stata rifiutata dal 60
per cento degli italiani che l’hanno considerata come il rischio di un
vulnus gravissimo e pericolosissimo nel corpo della democrazia italiana.
Parlare della sostanza democratica
del referendum sarebbe importante, ma ne abbiamo già parlato moltissimo
e, inoltre, stante il fatto che sono stato referente provinciale del
Comitato per il No, il mio giudizio sarebbe scontato. Quello che,
invece, mi appare agghiacciante è il fatto che a Franceschini non
importi per nulla il giudizio dato dal 60 per cento degli italiani, una
maggioranza larghissima che sicuramente non è cambiata nel corso di poco
più di un anno perché, se è vero che gli italiani non hanno più alcuna
fiducia nei partiti, è altrettanto vero che continuano ad averne
parecchia nella Costituzione; anzi, a considerarla come una specie di
ultimo scudo contro le scorribande velleitarie e antidemocratiche che
hanno segnato profondamente questi ultimi decenni senza dare, se non in
rari casi, dei corrispettivi di leggi che facessero migliorare la
società italiana.
Sulla legge elettorale, poi, visto
che non implicitamente sostiene un nuovo premio di maggioranza, anche
enorme, da dare a chi «arriva primo», dimostra che non tiene molto conto
neppure delle sentenze della Corte Costituzionale.
Il disprezzo dimostrato dall’ancora
ministro nei confronti delle scelte dei cittadini, impone prese di
posizione nette da parte di tutti coloro che non vogliono dimostrarsi
complici di un simile atteggiamento. Soprattutto da parte del PD, del
quale Franceschini fa parte, e che non può limitarsi a un distratto
silenzio. Altrimenti ci sarebbe il rischio che anche la triste abitudine
del voto per “il meno peggio”, pur attraverso altre liste alleate,
potrebbe risultare talmente indigesta da diventare impraticabile,
spingendo così, nell’attesa dell'agognata nascita di nuovi partiti
politici credibili, verso forze poste agli estremi, o a ulteriori e
sempre deprecabili astensioni dal voto.
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