Sembra che tutto
sia organizzato per distrarci. Tutti i mezzi di informazione si
dedicano anima e corpo a tutta una serie di argomenti che definiscono
“politici”. In primis si parla del futuro possibile (o impossibile)
nuovo governo, con Di Maio che si fa già chiamare presidente e che parla
di accordi con altre forze, basta che non siano messe in dubbio né la
sua presidenza del Consiglio, né alcuno dei ministri che ha presentato
già prima delle elezioni; con Salvini che tenta, con scarso successo, di
darsi una verniciata di democraticità dicendo che si può discutere su
tutto, ma attaccando continuamente l’Europa, l’euro, ovviamente i
migranti e anche tutta una serie di leggi che hanno reso questa Italia
un Paese un po’ più civile di quello che era; con quelli del PD che
giurano che non faranno governi con i grillini, né, tantomeno con la
Lega, ma che, insomma, se Mattarella chiedesse un atto di
responsabilità, allora…
E sempre cosiddetti “politici” sono
anche i servizi che si diffondono sui desideri di riunione tra una parte
del PD e Liberi e Uguali, mentre tra gli stessi Liberi e Uguali non si
sono ancora sopiti i contraccolpi e le forze centrifughe innestate dalle
delusioni alle urne. Per non parlare delle baruffe esplicite e
difficilmente componibili all’interno del centrodestra tra Lega, Forza
Italia e Fratelli d’Italia, di cui un esempio evidente lo abbiamo in
questa regione dove, nel tentativo di mediare tra gli appetiti delle due
forze maggiori e tra i dissidi intestini alle stesse singole forze, si è
deciso di presentare un candidato che avrebbe dovuto non scontentare
nessuno, mentre, invece, sembra avere l’affetto dello scoppio di una
bomba la cui deflagrazione sta mandando in frantumi gli esili legami che
esistevano tra comitive elettorali (di alleanze non si è potuto mai
parlare seriamente) e che, oltre che sulla Regione, sembrano poter avere
effetti anche sul Comune di Udine.
Ancora “politici” sono considerati i
dissidi interni ai Cinque stelle, con cacciate e ripudi che si
susseguono a ritmo sempre elevato. E sempre “politiche” sono definite le
discussioni attorno a quella mostruosità chiamata Rosatellum grazie al
quale ancor oggi non si sono riusciti ad assegnare circa dieci seggi,
mentre sono preannunciati oltre trenta ricorsi. Il tutto mentre Rosato
riesce tranquillamente a far finta di non vergognarsi di quello che ha
fatto; o, magari, addirittura non se ne vergogna davvero.
Evidentemente, però, il significato
dell’aggettivo “politico” ha perso ogni contatto con la propria
etimologia che, invece, vuol significare che si parla di cose che sono
dirette al bene della polis, cioè dei cittadini di uno Stato. Perché se
l’etimologia avesse ancora un valore, allora tutti i mezzi
d’informazione non potrebbero non dedicarsi soprattutto al fatto che ben
quasi tre milioni di quei cittadini italiani per i quali lo Stato
dovrebbe far di tutto al fine di assicurare loro diritti, dignità e
benessere, sono poveri nonostante lavorino, nonostante nominalmente
siano considerati tra gli occupati.
Tre le considerazioni immediate.
La prima riguarda non soltanto
l’ingiustizia del Jobs Act al quale non interessa il lavoro per i
lavoratori, ma il lavoro per quelli che, per buona parte, una volta
potevano essere chiamati datori di lavoro e che oggi, al massimo,
possono essere definiti “imprenditori”.
La seconda, già ripetuta molte
volte, tocca la falsità di una propaganda politica che, nell’ansia di
far passare per buone anche le riforme fallimentari, pretende di
inserire nel numero di coloro che non sono disoccupati anche quelli che
lavorano – più o meno remunerati, ma di solito tanto meno – soltanto per
qualche ora al mese.
La terza punta l’indice contro una
politica che non solo non è capace di recepire il fatto che le
disuguaglianze sono aumentate a dismisura e che la ricchezza si è
concentrata in pochissimi gruppi, mentre la povertà va condivisa tra
sempre più persone, ma che addirittura non fa nulla per cambiare questa
situazione e per ridurre quelle disparità che sono l’indice
inequivocabile di una democrazia boccheggiante, se non moribonda.
Vi riporto alcune delle parole con
le quali il Censis analizza il fenomeno, dopo aver spiegato che in
troppi si approfittano impunemente della fame di lavoro di giovani che,
«pur di inserirsi nel mercato del lavoro accettano qualunque
retribuzione d’ingresso», o di lavoratori licenziati che, «per
reinserirsi, si adattano a contratti precarissimi», o a «part–time
subiti per necessità»: «La maggior parte delle assunzioni – è scritto –
si è concentrata nei livelli bassi dove si è creata una specie di
“gabbia”, nel senso che, una volta che si accettano condizioni di lavoro
particolarmente svantaggiose, è difficile venirne fuori: si è
intrappolati tra precarietà e discontinuità».
Credo che per sperare di ricostruire
questo Paese sia fondamentale cominciare dando di nuovo il giusto
valore alle parole. Soprattutto a “politica” e a “democrazia”. E anche a
“lavoro”.
Tutti gli “Eppure…” li puoi trovare anche all’indirizzo http://g-carbonetto.blogspot.it/
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