domenica 18 marzo 2018

Politica e democrazia

Sembra che tutto sia organizzato per distrarci. Tutti i mezzi di informazione si dedicano anima e corpo a tutta una serie di argomenti che definiscono “politici”. In primis si parla del futuro possibile (o impossibile) nuovo governo, con Di Maio che si fa già chiamare presidente e che parla di accordi con altre forze, basta che non siano messe in dubbio né la sua presidenza del Consiglio, né alcuno dei ministri che ha presentato già prima delle elezioni; con Salvini che tenta, con scarso successo, di darsi una verniciata di democraticità dicendo che si può discutere su tutto, ma attaccando continuamente l’Europa, l’euro, ovviamente i migranti e anche tutta una serie di leggi che hanno reso questa Italia un Paese un po’ più civile di quello che era; con quelli del PD che giurano che non faranno governi con i grillini, né, tantomeno con la Lega, ma che, insomma, se Mattarella chiedesse un atto di responsabilità, allora…

E sempre cosiddetti “politici” sono anche i servizi che si diffondono sui desideri di riunione tra una parte del PD e Liberi e Uguali, mentre tra gli stessi Liberi e Uguali non si sono ancora sopiti i contraccolpi e le forze centrifughe innestate dalle delusioni alle urne. Per non parlare delle baruffe esplicite e difficilmente componibili all’interno del centrodestra tra Lega, Forza Italia e Fratelli d’Italia, di cui un esempio evidente lo abbiamo in questa regione dove, nel tentativo di mediare tra gli appetiti delle due forze maggiori e tra i dissidi intestini alle stesse singole forze, si è deciso di presentare un candidato che avrebbe dovuto non scontentare nessuno, mentre, invece, sembra avere l’affetto dello scoppio di una bomba la cui deflagrazione sta mandando in frantumi gli esili legami che esistevano tra comitive elettorali (di alleanze non si è potuto mai parlare seriamente) e che, oltre che sulla Regione, sembrano poter avere effetti anche sul Comune di Udine.

Ancora “politici” sono considerati i dissidi interni ai Cinque stelle, con cacciate e ripudi che si susseguono a ritmo sempre elevato. E sempre “politiche” sono definite le discussioni attorno a quella mostruosità chiamata Rosatellum grazie al quale ancor oggi non si sono riusciti ad assegnare circa dieci seggi, mentre sono preannunciati oltre trenta ricorsi. Il tutto mentre Rosato riesce tranquillamente a far finta di non vergognarsi di quello che ha fatto; o, magari, addirittura non se ne vergogna davvero.

Evidentemente, però, il significato dell’aggettivo “politico” ha perso ogni contatto con la propria etimologia che, invece, vuol significare che si parla di cose che sono dirette al bene della polis, cioè dei cittadini di uno Stato. Perché se l’etimologia avesse ancora un valore, allora tutti i mezzi d’informazione non potrebbero non dedicarsi soprattutto al fatto che ben quasi tre milioni di quei cittadini italiani per i quali lo Stato dovrebbe far di tutto al fine di assicurare loro diritti, dignità e benessere, sono poveri nonostante lavorino, nonostante nominalmente siano considerati tra gli occupati.

Tre le considerazioni immediate.

La prima riguarda non soltanto l’ingiustizia del Jobs Act al quale non interessa il lavoro per i lavoratori, ma il lavoro per quelli che, per buona parte, una volta potevano essere chiamati datori di lavoro e che oggi, al massimo, possono essere definiti “imprenditori”.

La seconda, già ripetuta molte volte, tocca la falsità di una propaganda politica che, nell’ansia di far passare per buone anche le riforme fallimentari, pretende di inserire nel numero di coloro che non sono disoccupati anche quelli che lavorano – più o meno remunerati, ma di solito tanto meno – soltanto per qualche ora al mese.

La terza punta l’indice contro una politica che non solo non è capace di recepire il fatto che le disuguaglianze sono aumentate a dismisura e che la ricchezza si è concentrata in pochissimi gruppi, mentre la povertà va condivisa tra sempre più persone, ma che addirittura non fa nulla per cambiare questa situazione e per ridurre quelle disparità che sono l’indice inequivocabile di una democrazia boccheggiante, se non moribonda.

Vi riporto alcune delle parole con le quali il Censis analizza il fenomeno, dopo aver spiegato che in troppi si approfittano impunemente della fame di lavoro di giovani che, «pur di inserirsi nel mercato del lavoro accettano qualunque retribuzione d’ingresso», o di lavoratori licenziati che, «per reinserirsi, si adattano a contratti precarissimi», o a «part–time subiti per necessità»: «La maggior parte delle assunzioni – è scritto – si è concentrata nei livelli bassi dove si è creata una specie di “gabbia”, nel senso che, una volta che si accettano condizioni di lavoro particolarmente svantaggiose, è difficile venirne fuori: si è intrappolati tra precarietà e discontinuità».

Credo che per sperare di ricostruire questo Paese sia fondamentale cominciare dando di nuovo il giusto valore alle parole. Soprattutto a “politica” e a “democrazia”. E anche a “lavoro”.

Tutti gli “Eppure…” li puoi trovare anche all’indirizzo http://g-carbonetto.blogspot.it/

Nessun commento:

Posta un commento