Ci sono poche
cose più tristemente ridicole del vedere qualcuno che, dopo una zuffa,
si trascina dolorante a quattro zampe e tenta di sorridere dicendo:
«Poteva andare peggio. Tutto sommato, non mi fa tanto male».
Fortunatamente questa volta almeno il ridicolo ci è stato risparmiato;
non certamente il dolore; e neppure la tristezza. Poteva andare peggio?
Tutto è possibile, ma francamente mi sentirei di rispondere con un secco
«No!», perché in politica peggio dell’irrilevanza ci può essere ben
poco.
La sinistra esce da questo confronto
elettorale decisamente e dolorosamente disastrata e credo che sia
obbligatorio soffermarsi su almeno tre aspetti: il perché di questi
numeri, gli ideali, il futuro.
Sui numeri c’è poco da dire: si tratta di una batosta senza attenuanti e
accompagnata da un senso di desolazione che non può essere nemmeno
vagamente attenuato dalla quasi certezza che finalmente Renzi finirà di
fare danni a quel centrosinistra al quale dice di appartenere, ma che ha
demolito lasciando dietro di sé soltanto una landa di macerie che non
coinvolgono soltanto il suo partito, ma, sia pur indirettamente, tutto
il centrosinistra; ovviamente, sinistra compresa.
E spinge in direzione diametralmente
opposta alla consolazione anche il pensiero che Mattarella dovrà
trovare un’alternativa di governo tra il razzismo viscerale di Salvini e
la vaghezza opportunistica di Di Maio. Sempre che i due rischi non
possano arrivare addirittura a sommarsi.
Unica altra ipotesi – e non
facilmente praticabile neppure questa – un governo di scopo per scrivere
e far approvare una legge elettorale meno stupida e scandalosa di
quella sulla quale ci ha tenuto a far mettere il suo nome l’ineffabile
Rosato. Ma su questa strada ci sono due ostacoli: per fare una legge
condivisa occorre essere disposti a condividere qualcosa. E poi,
comunque, si correrebbe il rischio di ritrovarsi comunque al punto di
partenza, oppure, visto che delle pur fruttuose fatiche di un
proporzionale vero nessuno vuol sentir parlare, si rischierebbe di voler
uscire dallo stallo assecondando ancora una volta la tentazione di
drogare i risultati elettorali con premi assurdi e, quindi,
tendenzialmente anticostituzionali.
Sul perché di questo disastro su
“Eppure…” ho scritto ben prima che la catastrofe si materializzasse. I
fuoriusciti dal PD avrebbero dovuto uscire ben prima, perché già da
molto tempo il quadro era inequivocabile. Tentare una fusione tra
partiti diversi è sempre una cosa difficilissima, ma diventa quasi
impossibile se il tentativo avviene nell’imminenza di elezioni in cui
ognuno crede che la cosa più importante sia non dare un volto preciso e
comune alla nuova creatura, bensì difendersi dai compagni di viaggio che
sono visti più come un pericolo che come amici. La compilazione delle
liste ha dato più l’idea di seguire le necessità dei maggiorenti dei
partiti che quelle del partito che spesso molto meglio sono state
espresse da giovani sui quali sarà obbligatorio, oltre che meritatamente
logico, scommettere per il domani. La campagna elettorale non è stata
sbagliata: semplicemente non c’è mai stata e riesce difficile capire
come uno schieramento di sinistra pensi di restare tale senza mai
confrontarsi, faccia a faccia, con i cittadini elettori e organizzando,
invece, soltanto incontri tra amici.
In base a queste considerazioni, a
prima vista la conseguenza apparentemente inevitabile sembrerebbe quella
di mollare tutto, rassegnarsi e ritirarsi a vita privata; ma qui
interviene il secondo punto, quello dei propri principi e valori. Già
molte volte ho scritto che uno dei più importanti insegnamenti della
democrazia consiste nel fatto che avere la maggioranza non
necessariamente coincide con l’essere nel giusto. E, conseguentemente,
che se si viene sconfitti non perdono di valore anche i principi in base
ai quali si ragiona, si parla, si opera, si vive.
Personalmente, insomma, sono ben
conscio che oggi appartengo alla schiera dei battuti, ma continuo a
essere convinto che sia doveroso, oltre che giusto, impegnarsi a lottare
contro le disuguaglianze, la disoccupazione e la povertà, contro i
razzismi, gli egoismi, le esclusioni, contro le corruttele e gli
opportunismi, contro le incompetenze e le approssimazioni. Non
continuare a lottare per questi ideali significherebbe tradire noi
stessi. E, quindi, non c’è altra possibilità che rispolverare il
vecchio, ma sempre validissimo sprone di Francesco Saverio Borrelli:
«Resistere! Resistere! Resistere!».
E già con questo entriamo nel terzo
punto: quel futuro, prossimo e lontano, sul quale tornerò più
diffusamente nei prossimi giorni. Perché, in chiave generale, occorrerà
ricostruire una casa che possa accogliere, a livello nazionale, tutti
coloro che credono negli alti ideali e nei valori umani di quella
sinistra che – è bene non stancarsi di ripeterlo – esiste ancora in
tantissime persone e che è tutt’altra cosa della destra.
Ma sarà importante, e anche più
urgente vista la fretta indotta dai tempi – riconsiderare strategie,
tattiche e nomi per le elezioni regionali e comunali del 29 aprile.
Arrendersi senza combattere sarebbe un vero e proprio delitto contro se
stessi e contro gli altri.
Tutti gli “Eppure…” li puoi trovare anche all’indirizzo http://g-carbonetto.blogspot.it/
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