giovedì 30 gennaio 2014

La cultura del fare

Ve la ricordate la “cultura del fare”? Era quella che Berlusconi proclamava come caratteristica sua e dei suoi dipendenti contrapponendola alla cultura vera e propria che, a suo dire, era prerogativa della sinistra e, quindi, causa delle disgrazie italiane e mondiali. Era una specie di invito ad agire subito, senza pensare, anche perché chi pensa può diventare pericoloso in quanto magari scopre difetti nell’idea del capo, obbietta e può addirittura riuscire a convincere altri della sua idea.

Chi avesse pensato che la “cultura del fare” fosse rimasta sepolta dagli innumerevoli insuccessi berlusconiani da assieme alla pulizia delle fedina penale del suo propugnatore, deve amaramente ricredersi perché un po’ dappertutto – anche da parte di alcuni insospettabili – si sta inneggiando all’accordo elettorale Renzi-Berlusconi con l’unica motivazione che “finalmente qualcosa si è mosso”.

Sono reazioni terribili soprattutto perché dimostrano che la distruzione sociale berlusconiana ha fatto breccia un po’ deppertutto: secondo molti è importante fare qualcosa, non come lo si fa; non se quello che viene fatto porta vantaggi ai cittadini e alla democrazia, oppure se li danneggia; non se la nuova legge è ancora incostituzionale; non se tra poco scatterà un nuovo ricorso e la Consulta sarà costretta ancora una volta a intervenire.

Maurizio Menegazzi mi ha segnalato una frase agghiacciante tratta dal film “L’uomo d’acciaio” e che pare attagliarsi ottimamente all'andazzo di questi ultimi anni: «Il fatto che tu possieda un senso morale e noi no – afferma un figuro rivolgendosi al suo avversario – dà a noi un vantaggio evolutivo; e se la storia ha provato qualcosa è che l’evoluzione vince sempre». Fortunatamente non è così. Ove così fosse, la razza umana avrebbe dovuto soccombere davanti alle tigri con i denti a sciabola, ai mammut e a tutta una serie di belve feroci. Invece, fortunatamente, l’intelligenza, la cura del bene comune, una scala etica di valori hanno permesso alla nostra stirpe di sopravvivere – almeno finora – a tutte le minacce esterne. Ci si fosse affidati soltanto alla “cultura del fare”, della stirpe umana non resterebbe neppure il ricordo.

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