E per fortuna
che Renzi e i suoi hanno chiesto di moderare i toni. Lasciamo pur
perdere gli affondo del trio Renzi–Boschi–Napolitano che ritengono che
chi non approvi le loro mire è inciucista/ultradestra/offensivo (ma
l’elenco potrebbe continuare a lungo), ma adesso ci si mette anche il
ministro Franceschini che, con leggerezza, dice che votare NO al
referendum costituzionale «è un vero atto contro il Paese». Poi
specifica che non si deve usare «una riforma attesa da trent’anni per
l’obbiettivo finale di buttare giù Renzi», ma il concetto non cambia,
sia se la reprimenda è rivolta all’intera Italia, sia se è limitata alla
sinistra del PD. Il concetto non cambia, perché comunque, secondo
Franceschini, il destino della Costituzione e quello di Renzi sono
inestricabilmente connessi. Se penso che nel 2009 ho guardato con
simpatia alla sua elezione a segretario del PD, mi vengono i brividi.
A Franceschini sarebbe utile
ricordare che l’iniziativa di unire strettamente il destino di questo
governo al risultato del referendum, non è stata decisa da nessuno se
non da Renzi stesso. E che allora sarebbe facile rispondere a
Franceschini che lui pretenderebbe che gli italiani votino sì alla
riforma Boschi soltanto per salvare Renzi e il suo governo, di cui
casualmente Franceschini fa parte.
Ma sono anche altri gli argomenti da
portare per discutere su un argomento che non mi appassiona affatto
perché come ho già detto più volte, a me del destino politico di Renzi
importa poco o nulla, mentre mi importa molto del destino democratico di
un Paese nel quale vivranno mia figlia, mia nipote e i loro coetanei.
Per prima cosa sarebbe il caso che
tutti – a partire proprio da coloro, come i politici, che dovrebbero
pensare al bene del Paese – si ricordassero che la Costituzione è più
importante di qualsiasi governo. Dovrebbero, insomma, cominciare a
parlare davvero del merito della riforma costituzionale e non del
destino di un uomo che sa che si fa meno fatica a comandare che a
governare e che non si rende conto che sono alte le probabilità che a
comandare la prossima volta non sia lui, ma potrebbero essere Grillo, o
Salvini.
Ma poi, sempre per quel mio pallino
di seguire il dettato della Costituzione, sarebbe il caso che Renzi si
ricordasse che lui non se ne può andare e basta: senza aver avuto una
sfiducia dal Parlamento, deve presentare le dimissioni al Presidente
della Repubblica e poi aspettare che il Capo dello Stato lo mandi alle
Camere per la fiducia. Questo darebbe al PD il potere di decidere sulla
sorte del suo segretario. Chissà cosa deciderebbe?
Ripeto ancora una cosa: che non
capisco perché dovremmo disperarci se Renzi non ci fosse più. Quanti
presidenti del Consiglio sono caduti? Tantissimi. Eppure la Repubblica
Italiana esiste ancora e ogni volta gli italiani hanno scelto quale
fosse l’alternativa migliore – o meno peggiore – possibile.
Dal mio punto di vista molte volte
gli elettori hanno sbagliato, ma il succo della democrazia consiste
proprio nel fatto che l’infallibilità non esiste e che non sempre chi
vince con i numeri è nel giusto con i principi. E anche di questo i
padri di quella Costituzione che ora Renzi ambisce a distruggere erano
pienamente consci e hanno agito di conseguenza.
È evidente che non so cosa potrebbe
uscire dalle urne, soprattutto con una legge folle e – credo fortemente –
anticostituzionale. Quello che so con certezza è che Renzi, per salvare
se stesso e il suo governo – sta mettendo sui piatti della bilancia non
soltanto il bene preziosissimo della Costituzione, ma anche quello
ancor più prezioso dell’unità del Paese che, già fortemente minata dal
ventennio Berlusconiano, ora rischia di uscire da questa vicenda ridotta
in macerie.
Caro Franceschini, anche questo deve essere pagato nel nome
di Renzi?
Tutti gli “Eppure…” li puoi trovare anche all’indirizzo http://g-carbonetto.blogspot.it/
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