A dire il vero, 
l’uomo dà l’idea di essere un po’ scarsetto nel linguaggio, ma, d’altro 
canto, se i suoi valutatissimi guru della comunicazione gli dicono di 
esprimersi con giochetti di parole e slogan, Matteo Renzi cosa può fare?
 Una delle sue formulette, già usate molte volte e adesso ripetuta fino 
alla nausea perché sembra attagliarsi perfettamente al tipo di 
propaganda necessaria per fargli vincere il referendum costituzionale di
 ottobre, è dire che la consultazione sarà «un bivio tra l’Italia del Sì
 e quella che sa dire soltanto No».
Già di primo acchito si potrebbe 
rispondergli che per il referendum sulle trivellazioni è stato proprio 
lui, invitando gli elettori a rinunciare al proprio diritto di voto, a 
voler far vincere, in tutti i sensi, l’Italia del No. Ma gli si potrebbe
 anche ricordare che il “No” è parola importantissima E non nella 
maniera gentile, ma sterile, in cui è ricorrente nelle risposte di 
Bartleby, lo scrivano di Herman Melville. Bensì nel modo in cui spicca 
netta la convinzione che l’uomo non è necessariamente in balia del 
destino, ma che, anzi, è il destino a essere creato dall’uomo con la sua
 dignità, il suo libero arbitrio, la capacità di indignarsi e di dire 
“No”, appunto. Perché il No non è quel monosillabo istintivamente 
considerato come antipatico simbolo della negazione, ma è, invece, una 
parola bellissima perché caposaldo della libertà, base fondante non 
soltanto di ogni vera democrazia, ma anche dello stesso bene; perché 
permette il rifiuto di ragione e di coscienza e rende ridicoli quegli 
alibi che troppe volte nella storia abbiamo sentito provenire dal banco 
degli accusati dove c’erano persone che si difendevano rispondendo 
vacuamente: «Non ho fatto altro che eseguire gli ordini».
Devo ammettere che lo sciagurato 
tentativo da parte di Renzi di massacrare la nostra Costituzione 
depotenziando qualsiasi elemento di rappresentanza e di garanzia per 
aumentare a dismisura la cosiddetta governabilità, sbilanciandola e, 
quindi togliendole la caratteristica fondamentale di ogni Costituzione –
 la difesa della democrazia – ha almeno un merito: ci ha costretto a 
guardarci dentro con più attenzione e quantomeno a capire che finora ci 
siamo fatti quasi sempre la domanda sbagliata. Abbiamo, infatti, tentato
 di capire come e perché è cambiato il mondo, mentre, invece, avremmo 
dovuto interrogarci sul come e perché siamo cambiati noi.
Guardando i disastri etici, sociali,
 politici ed economici nei quali ci siamo quasi abituati a vivere 
abbiamo sempre gettato la colpa su aspetti come la globalizzazione che 
accusiamo di aver livellato tutto verso il basso; l’informatizzazione, 
che diciamo essere la causa della perdita di milioni di posti di lavoro,
 la finanza che ha strangolato l’economia reale e, con essa, centinaia 
di migliaia di famiglie; l’edonismo che ha minato fino alle fondamenta, 
con falsi miti di benessere e piacere, i pilastri su cui si reggeva e 
stava crescendo la nostra società.
E, invece, come dicevo, dovremmo 
guardare a come siamo cambiati noi. Dovremmo chiederci: come siamo 
riusciti a cancellare quella solidarietà che ha fatto crescere tutti e 
non soltanto quelli già più ricchi e fortunati a favore dell’egoismo? 
Come siamo riusciti ad arrivare anche solo ad accettare di immaginare di
 barattare la democrazia che ha salvato l’Italia con la supposta 
tranquillità che deriva dal pensare soltanto una volta ogni cinque anni 
(e anche non necessariamente) a chi delegare la gestione della nostra 
vita per il prossimo lustro, o per sempre? Per quale motivo abbiamo 
perduto quella capacità di indignarsi e di arrabbiarsi che è sempre 
stato il salvagente di ogni popolo davanti ai soprusi interni ed 
esterni?
Qualcuno dice che forse questo è 
avvenuto in quanto il benessere lo abbiamo raggiunto e perché, facendo 
così, ci illudiamo, di non perderne neppure un pezzetto. Ma non può 
bastare, anche se dovremmo renderci conto che, invece, proprio questo 
benessere lo stiamo distruggendo per noi, ma soprattutto per i nostri 
figli e nipoti. Altri teorizzano che sia inevitabile che nella storia a 
ogni momento di fulgore debba seguirne uno di buio. Potrà anche essere, 
ma la lunghezza del periodo di buio dipende soltanto da noi.
Un altro slogan che si sente 
stolidamente ripetere da tempo è che chi non accetta questi tipi di 
cambiamenti vuole tornare al passato, mentre è evidente che retrocedere 
nel tempo oltre che impossibile è anche stupido, come stupido è il 
concetto del “rottamare” a prescindere. Il progresso umano consiste da 
sempre nell’individuazione del male da cancellare e del bene da 
mantenere o migliorare. Chi nega a forza di slogan queste realtà o è uno
 scemo, o è un demagogo. E, per togliere ogni dubbio, io non credo 
assolutamente che Renzi non sia intelligente.
Pochi giorni fa abbiamo visto 
confermare il fatto che il primo maggio si è tramutato da festa del 
lavoro a giornata di rimpianto per il lavoro. Una settimana fa il 25 
aprile ci ha costretti a ripensare a quanti italiani hanno immolato la 
loro vita per donarci una democrazia reale. E, quindi, è impossibile, 
ripensando a quei martiri e ai molti altri che negli ultimi settant’anni
 hanno onorato i loro insegnamenti, non porci altre due domande: come 
abbiamo fatto a permettere di tradire così tanto quei sacrifici? Come 
abbiamo fatto a disattendere così tanto quelle speranze?
Tutti gli “Eppure…” li puoi trovare anche all’indirizzo http://g-carbonetto.blogspot.it/
 
 
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