Caro PD. E già
da queste prime parole di prammatica si capisce che questa non sarà una
lettera facile: infatti sono soltanto due vocaboli ed entrambi
richiedono una specificazione. Il “Caro”, infatti, lo si usa per
rivolgersi alle persone cui si vuol bene, ma anche nelle lettere d’addio
rivolte a chi ti ha profondamente deluso; e, per quanto mi riguarda,
pur non essendomi mai iscritto al PD, l’ho quasi sempre votato e,
quindi, appartengo di diritto alla schiera dei delusi. Per quanto
riguarda il “PD”, poi, mi sembra obbligatorio specificare che mi rivolgo
a una parte soltanto – quella dei cosiddetti dissidenti – di quel
partito che continua a mantenere un nome che ormai non ha più nulla a
che fare con quello portato da un raggruppamento politico che aveva
tutt’altri orientamenti e ideali. Renzi si è impadronito di quel nome,
ha ritenuto più comodo mantenerlo, anche per approfittare della cronica
distrazione degli elettori, ma ne ha cambiato profondamente l’anima. Ed è
stato tanto bravo da far restare all’interno del PD anche molti di
coloro che ormai da più di due anni soffrono a restare lì dentro e si
illudono di poterlo cambiare dall’interno; che, per giustificare le
propria permanenza nel partito di Renzi, si accontentano di ogni pur
piccolissima concessione formale più che sostanziale. È a questi che mi
riferisco scrivendo “PD”.
Sono tante le cose che vorrei dire loro, ma, per brevità, mi sembra necessario citarne soltanto alcune.
La prima non può non riferirsi a
Verdini. Non mi stupisce che Renzi accetti a braccia aperte l’ex
consigliere di Berlusconi: porta voti, ma anche sposta a destra con
decisione l’anima del PD dando una mano determinante al piano renziano
del cosiddetto Partito della nazione. Mi stupisce – e mi amareggia –
molto di più vedere che un personaggio come Gianni Cuperlo accetti di
scendere al livello di Renzi riducendo la politica e gli ideali a mero
computo elettorale: «Sono di più – dice – gli affezionati che perdiamo.
Gli orfani di Berlusconi non riusciranno mai a compensarli». Ma davvero
la cosa importante, anche per Cuperlo, è il risultato delle urne. Può
Cuperlo accettare di illudersi di vincere, mentre in realtà perde? O,
almeno, mentre perde il Cuperlo che si era mosso nella politica italiana
fino a un paio di anni fa?
La seconda chiama in causa il
referendum costituzionale. Matteo Renzi, nel lanciare la massiccia e
ricca campagna per il sì, dice: «Non dividiamoci per questioni interne.
Deve essere una battaglia unitaria». E Pierluigi Bersani come gli
risponde? «Vediamo nelle prossime settimane. Ho votato sì con luci e
ombre e con il patto dell’elezione diretta dei senatori, da fare subito.
Ho tutta l’intenzione di votare sì. Ma la Costituzione non può essere
l'oggetto con cui dividi il Paese». Cioè a Bersani, persona per cui ho
votato con convinzione, davvero l’unica cosa che non va è la formula
dell’elezione dei senatori? E non conta nulla il passaggio di tutto il
potere a una Camera soltanto che sarà dominata da un partito che
potrebbe anche non essere il PD e che, magari anche con solo il favore
del 20 per cento dei votanti, si prenderà un premio di maggioranza, già
condannato dalla Corte Costituzionale, che gli darà la maggioranza
assoluta dei seggi? E, bontà sua, senza la minima ironia, si sente anche
in dovere di sottolineare che, secondo lui, «Nel Pd ci potrà essere
anche qualcuno che aderisce a comitati del no ed è legittimo che ci
siano elettori che votano no».
E potremmo anche andare avanti con
molte altre considerazioni sull’argomento Costituzione, ma proseguiamo
con domande che riguardano tutti i parlamentari che con il loro voto
permettono di rimanere in sella al distruttore del centrosinistra. Come
permettete che quel signore, per propria propaganda, appiccichi il
concetto di sinistra alle mille cose di destra che in realtà fa? Come
fate ad accettare che l’occupazione di posti pubblici da parte degli
amici del presidente del Consiglio pro tempore sia così pervasiva? Come
fate a restare impassibili quando una ministra che risponde al nome di
Maria Elena Boschi, davanti al voto di fiducia richiesto per il suo
eventuale coinvolgimento nella vicenda che riguarda suo padre e Banca
Entruria, non si sfibri nel protestare la sua estraneità e innocenza,
ma, dopo poche frasi di circostanza, con un sorriso che travalica nel
sogghigno, affermi che «Tanto abbiamo i numeri»? Come fate a restare
impassibili e a protestarvi superiori parlando ancora di “questione
morale” che, secondo Renzi, deve essere ridotta a puro calcolo di
percentuale: «Abbiamo decine di migliaia di amministratori: è
fisiologico che ci siano dei corrotti e dei corruttori»?
Caro PD (ribadendo tutte le
avvertenze iniziali), mi sembra ovvio che, continuando così, Renzi sarà
il colpevole della trasformazione del centrosinistra italiano in un
guazzabuglio che tende più a destra che a sinistra e che mira a
concedere al presidente del Consiglio di turno la possibilità di
comandare più che di governare, ma i cosiddetti dissidenti saranno
complici determinanti. Capisco che uscire dal partito possa essere una
cosa difficile e odiosa, ma votare contro quello che impone Renzi, se
non si è d’accordo con lui, è un elementare esercizio di democrazia. Se
poi sarà lui a estromettere dal partito chi non la pensa come lui, sarà
una bella prova di autocrazia che ricorderà molto da vicino quello che
accade nel Movimento 5 Stelle. Se, invece, ritenete che il destino di un
nome di partito sia più importante dello spirito con cui quel partito è
stato fondato, allora chiedetevi perché quelli che a quello spirito
avevano aderito più o meno ufficialmente dovrebbero votarvi ancora.
In questi giorni parlo molto di
Costituzione e da alcuni, che evidentemente hanno recepito la spinta
renziana a trasformate il referendum in plebiscito, mi sento rispondere
con la domanda: «Cosa succede se Renzi perde e se ne va?» Do a voi la
stessa risposta che do agli altri: «Se Renzi se ne va, il Presidente
della Repubblica cercherà un’altra possibile maggioranza, magari
incaricando questa volta qualcuno che è stato davvero eletto; se non ci
riuscirà convocherà le elezioni e sarà il popolo a decidere secondo la
legge elettorale che sarà in vigore dopo il responso della Consulta
sulla legittimità costituzionale dell’Italicum. E comunque non credo
proprio che Renzi sia l’unico italiano in grado di guidare degnamente un
governo. Quanto al destino del PD, mi domando: cosa potrà accadere se
non si spacca il PD, ma si spacca la nazione?».
Dubito che qualcuno dei diretti
interessati al “Caro PD” leggerà questi miei pensieri, ma se lo dovesse
fare, lo invito a meditare bene perché la complicità non è molto diversa
dalla colpevolezza.
Tutti gli “Eppure…” li puoi trovare anche all’indirizzo http://g-carbonetto.blogspot.it/
Nessun commento:
Posta un commento