Nel 2005 Sergio Luzzatto diede alle stampe il pamphlet “La crisi dell’antifascismo” e per presentarlo fu organizzato a villa Manin un convegno intitolato “Verso il post–antifascismo”
al quale partecipai con l’autore stesso e con Ettore Mo. Fu l’occasione
per analizzare tutti i segni che già allora indicavano che i fascisti
non soltanto stavano rialzando la testa, ma chiedevano addirittura una
piena, oltre che impossibile, riabilitazione.
Ora sembra quasi che il viaggio
sottinteso da quell’avverbio “verso” si sia fortemente avvicinato alla
conclusione, visto che gli ultimi avvenimenti vengono trattati come
episodi di scarsa importanza e non collegati tra loro. A Ostia le botte
con i manganelli che si accompagnano al fortunatamente incompleto
successo elettorale della destra estrema, vengono attribuiti soltanto
alla malavita. A Como l’irruzione di una dozzina di naziskin quasi in
divisa nella sede di un gruppo di accoglienza viene derubricata da molti
a ragazzata, o, al massimo, a intimidazione, come se perché si
configuri la violenza fosse necessario che ci siano ematomi, ecchimosi,
spargimenti di sangue e come se il fascismo e tutte le dittature, di
qualunque colore fossero e siano, non facessero sentire la propria
prepotenza soprattutto con intimidazioni psicologiche riservando
manganello, olio di ricino e armi propriamente dette soltanto ai casi
più ostici e ad azioni di propaganda intimidatoria, appunto.
In questi anni troppi sono stati gli
episodi di riemersione fascista e troppi i silenzi, o addirittura le
complicità sotterranee, quasi sempre motivate da miopi convenienze
politiche. Ed è giunto il momento che, al di là della doverosa
indignazione pubblica, si ricominci a pensare che antifascismo, non è
una vuota parola da usare soltanto nei discorsi celebrativi, ma è un
vocabolo vivo, fatto di carne e di sangue, di dolore e di morte, sul
quale si fonda tutta la nostra Costituzione e, quindi, la nostra
Repubblica.
Non può non essere considerato
colpevole chi ha lasciato che un deprecabile revisionismo tentasse – e
ancora tenta – di smontare e ricostruire la storia, parlando di “guerra
civile” e non di Lotta di Liberazione, come se i fascisti alleati dei
nazisti e coloro che hanno liberato l’Italia da loro fossero
semplicemente due parti diverse in una lotta fratricida tesa soltanto
alla conquista del potere. E non ci fossero, invece, da una parte
l’aggressione e il sopruso, e dall’altra la ribellione di difesa e di
riscatto. Ripetendo continuamente – e giustamente – che tutti i morti
meritano identica pena, ma dimenticando ingiustificabilmente di dire che
gli ideali per i quali hanno dato la vita sono diversi e hanno ben
diversa motivazione e dignità. Mettendo in maniera inammissibile sullo
stesso piano coloro che al fascismo si sono opposti e coloro che il
fascismo hanno sostenuto. E non perché i primi abbiano vinto la guerra e
i secondi l’abbiano perduta, ma perché il fascismo è stato la
promulgazione delle leggi razziali, le guerre di aggressione coloniale,
l’ingresso in guerra a fianco dell’orrore nazista, i pestaggi, le
prigionie, gli assassinii di tanti avversari politici, l’uccisione di
Matteotti, dei fratelli Rosselli, di Amendola e di tanti dissidenti,
l’invio al confino – e non in vacanza, come ha detto Berlusconi, allora
impudente e ignorante presidente del consiglio – di molti altri che si
opponevano perché si rifiutavano di smettere di pensare; è stato la
soppressione della libertà di stampa, l’eliminazione della maggior parte
dei diritti civili, la dissuasione violenta nei confronti del libero
pensiero. Dall’altra parte i partigiani erano coloro che volevano
giustizia e libertà nell’ambito di una pace e di una democrazia che oggi
sicuramente non sarà così bella come loro allora la sognavano, ma che
esiste ancora e che non abdica mai alla speranza di migliorare.
Il fascismo e il nazismo sono state
due tra le più forti negazioni dell’umanità, mentre la Resistenza e
l’antifascismo, di quella stessa umanità, sono state tra le più alte
affermazioni laiche.
Parafrasando la frase scritta da
Bertold Brecht nella “Vita di Galileo”, «Sventurata la terra che ha
bisogno di eroi», si potrebbe dire «Felice quel popolo che non ha
bisogno di Giornate della memoria». È triste dirlo, ma il nostro non è
un popolo felice e ha ancora un disperato bisogno di ricordare per non
ripetere gli errori – e soprattutto gli orrori – del passato. E Per
rendersi conto del valore della memoria, basterebbe pensare a come in
Italia, siano tornate a galla idee aberranti come xenofobia, aterofobia,
razzismo; in definitiva, a come stia nuovamente gonfiandosi
l’intolleranza contro coloro che sono avvertiti come diversi.
Nella parte finale della nostra
Costituzione è scritto: «È vietata la riorganizzazione, sotto qualsiasi
forma, del disciolto partito fascista». Molti la ricordano come la
dodicesima delle “disposizioni transitorie”, ma intanto va ricordato che
il titolo esatto della sezione è “Disposizioni transitorie e finali” e
anche che, se proprio non la si vuole vedere come finale, questa
prescrizione vedrebbe chiudersi la propria provvisorietà non dopo un
determinato numero di anni, ma soltanto dopo la sparizione definitiva di
ogni rigurgito fascista. Cioè, come storia e cronaca ci insegnano,
purtroppo mai.
Tutti gli “Eppure…” li puoi trovare anche all’indirizzo http://g-carbonetto.blogspot.it/
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