A colpire l’attenzione non è tanto un titolo di Repubblica
– “Anno 2018, l’Italia senza un leader” – quanto il fatto che questo
titolo sembra nascondere un rammarico che poi è confermato dal cappello
dell’articolo che riferisce di un sondaggio Demos e che dice: «Secondo
gli italiani, il 2018 sarà un anno senza luce. E senza luci. Perché
l'orizzonte appare grigio e non si scorgono figure in grado di
illuminarlo. Al contrario. Perché gli unici soggetti significativi
emergono sugli altri per la loro capacità di oscurare».
Ebbene, per quanto mi riguarda,
proprio questo titolo mi induce, sia pur molto timidamente, a
intravvedere qualche barlume di speranza e a far venire a galla quello
che posso considerare il mio massimo desiderio politico per il 2018,
cioè quello che finalmente si inverta la tendenza generale e che si
finisca di parlare di leader per tornare a parlare di partiti e di
ideali, se non proprio di ideologie. Perché, se davvero si vuole sperare
in un futuro migliore per tutti, quella di cercare a tutti i costi un
leader e di concedergli di una fiducia totale, è l’unica strada che
certamente non si deve seguire. Lo ha dimostrato ad abundantiam la
storia e continua a dimostrarlo ampiamente anche la cronaca. E se una
volta il leaderismo solitamente portava a una dittatura, oggi la stessa
disgrazia induce, senza eccezioni, a un impoverimento politico e,
conseguentemente, sociale.
Potrebbe già bastare una semplice
considerazione di base a dimostrare il fallimento già segnato di una
realtà in cui tutto il potere è nelle mani di un uomo solo: se nessuno è
in grado di controbattere ciò che dice il capo, o se il capo comunque
non ascolta, allora ogni errore diventa inevitabile e inemendabile.
Perché nessun uomo è infallibile. E la somma di tanti errori costituisce
invariabilmente un disastro.
Ma altre considerazioni possono
essere aggiunte: la crescente e inarrestabile autostima di chi si sente
il capo di tutto; il crescente disinteresse di chi sa che comunque non
potrà mai incidere neppure nelle decisioni che lo riguardano;
l’impoverimento di quella che dovrebbe essere la futura classe politica e
che, invece, si riduce a poco più che una corte di questuanti e
reverenti; la ricerca continua, da parte del capo, di rimuovere ogni
tipo di ostacolo che potrebbe fargli perdere tempo nel percorrere la
strada che ha deciso di percorrere.
Non è difficile ritrovare tutto ciò
in Italia e nei tempi che stiamo vivendo: leader, come Renzi, che si
sentono talmente forti da impostare una campagna referendaria
tramutandola in un plebiscito – perdente – sulla propria persona; altri,
come Grillo, che cambiano le regole interne se i risultati delle
consultazioni interne non sono quelli a lui graditi; altri, come
Berlusconi, che continuano a ritenere scemi i propri elettori
promettendo loro ancora una volta le stesse cose che è già stato
dimostrato inequivocabilmente essere impossibili; altri, come, Salvini,
che promettono di risprofondare in un passato cupo, incivile e nel quale
possono stare bene soltanto coloro che già stanno bene e che sono
capaci di non sentire i morsi della propria coscienza; altri, come Di
Maio, che danno continuamente prova della propria ignoranza, spicciola e
generale, e che continuano a pretendere che gli altri pensino che
l’ignoranza sia una variabile inessenziale nel valutare la capacità di
risolvere problemi complessi; altri ancora che agognano a diventare
leader di qualcosa e che non hanno avuto ancora la possibilità di
contribuire con i loro atteggiamenti a screditare il leaderismo.
E, nel
frattempo, sempre meno cittadini vanno a votare perché si sentono sempre
più esclusi dal processo democratico e sempre più spesso le leggi sono
pasticciate, illeggibili, addirittura dannose più che inutili.
In definitiva l’auspicio è che
l’anno nuovo porti i primi germi della rinascita di quelli che una volta
erano i partiti che nascevano come organizzatori del consenso su tracce
ideali, sociali e politiche ben definite e che scompaiano quelle
organizzazioni che continuano a essere definiti partiti (anche se nel
caso del M5S rifiutano tale appellativo), ma che, in realtà, sono
soltanto macchine elettorali che rendono gli ideali asserviti alle
rilevazioni dei sondaggi e che, quindi, diventano ondivaghi, anche su
questioni di importanza etica primaria, perché a fare premio su tutto è
la possibilità di lucrare qualche voto il più alle elezioni successive.
E, a proposito di elezioni, parlando
della parte politica nella quale mi riconosco e cioè la sinistra, visto
che nessuno parte rassegnato, ma che è certamente difficile ipotizzare
un successo pieno a pochi mesi dalla propria nascita, credo che questa
occasione vada sfruttata soprattutto come base di partenza per una vera
rinascita del modo giusto di fare politica, nel quale è importante far
capire che c’è ancora qualcuno che vuole portare avanti le proprie idee
sociali più che battagliare per avere un posto di rilievo; un’occasione
nella quale almeno qualche leader finalmente torni a parlare soprattutto
di ideali sociali e molto meno di strategie elettorali.
Buon 2018 a tutti. Ricordando sempre che quello che ci riserberà dipenderà in gran parte proprio da noi.
Tutti gli “Eppure…” li puoi trovare anche all’indirizzo http://g-carbonetto.blogspot.it/
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