Rinverdendo una
tradizione che ben si sposava al sistema elettorale maggioritario, ne
parlano in molti. Il cosiddetto “voto utile”, è invocato soprattutto da
Renzi che avverte minacciosamente gli elettori orientati a sinistra che
«ogni voto dato a Liberi e uguali sarà un voto dato alla destra, o ai
Cinque stelle». Ma lo usano abbondantemente anche Berlusconi che si
richiama al “voto utile” per accreditarsi come unica diga, anche
all’interno della sua stessa attuale coalizione, capace di bloccare i
grillini, e Salvini. E lo invocano con convinzione anche gli stessi
seguaci di Grillo che puntano, invece, a tentare di mettere insieme un
tale numero di seggi da rendere obbligatoria la loro chiamata al colle.
Ora appare del tutto evidente che
ogni voto sarà sicuramente utile per chi lo riceverà, ma è altrettanto
certo che questa sua caratteristica svapora fino a scomparire totalmente
per gli elettori, a meno che la cosiddetta “utilità” e la convinzione
politica non indirizzino contemporaneamente verso la medesima casella da
barrare. Anzi, se questo non avviene, il voto è talmente poco utile da
diventare “futile”, cioè – come recita il vocabolario Treccani – di
scarsissima importanza e serietà.
Dicevo all’inizio che il “voto
utile” nasce con il sistema elettorale maggioritario e corrisponde a un
voto dato al candidato che si ritiene possa vincere invece che al
candidato più gradito. Ma non si può dimenticare che questa volta i due
rami del Parlamento saranno eletti con una legge che, oltre che essere
per due terzi proporzionale, sembra disegnata apposta per allontanare
ulteriormente i cittadini dalla scelta diretta di chi dovrebbe
rappresentarli per rendere effettiva la loro delega, e che, in queste
condizioni si finisce per votare per il partito e non per il candidato,
cosa che, invece, sarebbe stata possibile, se la fertile fantasia di
Rosato avesse accettato quel “voto disgiunto” proposto da più parti, ma
inesorabilmente affogato nel cupo mare delle fiducie.
Chi invoca il “voto utile”, poi, non
si rende conto che il modo dissennato di fare politica di questi ultimi
decenni, portati avanti nel segno della cosiddetta “governabilità” e
del decisionismo del capo, ha prodotto disastri difficilmente curabili:
molti, sentendosi “inutili”, si sono allontanati non soltanto dalla
politica attiva, ma addirittura dalle urne, mentre quelli che sono
rimasti sono diventati degli estremisti. E non pensiate che io stia
parlando soltanto di attivisti dell’ultradestra, o dell’ultrasinistra:
gli estremisti oggi sono anche di centro, perché il senso di lontananza e
di rifiuto non soltanto per i più lontani, ma anche per i più vicini,
ha finito per rendere estrema qualunque posizione, anche quelle che la
vulgata comune definiva “moderate”. E così l’ossimoro “estremisti di
centro” non strappa più sorrisini, ma descrive una realtà davvero
esistente. E questo avrà effetti non soltanto sulle elezioni, ma anche
su quello che accadrà dopo in quanto sarà estremamente difficile che gli
attuali partiti riescano a dare vita a coalizioni di governo alle quali
non sono più abituati e che, dopo aver demonizzato chiunque altro, non
sarebbero più capaci di gestire senza perdere la faccia e la simpatia
degli elettori loro rimasti.
Ma, oltre a essere “futile” perché
“di scarsissima importanza”, il teorico “voto utile” è ancor più
pericoloso in quanto è “di scarsissima serietà”. Al cittadini si dice,
infatti, di non votare per coloro che si impegnano a portare avanti le
idee sociali e politiche dell’elettore steso, ma per coloro che sono “i
meno peggio”. E così facendo si induce nel corpo elettorale, oltre alla
rabbia per un evidente ricatto psicologico, non la delusione, ma la
disperazione perché nessuno in queste condizioni spera più che la
situazione possa cambiare, che, come accadeva una volta, possano più
diventare reali alcune di quelle che vengono chiamate utopie, che il
nome democrazia abbia ancora il significato etimologico di potere del
popolo e che non nasconda, invece, autoritarismi di vari colori, forze,
orientamenti.
Pietro Grasso ha detto che l’unico
voto utile «è quello che costruisce la rappresentanza democratica, le
idee, i valori, i programmi e le speranze portando in parlamento i
bisogni e le richieste di quella metà di Italia che non vota». Niente da
eccepire, ma se qualcuno mi chiedesse quale può essere un voto utile,
preferirei lasciare la scelta della definizione a quei quattro milioni
di italiani che hanno contratti di lavoro – i cosiddetti “fast Job” – di
una durata che va dal giorno ai tre mesi e che le uniche cose che hanno
a tempo indeterminato sono la sottrazione di dignità, la fame, il
disagio, la paura per il futuro, l’impossibilità di curarsi. Ed
estenderei la domanda anche a quegli altri ultimi che, incredibilmente,
possono stare anche peggio. Tutto quello che non è utile a loro, per una
comunità nazionale è soltanto futile.
Tutti gli “Eppure…” li puoi trovare anche all’indirizzo http://g-carbonetto.blogspot.it/
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