Pochi se ne
ricordano e ancor meno sono coloro che hanno interesse a ricordarsene,
ma il 22 dicembre ricorre il settantesimo anniversario
dell’approvazione, da parte dell'Assemblea Costituente, della nostra
Costituzione che –come promemoria per i prossimi giorni – fu poi
promulgata dal capo provvisorio dello Stato, Enrico De Nicola, e
pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale in edizione straordinaria cinque
giorni dopo, il 27 dicembre, ed entrò in vigore il primo gennaio del
1948.
E, del resto, sarebbe strano che se
ne ricordassero perché non si vede davvero il motivo per il quale
istituzioni, uomini politici, amministratori, partiti che hanno fatto di
tutto per stravolgerla dovrebbero oggi ricordare la debacle subita il 4
dicembre nel referendum popolare che l’ha invece salvata. Né hanno
interesse a ricordarlo i partiti che si sono schierati contro
l’iniziativa dell’allora presidente del Consiglio Matteo Renzi più per
motivi di politica spicciola che per ideali democratici. Mentre quelli
che lo hanno fatto perché davvero ci credevano sono tornati nell’ombra, o
per libera scelta, o in quanto l’imminenza di importanti appuntamenti
elettorali ha portato ancora una volta in primo piano la caccia al voto e
alle candidature, relegando soltanto sullo sfondo, se non a parole, i
discorsi politici e su quelli che vengono definiti “i programmi”.
Così non fosse l’anniversario della
Costituzione non sarebbe stato messo in ombra neppure dalla vicenda
Boschi – Banca Etruria nella quale appare evidente a tutti che né il
presidente del Consiglio, né la ministra hanno puntato una pistola alla
tempia di chi doveva decidere il destino di quell’istituto di credito e
che, quindi, non hanno fatto pressioni. Se poi, dopo il colloquio con la
ministra, Ghizzoni si è visto arrivare una mail di garbato sollecito a
dare notizie da parte di Marco Carrai, grande amico dell'ex presidente
del Consiglio Matteo Renzi, neppure questa può essere considerata una
pressione e poi comunque – come ha detto Rosato con la stessa
autorevolezza e onestà intellettuale con cui difende la legge elettorale
che da lui prende il nome – in tutto questo il PD non c’entra.
Ma a dimostrare che all’attuale
panorama politico della Costituzione importa poco o niente è la
discussione sulla finanziaria. Forse non è superfluo ricordare che
l’articolo 1 della nostra Carta fondamentale recita così: «L’Italia è
una Repubblica democratica, fondata sul lavoro. La sovranità appartiene
al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione».
Ed è proprio su quella parolina “lavoro” che dovrebbe appuntarsi la
nostra attenzione.
Mentre nella Manovra per il prossimo
anno entrano svariati provvedimenti tesi a elargire contributi
economici di vicinanza politica o territoriale che puntano a ottenere un
segno di gratitudine al momento di inserire la scheda nell’urna, dal
dispositivo escono alcuni correttivi a costo zero che erano stati
promessi proprio perché ad alcuni quella parola “lavoro” interessa
parecchio, sia perché fornisce, a chi ce l’ha, la possibilità di
campare, sia in quanto la sua assenza ufficiale costituisce, in una
società come la nostra, una gravissima sottrazione di dignità.
Ebbene, distratti dai discorsi sulle
banche e da altre quotidiane polemiche di piccolo cabotaggio, inventate
quasi esclusivamente per ottenere qualche titolo sui giornali o nei
telegiornali, quasi nessuno ha parlato con il risalto che avrebbe
meritato del fatto che le promesse di modifica del Jobs act, comunque
leggerissime, sono saltate immediatamente, senza neppure soverchie
discussioni. Sono scomparse le novità sulla durata massima dei contratti
a termine e delle proroghe che avrebbero dovuto passare da 36 a 24 mesi
e, su indicazione del governo, è stato anche ritirato l'emendamento che
portava da 4 a 8 le mensilità minime da pagare al lavoratore in caso di
licenziamento senza giusta causa. Nonostante l’abbondante spreco di
parole, insomma, il lavoro resta in fondo alla graduatoria delle
preoccupazioni di gran parte del nostro mondo politico al quale continua
a far comodo non rilevare che nelle statistiche hanno lo stesso valore
coloro che lavorano a tempo pieno e indeterminato e quelli che hanno
impieghi da un giorno al mese, e appare evidente che l’offerta di
correzioni del Jobs act fatta ad Articolo 1 – MDP da parte dei mediatori
del PD era soltanto un espediente per raggiungere un’alleanza
elettorale e non un segnale di cambiamento di rotta sociale.
Può far piacere sentire che il
presidente della Commissione Lavoro della Camera, il dem Cesare Damiano,
dica: «L'esecutivo sta compiendo un errore che non è di poco conto. La
prossima legislatura dovrà affrontare questo problema perché in Italia
licenziare costa troppo poco ed è diventato troppo facile». Ma prima di
congratularsi con lui, sarebbe l caso di ricordargli che continua a
sostenere un partito senza il quale licenziare non sarebbe costato
«troppo poco», e di chiedergli se davvero ritiene che chi sarà al
governo nella prossima legislatura – destra, grillini o PD di Renzi – si
impegnerà a cambiare quello che in questa legislatura nessuno si è
impegnato a evitare.
Credo che il settantesimo
anniversario della Costituzione non richieda molti festeggiamenti, né
ridondanti celebrazioni, ma che almeno imponga di pensare prima di
recarsi alle urne. Ricordando come a questa Costituzione si sia arrivati
e quanto sangue e sofferenze sia costata non possiamo non chiederci
ancora una volta: come abbiamo fatto a permettere di tradire così tanto
quei sacrifici? Come abbiamo fatto a disattendere così tanto quelle
speranze?
Tutti gli “Eppure…” li puoi trovare anche all’indirizzo http://g-carbonetto.blogspot.it/
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