Più d’uno in
questi ultimi anni mi ha accusato di avercela con Renzi. E a tutti ho
risposto che avevano certamente ragione, ma che non si è mai trattato di
antipatia preconcetta, bensì di avversità ragionata. E questa volta,
per dimostrarlo, preferisco lasciare la parola ad altri. Anche perché
sono altri quelli che stanno rendendo ben poco gradito il Natale di
Renzi con regali davanti ai quali il carbone che la Befana porta ai
cattivi sembra quasi una specie di premio.
Cominciamo con i sondaggi di Ixé che
danno per la prima volta il PD sotto il 23 per cento con un crollo che
da ottobre in poi sembra irreversibile e che in due mesi ha fatto
perdere circa 5 punti al partito di Renzi. È evidente, quindi, che non
di centinaia di migliaia di casi di antipatia personale si tratta, bensì
del rifiuto diffuso di una politica inaccettabile. Che taluni abbiano
fiutato da subito l’andazzo e che altri ci siano arrivati soltanto in
questi ultimi mesi non cambia la sostanza delle cose: la politica del PD
di Renzi non è stata una politica di centrosinistra, o, per essere più
semplici, non è stata la politica del PD che avrebbe dovuto essere nato
dall’Ulivo di Prodi; non è stata la politica che avrebbero voluto
moltissimi di quegli elettori che avevano dato il proprio voto al
programma di Bersani e che si sono visti realizzare in buona parte,
invece, quello che è stato il programma di Renzi, troppo spesso molto
simile a quello che era stato il programma di Berlusconi.
E che non di antipatia personale si
tratti è confermato da almeno altri due casi, entrambi riportati da
HuffPost. Il primo riguarda Franco Monaco, deputato PD, il quale, in una
sua lettera, afferma che «nell’ultimo giorno di lavori per la Camera
posso lasciare il PD a tutti gli effetti. In verità, da gran tempo mi
considero fuori dal partito, cui non ho rinnovato l’iscrizione, e
tuttavia non ho lasciato il gruppo parlamentare PD. Ci sono stato al
modo di indipendente sempre più estraneo. Ripeto: non ho lasciato il
gruppo PD, ma sento il dovere di mettere a verbale, prima dell’imminente
scioglimento delle Camere, il senso della mia estraneità a esso. Molte
le ragioni. La principale è che questo PD è cosa affatto diversa dal PD
pensato nel solco dell’Ulivo, partito di centrosinistra nitidamente
alternativo al centrodestra. Diverso per profilo, posizionamento,
politiche».
E poi elenca una serie di cose
inaccettabili: «un uso improprio e strumentale delle istituzioni», «un
cedimento a umori anti-istituzionali che già avevano connotato la
campagna referendaria e che vanno a sommarsi ad atteggiamenti corrivi
con la facile demagogia su questioni cruciali come l’Europa e il fisco.
Associati altresì allo sport nazionale dei “fake program” nella spesa
pubblica. Immemore della lezione dei migliori governanti del
centrosinistra il cui motto fu “dire la verità agli italiani”».
Sul caso Boschi, poi, dice che «se
anche le ragioni stessero tutte dalla parte della sottosegretaria
renziana trovo incredibile che chi esordì rottamando i politici
“avvitati alla poltrona” non si faccia scrupolo di procurare danni
irreparabili al proprio partito. Con i molti ostaggio di pochi. Del
resto, lo stesso si deve dire per Renzi. Non c’è chi non veda come egli,
con il suo spirito divisivo e la sua sequela di sconfitte, abbia
condannato il Pd all’isolamento e, dunque, rappresenti un oggettivo
ostacolo alla ricostruzione di un centrosinistra. È di palmare evidenza
come un suo inequivoco passo indietro gioverebbe (...avrebbe giovato) a
una competizione dall’esito altrimenti già scritto». E conclude: «Lascio
il Parlamento senza una casa politica, con l’auspicio che altri possano
riprendere il filo di quel progetto cui demmo nome Ulivo dal cui solco
il PD ha così palesemente deragliato. Anche per l’ignavia dei “fratelli
maggiori” dentro il PD, cui va imputata la responsabilità omissiva di
non avere mosso ciglio a fronte di una deriva da tempo visibilissima, e
che solo ora si profondono in stucchevoli appelli unitari».
Non bastassero queste parole, come
ulteriore regalo negativo a Renzi arriva una lettera firmata dai
dirigenti dei circoli Dem in Europa e segnatamente da Francia, Gran
Bretagna, Germania, Belgio, Lussemburgo e Svizzera. Ebbene, senza
lasciare spazio a possibili interpretazioni, cominciano affermando:
«Abbiamo deciso, dopo una lunga e difficile riflessione, di interrompere
la nostra presenza nel partito che abbiamo contribuito a fondare ed
animare in tutti questi anni. La nostra decisione è frutto di una lunga
serie di considerazioni su un partito che abbiamo sentito sempre come la
nostra casa, e che oggi - nei metodi, nelle scelte di linea politica,
negli atteggiamenti dei suoi dirigenti - non riusciamo più a
riconoscere, a livello nazionale così come nell’attenzione per le
comunità degli Italiani all’estero. Troppi sono gli esempi che, in
questi mesi, ci hanno dimostrato come il nostro impegno è vano, se non
addirittura decisamente sgradito da un gruppo dirigente che ha
dimostrato la sua ottusità nella mancanza di una vera e seria volontà
politica di ascolto della pluralità delle posizioni nel partito».
Proseguono: «Siamo rimasti colpiti dal mancato rispetto, reiterato in
più occasioni, degli organi democraticamente eletti per la definizione
delle scelte politiche nonché del ruolo dei nostri iscritti, nonostante
ci sia, nelle prossime settimane, un appuntamento elettorale cruciale
per il nostro Paese, eppure già compromesso da una rottura, di certo non
evitata ma addirittura provocata dalle politiche di questi anni,
nell’area del centrosinistra».
E, dopo aver citato tutta una serie
di insoddisfazioni anche nello specifico degli italiani all’estero,
concludono: «Tutto questo dimostra per noi una profonda mancanza di
credibilità politica dell’attuale dirigenza del nostro partito, motivo
per cui - pur continuando a batterci per i nostri valori, nell’interesse
delle comunità italiane in Europa - abbiamo deciso di non volerci più
impegnare per questo PD».
Ebbene, al netto della mia assoluta disistima nei confronti di Renzi,
ormai credo si possa paragonare l’ancora attuale segretario del PD a una
sorta di novello Sansone che, nel momento in cui si rende conto di
avere perduto ogni speranza di vittoria, preferisce copiare il
personaggio biblico nella sua famosa frase «Muoia Sansone con tutti i
Filistei» facendo crollare il tempio, nella fattispecie il PD, su se
stesso e su tutti coloro che ancora vi sono dentro.
A questo punto, però, appare sempre
più difficile separare le responsabilità di Sansone da quelle dei
Filistei che avrebbero potuto in più occasioni far uscire Sansone e
salvare il tempio che, simbolicamente, con i suoi valori, è decisamente
più importante di qualunque Filisteo. Ormai è quasi certamente troppo
tardi per riparare i danni compiuti, ma vorrei che ci si ricordasse che
un’elezione persa non significa la sconfitta definitiva degli ideali, ma
che la distruzione di quello che era uno dei contenitori più importanti
di quegli ideali può condannare a una lunghissima e faticosissima opera
di ricostruzione da zero prima di poter sperare di riprendere quella
strada che ha portato ai progressi sociali che abbiamo visto realizzare
prima che per troppi la politica diventasse soltanto una corsa al posto e
al potere e non fosse più, invece, il lavoro di ragionamento,
previsione e mediazione necessario per il realizzare il bene comune
possibile per tutti.
Buon Natale a tutti. Ma che sia un
Natale vero e cioè non festivo, ma quel tanto di arrabbiatura che deriva
dal fatto di essere consci che la nascita che si celebra era avvenuta
per cambiare in meglio il mondo.
Tutti gli “Eppure…” li puoi trovare anche all’indirizzo http://g-carbonetto.blogspot.it/
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