Talvolta
restiamo talmente affascinati dalle parole da non accorgerci che con
quelle stesse parole ci stanno turlupinando. A dire il vero, quando ci
siamo resi conto che la dizione “ius culturae” era stata coniata per
rendere meno sgradevole il concetto di “ius soli” alla destra e ai
grillini, avremmo dovuto immediatamente subodorare la fregatura, ma,
come spesso accade, a farci cadere in trappola è stata la fretta e la
rinuncia a dedicare una congrua quantità di tempo alla riflessione prima
di esprimere un giudizio, o anche soltanto a indagare meglio sul perché
abbiamo provato quell’istintivo fastidio iniziale.
Perché il cosiddetto “ius culturae”,
spesso citato dal ministro Minniti, dietro un’apparente gradevolezza
legata al fatto che “ius” significa diritto, è, in realtà, un concetto
molto più indigesto di quelli dello “ius soli”, o dello “ius sanguinis”
che indicano, rispettivamente, il diritto di cittadinanza che è legato
al luogo dove si nasce, o quello che discende dai genitori. Non solo è
totalmente alieno a un pensiero pur vagamente di sinistra, ma
addirittura, se ci si pensa bene, fa accapponare la pelle in quanto
ridesta memorie terribili che non vorremmo mai che tornassero a
diventare realtà.
Lo “ius culturae”, infatti, non può
non chiamare in causa un’altra parolina pericolosissima: “identità”, che
etimologicamente discende dal latino “idem”, proprio quello, da cui
deriva anche l’italiano “identico”, che indica tutto quello che è
perfettamente uguale all’originale. Quindi, se si dà per assodato quel
“modello base” nel quale la vulgata più diffusa identifica l’italiano,
questo vuol dire che ha la sua stessa identità soltanto chi parla la
stessa lingua, professa la medesima religione, ha un uguale colore della
pelle, si riconosce nella stessa storia, si riferisce a basi culturali
coincidenti, mangia seguendo abitudini simili, e così via.
Ne discende, come ovvia conseguenza,
che se tutte queste caratteristiche dovessero essere sottoposte a
esame, anche molti di quelli che oggi sono italiani perché lo
testimoniano i loro genitori, italiani a loro volta, vedrebbero messa a
forte rischio – anche soltanto per la lingua e per la cultura – la loro
cittadinanza italiana. Nessuno, infatti, potrebbe essere tanto italiano,
tedesco, inglese, francese, ungherese, o quello che preferite, da poter
sfuggire a un superbo e puntiglioso esercizio della negazione.
Allora appare chiaro che il vero
problema non è che molti potrebbero restare esclusi, ma è che tutti noi
potremmo restare esclusi, a seconda di chi decide quale sia la cultura,
la lingua, la religione, l’ascendenza alle quali fare riferimento.
Inoltre, la storia – italiana,
europea e mondiale – ci fa ricordare che ci sono state ciniche, violente
e sanguinarie esclusioni basate anche sulla mancanza di una sola di
queste identità.
E, a proposito di Europa e
dell’assurdità di voler fissare un’ancor più complicata “identità
europea”, ricordo che in una di quelle splendide serate di arricchimento
culturale, sociale e religioso che accompagnavano le prime edizioni
della mostra di Illegio, discutendo con il cardinale Paul Poupard,
allora presidente del Pontificio consiglio per la cultura, e con il
professor Tomas Halik, allora consulente del presidente ceco Vraclav
Havel, sulla richiesta vaticana di inserire nello Statuto europeo una
sottolineatura sull’anima cristiana dell’Europa, dopo aver ricordato che
il nostro continente «oggi, oltre ai cristiani contiene milioni di
ebrei, musulmani, buddhisti, induisti, animisti e altri, ma anche
persone che non credono in alcun Dio, ma nelle tecnologie, o nelle
ideologie, o anche nell’onnipotenza del denaro», ebbi a dire che «è ben
vero che l’anima europea è del tutto incomprensibile se non si fa
riferimento al cristianesimo, ma che la sua complessità e la sua
ricchezza sarebbero ben difficilmente comprensibili anche senza la
filosofia dei greci e il diritto dei romani, senza l’arte del
rinascimento, il pensiero dell’illuminismo, l’innovazione sociale della
rivoluzione francese, l’utopia marxista, gli estremisti ideologici
violenti e assortiti; purtroppo anche senza la piaga dei nazionalismi e
dei razzismi che ancora di tanto in tanto tornano pericolosamente a
galla. Insomma, le radici cristiane hanno, secondo me, ovvio e pieno
diritto di cittadinanza nell’anima europea, ma la loro presenza non può
essere “ad escludendum”, rispetto a chi cristiano non è, bensì deve
avere lo scopo di portare la propria grande ricchezza ad accumularsi con
le ricchezze che portano anche gli altri a creare un patrimonio che può
essere preziosissimo, per profondità e moderazione, per tutto il resto
del mondo».
Sentir parlare oggi dello “ius
culturae” e per di più da parte di un cosiddetto esponente del
centrosinistra, è un’ulteriore dimostrazione che l’attuale politica non
ha più valori, ideali e punti di riferimento. E che, se non li
recupererà al più presto, i rischi per il futuro saranno davvero
terribili.
Non possiamo non renderci conto che
quello di “identità culturale” è un concetto pericoloso e che, visto che
siamo tutti diversi, quello di “identità collettiva” altro non è che un
artificio semantico truffaldino, fittizio e non reale. E, allora, se
l’identità nasce per dividere, per unire non si può non fare riferimento
al concetto di appartenenza, a una specie di “ius voluntatis” che si
esercita decidendo, o meno, di essere obbedienti e ossequienti alle
leggi e alle regole che una società si è data.
E allora riacquisterebbero il loro
posto e peso reali anche la parola “confine” che è quella linea che
mette a contatto (“cum”) noi e gli altri, e la parola “frontiera” che
indica, invece, che dalle due parti di quella linea immaginaria si
fronteggiano entità non soltanto diverse, ma che vogliono sopraffarsi a
vicenda.
E se uno è davvero di sinistra, caro
ministro Miniti, non parla di “ius culturae” e, quindi, di identità, ma
di condivisione. Non parla di frontiere che separano, ma di confini che
invece attraversano fruttuosamente tutta la società e, uno per uno,
tutti noi stessi, che anche di contraddizioni siamo fatti.
Tutti gli “Eppure…” li puoi trovare anche all’indirizzo http://g-carbonetto.blogspot.it/
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