La Corte
Costituzionale non ha ancora deciso sull’ammissibilità, o meno, dei
referendum sul Jobs Act, ma da parte degli affezionati sostenitori della
legge renziana sul lavoro, è già cominciata la campagna referendaria
soprattutto sul tema dei voucher che sono balzati in primo piano con il
loro inarrestabile moltiplicarsi e che, in pratica, hanno legalizzato la
precarietà, mentre non sono riusciti a sconfiggere, ma probabilmente
neppure a ridurre, il lavoro nero.
Ora l’attività dei sostenitori del
Jobs Act, Ichino in testa, è tutta concentrata a nel far appuntare
l’attenzione generale soltanto sugli incontestabili abusi commessi dai
cosiddetti datori di lavoro, sottintendendo, in pratica, che soltanto
gli abusi vanno messi in discussione, mentre il voucher sarebbe
un’ottima soluzione per regolamentare il lavoro. Ma non è questo il
punto perché gli abusi devono essere perseguiti dalle forze dell’ordine e
valutati dalla magistratura, mentre è proprio il concetto di voucher –
così com’è concepito nella legislazione vigente – che deve essere
sottoposto al giudizio degli elettori.
E allora ricordiamo cosa sono questi
voucher che sono stati introdotti, come strumento di lavoro
occasionale, nel 2003 dal secondo governo Berlusconi e poi sono stati
inquadrati per la prima volta dalla Legge Biagi e successivamente
limitati nell’utilizzo dal secondo governo Prodi nel 2008. Il quarto
governo Berlusconi ne ha esteso l’utilizzo a tutti i soggetti nel 2010 e
poco tempo dopo vi è stata una loro totale liberalizzazione di utilizzo
con il governo Monti, liberalizzazione ulteriormente rafforzata dal
Governo Renzi che ha innalzato i limiti da 5.000 a 7.000 euro annui e ha
eliminato dalla legge la dicitura «di natura meramente occasionale» che
era l’essenza del buono lavoro. Attualmente, il valore del voucher è di
10 euro di cui 7,50 vanno, netti, al prestatore d’opera, mentre il
resto sono contributi Inps e Inail.
Ora, da settembre, per tentare di
frenare evasione ed elusione, è obbligatorio l'invio di un SMS all'Inps
da parte del committente almeno un'ora prima della prestazione per
tentare di impedire usi fraudolenti, come pagare con voucher solo una
piccola parte del compenso e il resto corrisponderlo in nero.
Entrando nel merito della loro legittimità, dunque, sono da mettere in rilievo almeno due cose.
La prima riguarda il fatto che un
simile tipo di lavoro sta stravolgendo i diritti delle persone perché il
lavoratore viene assimilato a una merce che si può acquistare
velocemente dal tabacchino e che può essere abbandonata senza alcuna
fatica appena non serve più. Una specie di affinamento e di
ammodernamento della schiavitù: “schiavitù 2.0” direbbero quelli che
amano farsi vedere moderni usando locuzioni diventate luoghi comuni. Ma
in realtà questa, per certi versi, è addirittura peggio della vecchia
schiavitù perché una volta il padrone assicurava comunque vitto,
alloggio e una certa cura che mirava a mantenere la validità e, quindi,
il valore di un proprio patrimonio. Oggi il datore di lavoro occasionale
non deve avere responsabilità di sorta e cibo, tetto e cura sono a
pieno carico di chi, con i voucher, deve tentare di sopravvivere: non
per nulla sono 11 milioni – e sono in continua crescita – gli italiani
che, nel campo della salute, hanno dovuto rinunciare alla prevenzione, o
addirittura alla cura.
La seconda constatazione riguarda il
fatto che i 7,50 euro di corresponsione oraria sono uguali per tutti:
per i laureati assunti a termine per realizzare il business plan di una
piccola azienda, come per la persona incaricata di raccattare le foglie
secche in un parco. E questa aberrante idea di parificare tutto al
livello più basso possibile è stata partorita proprio da coloro che per
decenni si sono riempiti - e si riempiono - la bocca con la parola
“meritocrazia”. E poi si lamentano, stupiti, se i giovani tendono sempre
più a emigrare; oppure cercano di negare questa realtà parlando di
«mitizzazione della fuga dei cervelli».
Insomma, non è che, eliminando l’abuso, il concetto di voucher possa
diventare accettabile. Rimane sempre una negazione del significato di
lavoro come fonte di dignità personale e una deincentivazione alla
crescita culturale e professionale individuale.
Anche sotto questo punto di vista, tantissimi auguri a tutti. Ne avremo davvero bisogno.
Tutti gli “Eppure…” li puoi trovare anche all’indirizzo http://g-carbonetto.blogspot.it/
Nessun commento:
Posta un commento