sabato 10 dicembre 2016

Alleanze, obbiettivi e rancori

Al fatto che in Italia tutto sia un po’ più complicato del normale ormai dovremmo essere abituati, ma – è inutile negarlo – ogni volta restiamo un po’ sorpresi.

Prendiamo, per esempio, il referendum: si poteva votare Sì, oppure No e, quindi, oggi ci dovrebbero essere soltanto un vincitore e un perdente. Invece i vincitori si moltiplicano: al di là di quelli – che non sono pochi – che hanno votato No perché ritenevano che non si dovesse rinunciare a una fetta di democrazia, hanno voluto mettere cappello sul risultato i grillini, i leghisti, i berlusconiani e, in generale, quelli di destra.

Gli sconfitti, invece, tendono a mimetizzarsi se è vero che anche Renzi – indiscutibilmente quello che tutto ha scommesso e tutto ha perduto – è arrivato a teorizzare che, tutto sommato, il suo è stato quasi un successo perché tenta di intestarsi l’intero gruppo del 40 per cento degli italiani che hanno votato Sì.

E, sull’onda di questo tentativo di gioco delle tre carte destinato agli elettori più distratti, o più vogliosi di farsi convincere, fa finta di dimenticarsi che per mesi è andato avanti a dire che, in caso di sconfitta, non si sarebbe limitato a dare le dimissioni, ma avrebbe abbandonato per sempre la politica. Cosa che, ovviamente, ora si guarda bene dal fare.

Tra i perdenti, però ci sono quelli che magari non lo ammettono esplicitamente, ma fanno vedere quanto male ci sono rimasti mettendo in campo un livore inverosimile contro coloro che, in linea teorica, tra i vincenti per loro dovrebbero essere politicamente più vicini: quelli che hanno cancellato la riforma Boschi–Renzi–Napolitano da sinistra.

Tutti conosciamo qualcuno tra questi rancorosi pronti ad accusare il No di tutte le disgrazie che capiteranno in Italia nel prossimo mezzo secolo, ma certi meritano davvero una citazione particolare. Michele Serra, per esempio, è uno dei più animosi: accusa “la sinistra a sinistra di Renzi” di saper dire soltanto “No, no, no”, e addirittura di opporsi a Pisapia che si dice disponibile a impegnarsi per la creazione di una nuova forza di sinistra che poi possa allearsi con Renzi per rinnovare le troppo brevi glorie dell’Ulivo.

Per prima cosa sarebbe da precisare, rispolverando una definizione brutta e sbagliata che fa tornare la mente agli anni di piombo, che Renzi non è “un compagno che ha sbagliato”. Intanto perché in lui non c’è nulla di terroristico, ma poi perché non è un “compagno”, visto che non ha alcuna connotazione di sinistra, e perché non “ha sbagliato”, visto che quella riforma fortunatamente abortita lui l’ha pensata, scritta e voluta con fredda determinazione.

Allora, per prima cosa, quella “sinistra a sinistra di Renzi”, o configura, vista la reale posizione di Renzi, quasi come una sterminata prateria, o tende a far pensare che di pensieri di sinistra in Italia ce ne siano rimasti davvero pochissimi; e così non è. Lo dico perché Renzi, anche se afferma di essere uomo di sinistra, in realtà non lo è affatto. Basta pensare alle cose che ha realizzato: il Jobs Act che reintroduce una sorta di schiavismo in cui il lavoratore può essere facilmente acquistato con i voucher al tabacchino e facilmente licenziato con l’unico disturbo di una piccola mancia; lo Sblocca Italia con la sua libertà di cementificare ovunque; la Buona Scuola che non pensa più alla cultura e nemmeno all’istruzione, ma soltanto alle richieste del “mercato”; le tante regalie che, al di là degli scopi elettoralistici, non riducono neppure di un ette le terribili disparità sociali esistenti nel nostro Paese, ma configurano soltanto come un’elemosina per di più fatta con i soldi altrui. E si potrebbe andare ancora avanti.

E allora Serra dovrebbe anche tener conto che nessuno a sinistra rifiuta a priori quell’alleanza con il maggiore partito teoricamente di centrosinistra, ma la rifiuta con Renzi. Perché di Renzi non è che non si fidi – e ne avrebbe già tutte le ragioni – ma perché lo conosce già anche troppo bene.

Si dirà che il PD ha tutto il diritto di scegliersi il segretario che vuole; ed è assolutamente giusto. Ma se il PD sceglie un segretario – e, quindi, una linea politica – che privilegia la governabilità rispetto alla rappresentatività, che vede la democrazia come un fastidio da limitare, se non si riesce a eliminare, perché finisce per cancellare le scelte dei vertici del sistema, che si impegna allo spasimo per favorire banche e mercati e non per cancellare, o almeno diminuire, le diseguaglianze, allora non si capisce proprio perché la sinistra dovrebbe portare voti e forza a un’entità politica che ha obbiettivi diametralmente opposti ai suoi.

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