Al fatto che in
Italia tutto sia un po’ più complicato del normale ormai dovremmo essere
abituati, ma – è inutile negarlo – ogni volta restiamo un po’ sorpresi.
Prendiamo, per esempio, il
referendum: si poteva votare Sì, oppure No e, quindi, oggi ci dovrebbero
essere soltanto un vincitore e un perdente. Invece i vincitori si
moltiplicano: al di là di quelli – che non sono pochi – che hanno votato
No perché ritenevano che non si dovesse rinunciare a una fetta di
democrazia, hanno voluto mettere cappello sul risultato i grillini, i
leghisti, i berlusconiani e, in generale, quelli di destra.
Gli sconfitti, invece, tendono a
mimetizzarsi se è vero che anche Renzi – indiscutibilmente quello che
tutto ha scommesso e tutto ha perduto – è arrivato a teorizzare che,
tutto sommato, il suo è stato quasi un successo perché tenta di
intestarsi l’intero gruppo del 40 per cento degli italiani che hanno
votato Sì.
E, sull’onda di questo tentativo di
gioco delle tre carte destinato agli elettori più distratti, o più
vogliosi di farsi convincere, fa finta di dimenticarsi che per mesi è
andato avanti a dire che, in caso di sconfitta, non si sarebbe limitato a
dare le dimissioni, ma avrebbe abbandonato per sempre la politica. Cosa
che, ovviamente, ora si guarda bene dal fare.
Tra i perdenti, però ci sono quelli
che magari non lo ammettono esplicitamente, ma fanno vedere quanto male
ci sono rimasti mettendo in campo un livore inverosimile contro coloro
che, in linea teorica, tra i vincenti per loro dovrebbero essere
politicamente più vicini: quelli che hanno cancellato la riforma
Boschi–Renzi–Napolitano da sinistra.
Tutti conosciamo qualcuno tra questi
rancorosi pronti ad accusare il No di tutte le disgrazie che
capiteranno in Italia nel prossimo mezzo secolo, ma certi meritano
davvero una citazione particolare. Michele Serra, per esempio, è uno dei
più animosi: accusa “la sinistra a sinistra di Renzi” di saper dire
soltanto “No, no, no”, e addirittura di opporsi a Pisapia che si dice
disponibile a impegnarsi per la creazione di una nuova forza di sinistra
che poi possa allearsi con Renzi per rinnovare le troppo brevi glorie
dell’Ulivo.
Per prima cosa sarebbe da precisare,
rispolverando una definizione brutta e sbagliata che fa tornare la
mente agli anni di piombo, che Renzi non è “un compagno che ha
sbagliato”. Intanto perché in lui non c’è nulla di terroristico, ma poi
perché non è un “compagno”, visto che non ha alcuna connotazione di
sinistra, e perché non “ha sbagliato”, visto che quella riforma
fortunatamente abortita lui l’ha pensata, scritta e voluta con fredda
determinazione.
Allora, per prima cosa, quella
“sinistra a sinistra di Renzi”, o configura, vista la reale posizione di
Renzi, quasi come una sterminata prateria, o tende a far pensare che di
pensieri di sinistra in Italia ce ne siano rimasti davvero pochissimi; e
così non è. Lo dico perché Renzi, anche se afferma di essere uomo di
sinistra, in realtà non lo è affatto. Basta pensare alle cose che ha
realizzato: il Jobs Act che reintroduce una sorta di schiavismo in cui
il lavoratore può essere facilmente acquistato con i voucher al
tabacchino e facilmente licenziato con l’unico disturbo di una piccola
mancia; lo Sblocca Italia con la sua libertà di cementificare ovunque;
la Buona Scuola che non pensa più alla cultura e nemmeno all’istruzione,
ma soltanto alle richieste del “mercato”; le tante regalie che, al di
là degli scopi elettoralistici, non riducono neppure di un ette le
terribili disparità sociali esistenti nel nostro Paese, ma configurano
soltanto come un’elemosina per di più fatta con i soldi altrui. E si
potrebbe andare ancora avanti.
E allora Serra dovrebbe anche tener
conto che nessuno a sinistra rifiuta a priori quell’alleanza con il
maggiore partito teoricamente di centrosinistra, ma la rifiuta con
Renzi. Perché di Renzi non è che non si fidi – e ne avrebbe già tutte le
ragioni – ma perché lo conosce già anche troppo bene.
Si dirà che il PD ha tutto il
diritto di scegliersi il segretario che vuole; ed è assolutamente
giusto. Ma se il PD sceglie un segretario – e, quindi, una linea
politica – che privilegia la governabilità rispetto alla
rappresentatività, che vede la democrazia come un fastidio da limitare,
se non si riesce a eliminare, perché finisce per cancellare le scelte
dei vertici del sistema, che si impegna allo spasimo per favorire banche
e mercati e non per cancellare, o almeno diminuire, le diseguaglianze,
allora non si capisce proprio perché la sinistra dovrebbe portare voti e
forza a un’entità politica che ha obbiettivi diametralmente opposti ai
suoi.
Tutti gli “Eppure…” li puoi trovare anche all’indirizzo http://g-carbonetto.blogspot.it/
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