Sono totalmente
condivisibili le insistenti richieste di dimissioni indirizzate a
Poletti, sedicente ministro del Lavoro, non soltanto da le opposizioni,
ma anche da due parti interne al PD: dai giovani di molte regioni e
dalla sinistra del partito che, almeno per una volta, sembra essere
concorde. Quello che meno convince, invece, sono le motivazioni con le
quali queste dimissioni sono chieste. 5stelle, Lega e Sinistra assortita
le chiedono per “inadeguatezza” del ministro; i giovani PD perché si
sono sentiti feriti dalle sue parole; la sinistra interna al PD, più
pragmatica degli altri, non specifica motivazioni che ai più, visto
quello che Poletti ha detto e fatto, appaiono del tutto superflue, ma
chiedono un pur impossibile scambio: lasciamo il ministro al suo posto
se, in cambio, il governo cancella i voucher.
Obbiettivamente il termine
“inadeguatezza” sembra quello che meglio si attaglia alla situazione, ma
bisognerebbe specificare che in questo caso si va ben oltre
l’inadeguatezza politica per entrare nel campo dell’inadeguatezza
personale. E, infatti nessuno si sogna di accettare le parole di molti
notabili renziani tra i quali, quantomeno per ragioni geografiche, oltre
che per l’importanza degli incarichi da loro rivestiti, merita
ricordare le quasi concordanti prese di posizione, per quanto
evidentemente dovute e sofferte, di Serracchiani e Rosato: «Il ministro
Poletti si è scusato per una frase infelice. Il caso si esaurisce qui».
In realtà, però, sanno benissimo
anche loro che ben difficilmente il caso potrà esaurirsi qui e non
soltanto per il finanziamento pubblico di mezzo milione di euro che, in
un periodo di vacche magrissime per l’editoria, il governo ha concesso
al periodico diretto dal figlio del ministro: di quello, eventualmente,
si occuperà la magistratura.
Il viluppo politico dal quale ben
difficilmente Poletti potrà districarsi consiste nel fatto che il
sedicente ministro del Lavoro ha espresso, con parole sue, concetti che
già erano stati espressi da altri esponenti del governo appena passato e
di quello attuale, ammesso che siano davvero due cose diverse. E,
quindi, per evitare di affondare, con ogni probabilità questo governo
sarà costretto a gettare a mare il proprio improvvido ministro ormai
rivelatosi anche ai più ciechi come una pericolosa zavorra.
Pochi giorni fa aveva espresso
pubblicamente il concetto che le elezioni anticipate dovevano essere
fissate al più presto perché soltanto così si sarebbe potuto
disinnescare il referendum richiesto dalla Cgil su tre aspetti del Jobs
Act che con ogni probabilità si trasformerebbe in un’ennesima figuraccia
(ricordiamoci anche la legge Madia) per la politica renziana e che
svuoterebbe di senso quella legge che si era vantata di essere sul
lavoro, ma che in realtà mira a regolamentare soltanto la precarietà.
Ebbene: il concetto del tentar di neutralizzare il referendum con il
ricorso alle urne, poi messo in chiaro da Poletti, era già
abbondantemente circolato a palazzo Chigi in precedenza, tanto da
trovare posto in numerosi articoli politici su varie testate italiane e
internazionali, come pura ipotesi politica. Poletti, insomma, come di
solito fa, si è limitato a ufficializzare cose istituzionalmente
sconvenienti che, invece dovevano restare segrete e che lui ha sentito
soltanto perché non poteva non essere dove quelle cose venivano dette.
Stessa cornice anche per la
famigerata frase pronunciata a proposito della cosiddetta “fuga dei
cervelli”: «Conosco gente – ha detto Poletti – che è andata via e che è
bene che stia dove è andata, perché sicuramente questo Paese non
soffrirà a non averli più fra i piedi». Altra frase totalmente priva di
diplomazia, però anche difficilmente incasellabile a sinistra in quanto
dimentica che la fuga all’estero non riguarda soltanto “i cervelli”, ma
anche tantissimi cittadini - magari non baciati dal genio, ma comunque
dotati di cervello - che hanno dovuto emigrare con il solo obbiettivo di
sopravvivere economicamente. Una frase, comunque, che contiene un
concetto altrui che Poletti si è limitato a infiocchettare da par suo.
Un paio di mesi fa, infatti, era stato l’allora primo ministro, Matteo
Renzi, a puntare il dito contro la «retorica della fuga dei cervelli»,
durante un intervento in Toscana, poco prima di partire per la cena
negli Stati Uniti con il presidente Barack Obama, specificando anche che
«Bisogna aprirsi alla competizione internazionale; trovare il modo di
essere attrattivi». Sollecitazione alla quale aveva risposto subito il
sottosegretario Scalfarotto con un’altra alzata d’ingegno nella quale
invitava le aziende internazionali a sfruttare il fatto che gli
ingegneri italiani costano meno dei loro colleghi.
Secondo me l’inadeguatezza di cui si
parla esiste, ma non riguarda soltanto il sedicente ministro Poletti,
ma un’intera classe politica sedicente di centrosinistra.
Tutti gli “Eppure…” li puoi trovare anche all’indirizzo http://g-carbonetto.blogspot.it/
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