A chi si chiede –
di solito accompagnando le parole con una smorfia di spocchioso scherno
– cosa faranno “da grandi” i comitati per il NO, quelli ribattezzati da
Renzi “un’accozzaglia”, vogliamo dare, come regali di Natale, due
risposte.
La prima tende a dire cosa non
saranno. Siamo ben coscienti, infatti, che le varie anime di coloro che
hanno barrato la casella NO sulla scheda referendaria hanno avuto in
comune soltanto la determinazione a opporsi a uno stravolgimento della
Costituzione per non rischiare che l’Italia potesse finire in mani di
persone che, liberate da obblighi e fastidi, fossero tentate di
imprimere una svolta autoritaria, o quantomeno poco democratica, alla
Repubblica. Quindi, i Comitati non hanno alcuna ambizione di formare
nuovi partiti, e neppure di appoggiare aprioristicamente qualsiasi
schieramento senza aver prima valutato la sua aderenza alla Carta
fondamentale.
La seconda risposta, invece,
desidera tratteggiare quello che, almeno per molti di noi, puntano a
essere. Per spiegarlo bene mi sembra utile partire da una sentenza della
Corte Costituzionale che si è pronunciata in merito a una controversia,
tra Regione Abruzzo e Provincia di Pescara, sul servizio di trasporto
scolastico dei disabili, riconoscendo come questo sia un diritto
inviolabile e da garantire senza condizionamenti finanziari. Le parole
esatte del dispositivo che spiega la decisione sono: «È la garanzia dei
diritti incomprimibili a incidere sul bilancio, e non l’equilibrio di
questo a condizionarne la doverosa erogazione». Rileggete queste parole
con attenzione perché sono fondamentali se si intende davvero imporre
una svolta alla politica italiana richiamandola al fatto che il suo
principale obbiettivo deve essere il bene dei cittadini e che, quindi,
l’economia passa in secondo piano rispetto ai diritti: esattamente il
contrario di quello che quasi sempre è accaduto in questi ultimi
decenni.
Durante la campagna referendaria più
volte avevo ricordato che a poco valeva l’assicurazione di Boschi,
Renzi, Napolitano e dei loro fedeli, che i primi 12 articoli, quelli dei
Principi fondamentali, sarebbero rimasti inalterati perché, se questo
era vero nella forma, così non era nella sostanza, visto che quantomeno
l’articolo 5, quello dedicato alle autonomie veniva quasi totalmente
svuotato dalle modifiche proposte nei vari articoli del Titolo V.
Per far capire come fosse possibile
lasciare inalterata la forma, ma mutare la sostanza, ricordavo cos’era
successo nell’aprile 2012, quando era stata approvata a larghissima
maggioranza la riforma dell’articolo 81che ha introdotto in Costituzione
l’obbligo del pareggio di bilancio. E chiedevo se davvero, cambiando
l’ordine di priorità e di importanza, la nuova stesura dell’81 non era
andato a cambiare la sostanza dell’articolo 2, dove recita «richiede
l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica
e sociale» e quella dell’articolo 3, almeno nei passi in cui dice che
«È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e
sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei
cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e
l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione
politica, economica e sociale del Paese.»? E dicevo anche: “Provate a
chiedere se per loro non è cambiato niente a quegli undici milioni di
italiani – dato Censis – che hanno rinunciato alla prevenzione
sanitaria, o addirittura a curarsi, perché non hanno i soldi sufficienti
per farlo visto che i risparmi sulla sanità per raggiungere il pareggio
di bilancio sono diventati più importanti della loro salute”.
E la stessa cosa può avvenire anche
senza neppure toccare la Costituzione, ma operando su leggi ordinarie.
Qualcuno può forse negare che il Jobs Act, va a incidere pesantemente
sulla sostanza degli articoli 1,2, 3 e 4 della Costituzione? E che i
referendum voluti dalla Cgil tendano proprio a lenire queste ferite
inferte alla Costituzione?
Ebbene, il compito dei Comitati,
almeno secondo molti di noi, sarà proprio quello di sforzarsi per
impedire che leggi come il Jobs Act, a prescindere da chi le proponga,
possano andare a vanificare subdolamente la nostra Carta fondamentale
nella disattenzione, se non nel disinteresse, di un Parlamento che
troppo spesso valuta le leggi da approvare, o da rigettare, secondo
motivazioni legate all’utilità propria, o del proprio partito, invece
che in dipendenza di quelle legate al bene del popolo.
Si potrà dire che non si possono
mettere in secondo piano le leggi dell’economia e che un simile
obbiettivo rientra tra le utopie più che tra i progetti. Ebbene, per
prima cosa, la Costituzione Italiana è fondata su un tipo di economia
“funzionale”: cioè l’economia e le finanze pubbliche devono essere
funzionali al raggiungimento degli obiettivi che la società stessa
definisce prioritari. Tenendo ben presente che non è che sia il denaro a
essere scomparso, ma il lavoro, perché il denaro si è spostato quasi
tutto nelle mani di pochissimi che, per la maggior parte, preferiscono
tenerlo fermo a far fruttare finanziariamente piuttosto che investirlo
creando, appunto, lavoro e benessere per tutti.
Inoltre, la storia dimostra che il
termine utopia più che indicare un luogo che non esiste, definisce
soltanto un posto che non è stato raggiunto ancora.
Quindi questi sono i due regali di
Natale che non credo saranno graditi a tutti: nessun nuovo partito, ma
una serie di gruppi di rompiscatole che non vogliono aspettare più che
le leggi anticostituzionali si dimostrino tali per intervenire, ma che
intendono farsi sentire, pur nei limitati modi consentiti dal nostro
ordinamento, a dibattito parlamentare in corso per far avvertire, come
succedeva quando vigeva ancora il sistema elettorale proporzionale, il
proprio peso sul gradimento politico che poi troverà consistenza reale
nella prossima occasione di voto.
Comunque, al di là del gradimento o meno di questi due regali, buon Natale a tutti quelli che sono di buona volontà.
Tutti gli “Eppure…” li puoi trovare anche all’indirizzo http://g-carbonetto.blogspot.it/
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