Una certa
delusione è innegabile, ma le regole sono regole e se si vuole
scavallarle puntando a ottenere in un colpo solo più di quello che era
lecito chiedere, allora è inevitabile che si finisca per restare con un
po' di amaro in bocca.
La Corte Costituzionale, infatti, ha
considerato legittimi i referendum abrogativi in materia di lavoro
richiesti, con tre milioni e 300 mila firme, dalla Cgil, riguardo alle
parti del cosiddetto Jobs Act sui voucher e il lavoro accessorio, nonché
sulle limitazioni introdotte sulla responsabilità solidale in materia
di appalti, mentre ha deciso di rigettare quello che riguardava le
modifiche all'articolo 18 sui licenziamenti illegittimi.
Quest’ultimo era sicuramente il
fulcro politico dell’iniziativa, ma il quesito proposto non si limitava a
puntare a tornare alla situazione quo ante rispetto alla riforma voluta
da Renzi, ma voleva ampliare la «tutela reintegratoria nel posto di
lavoro in caso di licenziamento illegittimo», estendendola a tutte le
aziende con oltre cinque dipendenti, contro il tetto dei 15 dipendenti
del vecchio articolo 18. Si trattava, insomma, quasi di un referendum
propositivo per creare una nuova legge di iniziativa popolare.
Praticamente scontato e non politico, quindi, il giudizio della Corte.
E questa è una considerazione
davvero importante, anche ragionando su quanto è avvenuto il 4 dicembre,
giorno in cui la volontà dei cittadini si è imposta in maniera netta su
quella della politica, non perché il concetto di democrazia
rappresentativa abbia perso di validità, ma in quanto ormai, grazie
anche a leggi elettorali incostituzionali, il mondo del Parlamento ha
contatti davvero troppo tenui con i cittadini italiani.
Il punto principale, insomma, se non si vorrà continuare a essere
chiamati alle urne sempre più spesso per contrastare e abolire leggi
malfatte, consiste nel fatto che il rapporto tra elettori ed eletti deve
tornare a essere quello a cui pensavano i nostri padri costituenti:
diretto, trasparente e rispettoso. Tre qualità di cui oggi si ha quasi
soltanto il ricordo.
E, allora, se è obbligatorio che chi
viene eletto ricordi sempre che deve rendere conto del proprio operato a
chi lo ha eletto, è altrettanto necessario che chi va alle urne si
renda conto che il momento del voto non è un “sine cura”, ma, anzi, è
importantissimo e fondamentale per fissare il grado di democraticità e
di efficienza del nostro sistema istituzionale.
Per chiarire ancora meglio questo
concetto, merita ricordare alcune delle parole pronunciate da Barack
Obama ieri sera, a Chicago, nel suo ultimo discorso pubblico da
Presidente degli Stati Uniti: «La nostra democrazia è minacciata quando
la consideriamo garantita. Quando stiamo seduti a criticare chi è stato
eletto, e non ci chiediamo che ruolo abbiamo avuto nel lasciarlo
eleggere. Il più importante incarico in una democrazia è il vostro; è il
mestiere del cittadino. Non solo quando ci sono le elezioni, non solo
quando i vostri interessi sono in gioco». «E se siete stanchi di
discutere con degli estranei su Internet – ha poi aggiunto – provate a
incontrarne qualcuno in carne e ossa. Candidatevi per un incarico
pubblico. Mettetevi in gioco, scendete in campo».
In quest'ottica, tornando alla parte
del Jobs Act che ha abolito l’articolo 18, anche dopo la pronuncia
della Corte Costituzionale continua a essere inaccettabile e continua a
massacrare alcuni di quelli che sono considerati diritti fondamentali.
Ma è ora di rendersi conto che piuttosto che continuare a rivolgersi
all’istituto del referendum per emendare una politica inadeguata, molto
meglio sarebbe operare perché la politica diventi adeguata. Se questo
avverrà, le garanzie che erano contenute nell’articolo 18 torneranno
sicuramente a esistere.
Tutti gli “Eppure…” li puoi trovare anche all’indirizzo http://g-carbonetto.blogspot.it/
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