Si è molto
parlato della doppia giravolta fatta da Grillo a Bruxelles, dapprima per
lasciare gli antieuropeisti di Farange e passare agli ultraeuropeisti
liberali di Verthofstadt e poi, respinto da questi ultimi perché la base
si era ribellata all’idea di accogliere Grillo, per tornare a capo
chino da Farange. Ma più che del fatto in sé, buffamente triste, o gli
immediati commenti del comico genovese, buffamente esilaranti, merita
analizzare quello che è accaduto dopo, visto che due eurodeputati
grillini, un po’ schifati dalle prodezze del capo, hanno deciso di
diventare ex e hanno aderito, uno al gruppo di Matteo Salvini e Marine
Le Pen, l’altro a quello dei Verdi. A prescindere dal giudizio sulle loro scelte e da quanto queste loro
decisioni abbiano rivelato della composita anima – se così si può dire –
e delle innegabili venature di destra di quel movimento, il punto
importante consiste nel fatto che a entrambi Grillo ora chiede, in base
al regolamento interno del movimento firmato prima delle elezioni, di
versare alle casse del movimento stesso 250 mila euro a testa come
penale.
Lasciamo pur perdere quanto possa
essere valido quel pezzo di carta – lo deciderà, eventualmente, qualche
tribunale – ma molto più importante è annotare che la pretesa di Grillo
va palesemente contro l’articolo 67 della Costituzione che recita: «Ogni
membro del Parlamento rappresenta la Nazione ed esercita le sue
funzioni senza vincolo di mandato».
Ovviamente l’articolo si riferisce
esplicitamente a Camera e Senato, anche perché il Parlamento europeo nel
1948 era ancora molto di là da venire, però non sembra possibile che
nella stessa nazione ci possano essere due applicazioni diametralmente
opposte per un medesimo concetto.
Ma è sullo stesso articolo 67 che
merita soffermarsi perché, a causa della trasmigrazione continua di
deputati e senatori da un partito all’altro – nella maggior parte dei
casi a seconda del tornaconto personale – si è cominciato a dire sempre
più frequentemente che bisognerebbe introdurre proprio il vincolo di
mandato.
E allora, per capire perché
l’articolo 67 va difeso nella sua forma attuale, tornano utili proprio
le figure di Grillo e di Renzi – ma anche quelle di Berlusconi e di
Salvini – che sono dimostrazioni emblematiche di come si sia passati dal
concetto di partito inteso come raggruppamento di persone che hanno un
orientamento politico e sociale simile, a quello di partito che
assomiglia sempre di più a un comitato elettorale nel quale è
fondamentale il nome del capo i cui cambiamenti di umore, o di
strategia, diventano tendenzialmente obbligatori per tutti gli iscritti e
gli eletti.
Proviamo a domandarci se sia giusto
che un parlamentare 5stelle eletto con l’idea di lavorare contro l’euro e
anche contro l’Europa unita, non possa sentirsi tradito quando Grillo
decide di portare tutto il suo movimento nel raggruppamento
probabilmente più europeista di tutti.
E proviamo a domandarci anche se sia
giusto che un parlamentare PD eletto secondo il programma elettorale di
Bersani debba stare in silenzio e obbedire a un presidente del
Consiglio e segretario di partito che ha cambiato totalmente programma
abbandonando totalmente molte idee di sinistra e abbracciando, invece,
tante idee di destra.
In definitiva, cancellando
l’articolo 67 forse si riuscirebbe a limitare la detestabile
trasmigrazione di deputati e senatori presi individualmente, ma si
stabilirebbe che interi partiti potrebbero spostarsi in blocco sullo
scacchiere politico a seconda delle volontà del capo. Sicuramente in
ossequio ai voleri del leader del momento in quel partito, ma in totale
dispregio del voto espresso dagli elettori che magari – proprio come nel
caso del PD – avevano scelto di votare così perché convinti da un
programma poi completamente cancellato.
E non vale tirare in campo il fatto
che, per esempio, in Germania i rappresentanti del Bundesrat, il Senato
delle autonomie tedesco, votano con vincolo di mandato, perché il caso è
profondamente diverso: loro non sono eletti dal popolo, ma sono
nominati direttamente dai governi di ogni Land ed esprimono il loro voto
non seguendo le indicazioni del proprio partito, bensì del governo
della terra da cui provengono e, così, in realtà, sono dei portavoce
importanti per portare avanti le diverse esigenze territoriali.
In Italia il problema assumerebbe
contorni profondamente diversi e solleverebbe terribili problemi di
democraticità in quanto si stabilirebbe il diritto di tante piccole
dittature, una all’interno di ogni partito e svanirebbe definitivamente
ogni residuo di quel concetto di rappresentatività che, come ha già
sottolineato la Corte Costituzionale, dovrebbe essere alla base di ogni
legge elettorale non incostituzionale.
Tutti gli “Eppure…” li puoi trovare anche all’indirizzo http://g-carbonetto.blogspot.it/
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