giovedì 12 gennaio 2017

Il vincolo di mandato

Si è molto parlato della doppia giravolta fatta da Grillo a Bruxelles, dapprima per lasciare gli antieuropeisti di Farange e passare agli ultraeuropeisti liberali di Verthofstadt e poi, respinto da questi ultimi perché la base si era ribellata all’idea di accogliere Grillo, per tornare a capo chino da Farange. Ma più che del fatto in sé, buffamente triste, o gli immediati commenti del comico genovese, buffamente esilaranti, merita analizzare quello che è accaduto dopo, visto che due eurodeputati grillini, un po’ schifati dalle prodezze del capo, hanno deciso di diventare ex e hanno aderito, uno al gruppo di Matteo Salvini e Marine Le Pen, l’altro a quello dei Verdi. A prescindere dal giudizio sulle loro scelte e da quanto queste loro decisioni abbiano rivelato della composita anima – se così si può dire – e delle innegabili venature di destra di quel movimento, il punto importante consiste nel fatto che a entrambi Grillo ora chiede, in base al regolamento interno del movimento firmato prima delle elezioni, di versare alle casse del movimento stesso 250 mila euro a testa come penale.

Lasciamo pur perdere quanto possa essere valido quel pezzo di carta – lo deciderà, eventualmente, qualche tribunale – ma molto più importante è annotare che la pretesa di Grillo va palesemente contro l’articolo 67 della Costituzione che recita: «Ogni membro del Parlamento rappresenta la Nazione ed esercita le sue funzioni senza vincolo di mandato».

Ovviamente l’articolo si riferisce esplicitamente a Camera e Senato, anche perché il Parlamento europeo nel 1948 era ancora molto di là da venire, però non sembra possibile che nella stessa nazione ci possano essere due applicazioni diametralmente opposte per un medesimo concetto.

Ma è sullo stesso articolo 67 che merita soffermarsi perché, a causa della trasmigrazione continua di deputati e senatori da un partito all’altro – nella maggior parte dei casi a seconda del tornaconto personale – si è cominciato a dire sempre più frequentemente che bisognerebbe introdurre proprio il vincolo di mandato.

E allora, per capire perché l’articolo 67 va difeso nella sua forma attuale, tornano utili proprio le figure di Grillo e di Renzi – ma anche quelle di Berlusconi e di Salvini – che sono dimostrazioni emblematiche di come si sia passati dal concetto di partito inteso come raggruppamento di persone che hanno un orientamento politico e sociale simile, a quello di partito che assomiglia sempre di più a un comitato elettorale nel quale è fondamentale il nome del capo i cui cambiamenti di umore, o di strategia, diventano tendenzialmente obbligatori per tutti gli iscritti e gli eletti.

Proviamo a domandarci se sia giusto che un parlamentare 5stelle eletto con l’idea di lavorare contro l’euro e anche contro l’Europa unita, non possa sentirsi tradito quando Grillo decide di portare tutto il suo movimento nel raggruppamento probabilmente più europeista di tutti.

E proviamo a domandarci anche se sia giusto che un parlamentare PD eletto secondo il programma elettorale di Bersani debba stare in silenzio e obbedire a un presidente del Consiglio e segretario di partito che ha cambiato totalmente programma abbandonando totalmente molte idee di sinistra e abbracciando, invece, tante idee di destra.

In definitiva, cancellando l’articolo 67 forse si riuscirebbe a limitare la detestabile trasmigrazione di deputati e senatori presi individualmente, ma si stabilirebbe che interi partiti potrebbero spostarsi in blocco sullo scacchiere politico a seconda delle volontà del capo. Sicuramente in ossequio ai voleri del leader del momento in quel partito, ma in totale dispregio del voto espresso dagli elettori che magari – proprio come nel caso del PD – avevano scelto di votare così perché convinti da un programma poi completamente cancellato.

E non vale tirare in campo il fatto che, per esempio, in Germania i rappresentanti del Bundesrat, il Senato delle autonomie tedesco, votano con vincolo di mandato, perché il caso è profondamente diverso: loro non sono eletti dal popolo, ma sono nominati direttamente dai governi di ogni Land ed esprimono il loro voto non seguendo le indicazioni del proprio partito, bensì del governo della terra da cui provengono e, così, in realtà, sono dei portavoce importanti per portare avanti le diverse esigenze territoriali.

In Italia il problema assumerebbe contorni profondamente diversi e solleverebbe terribili problemi di democraticità in quanto si stabilirebbe il diritto di tante piccole dittature, una all’interno di ogni partito e svanirebbe definitivamente ogni residuo di quel concetto di rappresentatività che, come ha già sottolineato la Corte Costituzionale, dovrebbe essere alla base di ogni legge elettorale non incostituzionale.

Tutti gli “Eppure…” li puoi trovare anche all’indirizzo http://g-carbonetto.blogspot.it/

Nessun commento:

Posta un commento