La Corte costituzionale ha deciso:
dell’Italicum resta in piedi il premio di maggioranza, mentre vengono
cancellati il ballottaggio, i capolista bloccati e la possibilità di
scelta nelle pluricandidature.
Non è soltanto la cancellazione
della «legge elettorale che – così diceva con prosopopea Renzi – tutta
l’Europa ci invidia e che in molti ci copieranno», ma quello della
Consulta appare addirittura come uno sberleffo a Renzi, Boschi e
compagnia perché la Corte concede loro soltanto il mantenimento del
premio di maggioranza se una lista ottiene il 40 per cento nell’unico
turno di voto, e l’ipotesi è talmente residuale da apparire come una
presa in giro nei confronti di coloro che tra il 4 dicembre e oggi si
sono visti sminuzzare e distruggere tutti i loro piani di cambiare
l’Italia portandola a diventare – pur senza mai dirlo – una Repubblica
presidenziale con tutti rischi che questo status – pensate agli Stati
Uniti – comporta.
Inoltre – e non è certamente
l’aspetto meno importante – la Consulta ha messo in rilievo che
«all’esito della sentenza, la legge elettorale è suscettibile di
immediata applicazione».
Ovviamente bisognerà attendere le
motivazioni per capire meglio alcuni particolari, ma la sentenza è
chiara. «La Corte – scrive una nota della Consulta - ha respinto le
eccezioni di inammissibilità proposte dall’Avvocatura generale dello
Stato. Ha inoltre ritenuto inammissibile la richiesta delle parti di
sollevare di fronte a se stessa la questione sulla costituzionalità del
procedimento di formazione della legge elettorale, ed è quindi passata
all’esame delle singole questioni sollevate dai giudici».
Nel merito, continua la nota, la
Corte «ha rigettato la questione di costituzionalità relativa alla
previsione del premio di maggioranza al primo turno e ha invece accolto
le questioni relative al turno di ballottaggio, dichiarando
l’illegittimità costituzionale delle disposizioni che lo prevedono».
Inoltre, «ha accolto la questione relativa alla disposizione che
consentiva al capolista eletto in più collegi di scegliere a sua
discrezione il proprio collegio d’elezione. A seguito di questa
dichiarazione di incostituzionalità, sopravvive comunque, allo stato, il
criterio residuale del sorteggio». Infine, ha dichiarato «inammissibili
o non fondate tutte le altre questioni».
Insomma, in soldoni, adesso ci si
trova di fronte a un sistema proporzionale, con qualche forma di
sbarramento, che può diventare maggioritario soltanto nel remotissimo
caso che una lista superi il 40 per cento. Dico “lista” in quanto il
testo dell’Italicum parla espressamente di liste ed esclude le
coalizioni; e su questo aspetto non sembra che la Corte si sia espressa.
A questo punto, anche se «la legge
elettorale è suscettibile di immediata applicazione», appare inevitabile
che il Parlamento ci metta mano, sia perché ad alcuni il proporzionale
proprio non va giù, sia in quanto le possibili e probabili disparità di
risultato tra Senato e Camera (quantomeno per le diverse quote di
sbarramento) sarebbero molto rilevanti e, quindi, in contrasto con i
paletti fissati dal Presidente della Repubblica.
Anche altre sarebbero le
considerazioni da fare, ma sono due quelle che balzano subito agli
occhi. Oggi, per la Camera e per il Senato, ci sono due leggi elettorali
entrambe codificate direttamente dalla corte Costituzionale che ha
cancellato delle leggi furbesche e truffaldine votate dal Parlamento.
L’attuale pronuncia della Consulta si è resa necessaria anche perché il
governo Renzi non ha nemmeno preso in considerazione l’ipotesi che la
volontà popolare fosse diversa da quella del capo e che, dunque, volesse
mantenere in vita il Senato.
Due considerazioni che fanno
un’evidenza: la riforma più importante per l’Italia sarebbe quella di
veder eleggere finalmente persone in grado di saper legiferare e non
soltanto di obbedire alle volontà del capo di turno, più incline a
tentare di trasformare in legge i propri desideri che ad attenersi ai
dettami della Costituzione.
E lo hanno ribadito anche i giudici
costituzionali che hanno rimandato proprio al Parlamento il compito di
creare procedimenti di costituzione delle leggi elettorali meno esposti
al capriccio del teorico potente di turno.
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