È già stato
segnalato molte volte, ma merita ripeterlo ancora: una delle prime e più
importanti vittime di questo modo scriteriato di fare politica è il
vocabolario. In quella che lo storico Emilio Gentile, nel suo recente
libro “Il capo e la folla”, ha definito “democrazia recitativa”, sono
tantissimi i vocaboli usati a sproposito, da soli, in locuzioni, o
frasi, per far intendere qualcosa che i capi vorrebbero far arrivare
alla folla, ma senza che dietro al concetto, oppure allo slogan ci sia
un contenuto reale, tangibile e soprattutto corrispondente alla frase
stessa.
Se non si usa lo stesso vocabolario
vuol dire che non ci si può più capire e, visto che il capire ciò che
dice l’altro è la base fondamentale di ogni possibile dialogo e accordo,
l’incomprensione reciproca rende non solo impossibile, ma addirittura
inutile il confronto e si arriva alla negazione della politica e,
quindi, della democrazia.
Proviamo a fermarci per un momento
sulla piccata risposta di Debora Serracchiani a Pierluigi Bersani che,
dopo gli attacchi alla minoranza richiesti dal capo e accettati dalla
folla alla Leopolda, aveva detto che «mentre a Firenze urlavano “Fuori.
Fuori”, a Monfalcone gli elettori del PD erano già andati fuori», non
sentendosela di votare per la candidata PD e lasciando così campo libero
alla candidata leghista per espugnare una delle più tradizionali
roccaforti della sinistra. Aggiungendo poi che «c’è un pezzo del nostro
mondo che se ne va e dal PD non è arrivato un minimo di riflessione e di
riconoscimento di questi problemi».
Ebbene la presidente della giunta regionale così ha risposto: «Bersani non stravolga la realtà ed eviti polemiche fuori luogo».
È evidente che qui le due parti in
causa parlano lingue diverse. Bersani si lamenta che alla Leopolda Renzi
ha aizzato la folla contro coloro che, all’interno del partito non sono
d’accordo con lui e la Serrachiani risponde che non è stato lui a
urlare «Fuori. Fuori». Bersani si lamenta che il tonfo monfalconese,
come quelli delle amministrative di primavera non porti subito a
un’analisi autocritica del perché il PD abbia perduto tanti elettori e
la Serracchiani risponde parlando di polemiche inutili. E qui c’è da
capirsi: fuori luogo o inutili perché? Perché quando una bottiglia di
vetro è andata in mille pezzi, nessuno potrà mai riuscire a ricomporla
come non fosse successo alcunché? Oppure perché con le polemiche interne
si rischia di rendere ancora più difficile l’unica cosa che a Renzi
interessa davvero, e cioè la vittoria al referendum? O, invece, perché
la minoranza di un partito ormai, con la democrazia recitativa, non deve
permettersi di sollecitare riflessioni a una maggioranza che vuole
decidere da sola e che, evidentemente, in qualcosa ha sbagliato? O,
ancora, perché non essendo d’accordo con il capo, si può essere accusati
di attentare all’unità (quale?) del partito?
Si dirà che neppure in altri partiti
la democrazia interna sembra essere un requisito importante. Ma non
capisco proprio questo mantra ripetuto spesso soprattutto dalla ministra
Boschi: se gli altri sono poco democratici e si comportano male, la
stessa cosa deve essere lecita per un partito che vuole farsi ritenere
di centrosinistra? E, soprattutto, deve essere accettata senza battere
ciglio anche da quegli elettori che di centrosinistra, o di sinistra,
sono davvero?
Ho già avuto modo di dire che la
cosa che sicuramente non riuscirò mai a perdonare a Renzi è il fatto che
ha distrutto l’anima del PD, o, almeno, quella che si pensava avrebbe
dovuto essere la sua anima quando è stato fondato. E facendo questo ha
mandato scientemente in frantumi, quasi vantandosene, quel centro di
gravità che è inevitabile, se si vuole creare convergenze di tipo
ulivistico e, quindi condannando il centrosinistra italiano a un
rincorsa che durerà parecchio tempo prima di riprendere le dimensioni
che, invece, potrebbe avere di natura.
E lo ha fatto, con l’aiuto di tutti i
suoi, accanendosi proprio contro quel vocabolario violato chiamando
“governabilità” il decisionismo, “semplificazione” l’eliminazione di
spazi per il dissenso, “tempi certi” la certezza di non avere troppi
fastidi dalle opposizioni, e così via.
Proviamo, ogni volta che sentiamo
frasi indigeribili, a chiedere ad alta voce a chi le pronuncia cosa
vogliano dire davvero. Potrebbe già essere determinante.
Tutti gli “Eppure…” li puoi trovare anche all’indirizzo http://g-carbonetto.blogspot.it/
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