Il fatto che la
Corte Costituzionale spesso finisca per considerare costituzionalmente
illegittime alcune leggi e alcune riforme rientra sicuramente nella
normalità, come altrettanto normale è che le reazioni di coloro che si
sentono dare torto siano abbastanza critiche. Ma questa volta, con la
bocciatura di parte della riforma Madia sulla Pubblica Amministrazione,
si esce dalla consuetudinarietà, sia per il tipo di decisione della
Corte, sia per le reazioni dei delusi.
E partiamo proprio da questi ultimi.
Anzi, dal loro capo, Matteo Renzi, che ha reagito rabbiosamente: «È una
vittoria dei burocrati», ha sibilato. E – anche se da un organo
istituzionale ci sarebbe da attendersi quel rispetto più volte da lui
affermato in campagna referendaria nei confronti di un organo di
garanzia – c’è da capirlo, nella sua stizza, perché nelle motivazioni
della sentenza della Suprema Corte si legge che la riforma Madia lede
l’autonomia delle Regioni. E che lo fa in quattro punti cruciali:
dirigenti, società partecipate, servizi pubblici locali, organizzazioni
del lavoro.
C’è da capirlo nel suo dispetto
perché quella stessa Corte Costituzionale, che aveva deciso di rimandare
la propria decisione sulla costituzionalità dell’Italicum per non
influenzare il voto al referendum, questa volta ha deciso di intervenire
in maniera pesante su argomenti che sono consustanziali, più che
contigui, al complesso del Titolo V, quello che si occupa, appunto, dei
rapporti tra Stato e Regioni e che è una delle fonti di maggiori novità e
più forti critiche per la riforma costituzionale. E questo non può non
voler dire qualcosa in quanto la Corte, senza neppur dover mettere in
evidenza la sua scelta, avrebbe potuto rinviare tranquillamente la
decisione di un paio di settimane.
E, a quel punto, con la vittoria del
No, non avrebbe avuto problemi a dire le medesime cose che ha detto
ieri. Con la vittoria del sì, invece, la Corte avrebbe potuto
addirittura evitare qualsiasi giudizio in quanto si sarebbe trovata a
dover ragionare su una Costituzione diversa; perché – è bene ricordarlo –
la Consulta deve esprimersi sulla Costituzione vigente, mentre non può
esprimersi su progetti futuri.
Quindi, se ha deciso di esprimersi
subito, con la Costituzione ancora in vigore, questo evidentemente vuol
dire qualcosa. E, pur rendendomi conto che le mie opinioni, i miei
ragionamenti e le mie conclusioni devono limitarsi a essere catalogate
come ipotesi, senza possibilità di conferma certa vista la consolidata
riservatezza dei giudici, mi sembrano talmente logiche che mi appare
doveroso condividere queste conclusioni con voi.
Se la Corte ha voluto esprimersi
subito, questo significa che intende far capire che, almeno per il
Titolo V, la riforma costituzionale Boschi–Renzi–Napolitano non è da lei
apprezzata.
In pratica, almeno secondo me, un
primo voto sulla riforma è stato già dato, con una decina di giorni di
anticipo sul referendum, da un’istituzione di grande peso. Ed è un voto
negativo.
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