Una delle
“parole magiche” più frequentemente usate da Renzi, Boschi e sodali per
propagandare il sì alla riforma costituzionale è sempre stata
“semplificazione”. Ma sempre più questa parola appare come una presa in
giro perché continuano a venire a galla incongruenze, confusioni,
pasticci e contraddizioni che fanno pensare, invece, ad altri concetti
come “complicazione”, “conflitto istituzionale”, o, addirittura,
“inapplicabilità”.
Per quanto riguarda il Senato e la
sua rappresentanza, per esempio, è sfuggito quasi a tutti che, se
passasse la riforma, a rigor di logica il Friuli Venezia Giulia potrebbe
essere presente nel nuovo Senato con un solo senatore: quello scelto
tra i sindaci, mentre potrebbe non esserci quello scelto tra i
consiglieri regionali. E sarebbe un fatto davvero molto grave, oltre che
assurdo, per un Senato delle autonomie che viene favoleggiato come
luogo istituzionale creato proprio per rappresentare le necessità e le
istanze dei territori. Meglio chiamarli così perché il concetto di
autonomia in parte svaporerebbe quasi immediatamente.
Questa vera e propria perla la
segnala Fabio Folisi nel suo quotidiano online “Friulisera”. E consiste
nel fatto che gli estensori della riforma si sono dimenticati di
verificare se, almeno nelle regioni a statuto speciale, la carica di
senatore fosse compatibile, o meno, con quella di consigliere regionale.
E così – sottolinea Folisi – scopriamo, leggendo l’articolo 15 dello
Statuto della Regione Fvg, che: «L’ufficio di consigliere regionale è
incompatibile con quello di membro di una delle Camere, di un altro
Consiglio regionale, di un Consiglio provinciale, o di sindaco di un
Comune con popolazione superiore a 10 mila abitanti, ovvero di membro
del Parlamento europeo». La norma è chiara e incontrovertibile: parla di
assoluta incompatibilità tra le due cariche che, invece, la riforma
Boschi–Renzi–Napolitano vede strettamente legate.
Il senso con cui la norma regionale è stata scritta risiede proprio in
quella complessità dei compiti affidati sia a un consigliere regionale,
sia a un senatore, sia anche alle altre cariche citate nell’articolo 15,
che non può permettere di lavorare bene contemporaneamente in due
incarichi evidentemente e giustamente ritenuti di grande delicatezza.
Oggi, invece, la riforma sembra considerarli due sinecura che possono
tranquillamente convivere anche a centinaia di chilometri e ad abissi di
distanza di argomenti l’uno dall’altro.
Ebbene, se passasse la riforma, il
busillis iniziale sarebbe davvero divertente, se non portasse allo
sconforto nel pensare ai nostri cosiddetti nuovi costituenti. Pensateci:
un consigliere regionale designato a diventare senatore non potrebbe
presentare le dimissioni da consigliere regionale – e queste non
potrebbero essere accettate – pena l’automatica decadenza dalla nomina a
senatore perché non sarebbe più senatore. Un cane che si morde la coda;
un circolo vizioso irrisolvibile dal quale si potrebbe uscire
elegantemente soltanto modificando lo Statuto regionale, cosa lunga e
difficilissima perché, per cambiarlo, occorrerebbero le medesime trafile
usate per la Costituzione e per le leggi costituzionali.
Più semplicemente, sarebbe bastato
inserire nelle norme transitorie un comma nel quale si fosse specificato
che, in caso di conflitto con gli statuti speciali, le regole
costituzionali avrebbero avuto la prevalenza fino alla variazione degli
statuti stessi tenendo conto che avrebbero dovuto essere armonizzati con
la nuova Carta fondamentale.
Ma questo non è stato fatto e
adesso, sempre ammesso che la riforma passi, ci si troverà davanti a una
diatriba da azzeccagarbugli tra coloro che dicono che nulla è scritto e
quelli che, invece, sostengono che bisogna interpretare le norme nel
modo che a loro sembra più opportuno. Non sono un costituzionalista, ma
ho la netta sensazione che anche questo discorso, che non riguarda
soltanto il Friuli Venezia Giulia, ma anche la Sicilia, che di senatori
che ne ha molti di più, e la Sardegna finirà davanti a quella Corte
costituzionale che Renzi, Boschi e sodali assicuravano sarebbe rimasta
quasi disoccupata.
Senza contare che la Consulta
sicuramente dovrà anche confrontarsi con ricorsi presentati sulla
maniera di scegliere i senatori, laddove sarà possibile farlo,
soprattutto nelle regioni che manderanno a Roma soltanto un
senatore–consigliere regionale. Perché i dettami vincolanti per
l’elezione di secondo grado sono espressi in tre punti diversi e
richiedono contemporaneamente il rispetto della proporzionalità, la
parità di genere, il rispetto dell’indicazione degli elettori di primo
grado. Come mettere insieme questi tre requisiti è un altro indovinello
di difficilissima risoluzione.
Al di là degli inevitabili e amari
sogghigni, resta il fatto che vorrebbero che abbandonassimo una
Costituzione che necessità di alcuni ritocchi, ma non tanti, e che è
chiara e trasparente, per abbracciarne una nuova, stravolgente il nostro
concetto di democrazia, scritta davvero con i piedi da coloro che
ambirebbero a passare per nuovi padri costituzionali e che è già in
partenza un terreno minato che darebbe un dilagante surplus di lavoro
alla Corte Costituzionale.
Semplificazione? Ma quale?
Tutti gli “Eppure…” li puoi trovare anche all’indirizzo http://g-carbonetto.blogspot.it/
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