Alla vigilia di
questo referendum costituzionale non si può non ricordare che questa non
è la prima volta che una riforma costituzionale viene approvata in
Parlamento a colpi di maggioranza. È già successo nel 2001 con la
sciagurata decisione di far approvare, con margini risicatissimi, la
riforma del Titolo V, quello che tratta dei rapporti tra lo Stato e le
autonomie locali, comuni, province e regioni. Ed è accaduto di nuovo nel
2006 con un altro sciagurato tentativo, questa volta del Centrodestra
che voleva tramutare – un po’ proprio come oggi, ma quella volta
esplicitamente – la Repubblica da parlamentare a presidenziale.
Dopo quei due colpi di mano il
Centrosinistra sembrò pentirsi di aver dato il via, per primo nella
storia della Repubblica, ai colpi di mano costituzionali, e ammise
pubblicamente di avere sbagliato e di aver imparato la lezione, tanto
che, alla sua nascita, il Partito Democratico decise di darsi, come
punto di riferimento costante, un Manifesto dei Valori (ancora
assolutamente vigente e facilmente consultabile sul sito dello stesso
PD) in cui si legge che «La sicurezza dei diritti e delle libertà di
ognuno risiede nella stabilità della Costituzione, nella certezza che
essa non è alla mercé della maggioranza del momento, e resta la fonte di
legittimazione e di limitazione di tutti i poteri. Il Partito
Democratico si impegna perciò a ristabilire la supremazia della
Costituzione e a difenderne la stabilità, a metter fine alla stagione
delle riforme costituzionali imposte a colpi di maggioranza, anche
promuovendo le necessarie modifiche al procedimento di revisione
costituzionale».
Sono parole chiarissime, profonde e
ispirate, che recuperavano concetti di una maggiore tutela necessaria
per l’articolo 138; concetti che, tra l’altro, erano già esplicitati
molto prima, nel febbraio del 1995, quando dal Centrosinistra fu
presentato un disegno di legge costituzionale che introduceva l’obbligo
dei due terzi di voti per ogni revisione costituzionale, e che prevedeva
che il referendum si potesse chiedere sempre, e che fosse «indetto per
ciascuna delle disposizioni sottoposta a revisione, o per gruppi di
disposizioni tra loro collegate per identità di materia». Merita
ricordare anche che tra i firmatari di quel disegno di legge figuravano
anche Giorgio Napolitano e Sergio Mattarella che essendo, allora nella
minoranza, sentivano l’esigenza democratica di impedire alla maggioranza
di mettere le mani sulla Costituzione.
Segnalo questa cosa non tanto per
dire che il PD di Renzi sottoscrive una cosa e poi ne fa un’altra, ma
per affermare due realtà incontrovertibili. La prima: il PD continua a
avere in sé alti valori democratici a livello di principio, ma i suoi
vertici, o non hanno letto le carte costitutive del loro partito, oppure
non se ne curano minimamente. La seconda è che tantissimi italiani
hanno scelto di votare per il PD anche in virtù di questi forti impegni
democratici e istituzionali, ripetuti speso anche da sindaci, come
quello di Udine, Honsell, a ogni 25 aprile, e che oggi quegli stessi
italiani si sentono truffati perché oggi il loro voto è utilizzato da un
partito che evidentemente non è più quello che si è presentato alle
ultime elezioni politiche, e che quel loro voto è stato utilizzato per
tentare di massacrare quella stessa Costituzione che molti dei suoi
elettori volevano difendere. Viene da chiedere a Renzi, Serrachiani,
Guerrini e tanti altri fedelissimi dell’attuale presidente del Consiglio
e segretario del partito – in entrambi i casi pro tempore – se non
ritengono che i voti perduti nelle recenti amministrative possano essere
collegati proprio al tradimento degli impegni più importanti.
Quindi vorrei aggiungere alle
motivazioni per barrare il No sulla scheda elettorale anche il fatto che
questo voto non vale soltanto per oggi, ma anche per il futuro. Con la
vittoria del No, infatti, si contribuirebbe ad abbattere quel concetto
aberrante, ma ormai dato quasi per assodato che ogni maggioranza ha il
diritto di farsi la sua Costituzione. Ripeto: lo ha fatto il
centrosinistra nel 2001, lo ha fatto il centrodestra nel 2006, ma è
stato sconfessato dal referendum; lo stanno facendo nel 2016 Renzi con
quella parte di partito che preferisce la fedeltà al capo piuttosto che
ai valori fondanti e speriamo che anche questa volta il popolo rifiuti
di farsi togliere democrazia.
Perché, come ha dimostrato la
Costituente nei sui lavori del 1946 e del 1947, la Costituzione, oltre a
limitare i poteri di chi ne ha di più e a difendere chi ne ha di meno, è
e deve essere di tutti: per riprendere concetti ormai evaporati, dai
monarchici ai comunisti, dai liberali ai socialisti, dai credenti ai
laici; non può mai essere di una parte soltanto. E soprattutto non può
essere fatta da coloro che hanno già più potere degli altri, ma ne
vogliono ancora di più. Magari rassicurandoci: «State sereni: non ne
approfitteremo».
Tutti gli “Eppure…” li puoi trovare anche all’indirizzo http://g-carbonetto.blogspot.it/
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