Ieri, dopo la serata passata a Cividale con Angelo Floramo per “Ahi, serva Italia”,
al rientro a casa, ho trovato mia moglie che guardava, su La7, il
dibattito referendario tra Matteo Renzi e Ciriaco De Mita e il tono di
voce dei due mi ha calamitato, tanto che, pur non nutrendo soverchia
simpatia per nessuno dei due, ho continuato a seguirli. E adesso, se è
recuperabile da qualche parte, ve ne consiglio la visione. Non perché
l’aspro dibattito abbia chiarito qualche punto agli indecisi, ma in
quanto ha fatto comprendere in maniera palmare le vere ragioni sul
perché l’uno l’abbia voluta così e sul perché l’altro è decisissimo a
votare no.
E il perché è semplice. Mentre il secondo, infatti, vive di politica e
sente il potere come un corollario a questa sua maniacale passione. Il
primo, invece, la vede in maniera opposta: vive di potere, ed è la
politica per lui a essere un corollario; in pratica soltanto il
fastidioso mezzo per avere il potere in mano.
La differenza la si vede nel come i
due vedono il fatto che oggi, dopo un lunghissimo e ricchissimo cursus
honorum, De Mita sia, a 88 anni, ancora nella mischia, visto che è
sindaco di Nusco. Renzi parla di ineliminabile attaccamento alle
poltrone; De Mita ribatte che è la sua testa a essere strutturata a
vivere di politica e che certamente Nusco, per uno che è stato
presidente del Consiglio, più volte ministro e presidente della DC, non è
un posto dove un assetato di potere possa sentirsi appagato in questa
sua smania. E tra le due tesi la più plausibile mi sembra la seconda.
Ma in questo dibattito – a
differenza di quello sostenuto con Zagrebelsky – a far capire molte cose
non sono state le argomentazione, bensì le smorfie facciali e le cose
urlate. La faccia è sempre molto rivelatrice ed era molto interessante
vedere quella di Renzi appena De Mita attaccava con un tono tutt’altro
che educato e dimesso. Poi riusciva a somministrare alla telecamera il
solito repertorio di sorrisetti e corrugamenti lungamente studiato, ma
all’inizio, preso di sorpresa da tale mancanza di rispetto da parte di
un quasi novantenne che rifiuta di sentirsi rottamato, la bocca e gli
occhi non sono mai riusciti a celare lo sbigottimento da parte di chi è
abituato a sentirsi dire praticamente sempre di sì e improvvisamente si
vede messo in discussione davanti a un vasto pubblico. Sembrava volesse
dire: ma questo sa davvero chi sono io? Ma come si permette? Renzi,
insomma non è abituato a simili irrispettose contestazioni, non si trova
bene quando il sì per lui non suona. E non comprende l’uso del no;
ovviamente solo se il no è indirizzato a lui.
In un contesto totalmente privo di
cortesie istituzionali e, almeno in questo, molto più equilibrato di
quello con Zagrebelsky in cui era soltanto il professore a tener conto
del valore dell’educazione, sono volate battute al veleno: «Ci avete
rubato il presente – ha detto Renzi – adesso speriamo che non succeda lo
stesso con il futuro». E anche: «Non credo che tu la abbia letta tutta
questa riforma». E De Mita non è stato da meno: «Questa è una volgarità
che non mi aspettavo e soprattutto detta da chi in politica le ha
inventate tutte. Hai fatto un partito dove parli da solo e le tue
relazioni in direzione andrebbero pubblicate per capire a cosa si è
ridotta la politica. È un mestiere che vuoi gestire in maniera
autoritaria». E ancora: «Io non ho rabbia per te, ho pietà, non sarò mai
di quelli che cambiano partito. Sono nato e muoio democristiano. Tu non
so».
Ma va rilevato anche che, De Mita,
pur con tono spocchioso e insolente, ha voluto anche esprimere alcuni
ragionamenti soprattutto sulla necessità di fare tesoro della storia ,
quindi di coltivare la memoria, nonché sul fatto che nella politica la
collegialità del ragionamento è sempre un pregio, mentre la velocità
eccessiva e a prescindere nel prendere le decisioni è quasi sempre un
difetto.
Renzi, invece, si è limitato a fare
tre cose. Ha ripetuto ossessivamente che i cittadini dovranno soltanto
rispondere alle domande – legittime, ma sicuramente furbesche – del
quesito referendario come se in quelle si esaurissero tutte le modifiche
di forma, ma soprattutto di sostanza, che lui spera vengano apportate
alla Costituzione. Ha continuato a dire che non è scritto da nessuna
parte che aumenteranno i poteri del presidente del Consiglio – anche se
lui, lasciandosi un po’ andare, spesso lo chiama già adesso premier –
come se fosse necessario scriverlo nel momento che tutto è previsto per
dargli una maggioranza assoluta, larghissima, omogenea e quindi stabile
e, soprattutto, obbediente. Ha fatto capire che si era preparato allo
scontro non sui temi della riforma – non sul merito, come piace dire a
lui – forse perché pensava di essere inattaccabile, ma soprattutto
facendosi preparare un minuzioso dossier su date, avvenimenti e tutte le
cose che potevano mettere in cattiva luce l’avversario.
Non ho mai avuto alcuna simpatia per
De Mita, ma devo faticosamente ammettere che il confronto tra i due me
l’ha fatto quasi rimpiangere. Non per il tipo di governi che presiedeva,
ma perché oltre che comandare, anche pensava; e soprattutto percepiva
gli umori della nazione e ne teneva conto. Sicuramente perché intendeva
mantenersi dov’era, ma anche perché erano ancora vigenti quelle leggi
elettorali proporzionali che probabilmente sono l’unica chiave per
capire davvero come mai in un Paese come l’Italia si sia potuto, con
governi a guida democristiana e con la presenza ovviamente non
silenziosa del Vaticano, far passare leggi come quelle sul divorzio e
sull’aborto; o anche lo Statuto dei lavoratori che oggi un governo che
Renzi dice di centrosinistra quello stesso Statuto ha praticamente
demolito, e lo provano i numeri di coloro che sono realmente occupati – e
non a un’ora la settimana – e l’aumento straripante dei licenziamenti
senza giusta causa e comunque senza motivazione.
Poi è vero: Renzi non immagina di
vedersi a fare politica fino a 88 anni, forse neanche fino a 55. La
politica è fastidiosa e, se esercitata in democrazia, è anche molto
faticosa. Probabilmente lui, invece, sogna di godersi tra una decina di
anni i libri di storia in cui agogna non si parli più della Costituzione
del 1948 che ha avuto tanti padri che soltanto di pochi ci si ricorda
più il nome, ma della Costituzione del 2016 di Renzi; e di lui soltanto.
Dio non voglia che questo succeda.
Alla fine della trasmissione c’era
un’altra cosa che mi sono accorto di dover mettere nel conto della mia
avversione nei confronti di Renzi. Ieri è riuscito quasi a farmi
rimpiangere De Mita. Non vorrei che, continuando così, riuscisse a farmi
rimpiangere anche Nicolazzi; o giù di lì.
Tutti gli “Eppure…” li puoi trovare anche all’indirizzo http://g-carbonetto.blogspot.it/
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