Di cose
bizzarre, in questa campagna referendaria, se ne vedono davvero tante;
soprattutto da parte del governo che opera per accaparrarsi più Sì
possibili facendo vedere quanto è bravo in tutti i campi. E così si
possono ammirare le quattordicesime ai pensionati, ma non a quelli più
poveri, al di sotto dei 750 euro mensili di pensione. Oppure la
decisione di far pagare alle banche il fallimento di Banca Etruria e
delle altre tre, salvo poi concedere alle banche stesse di rivalersi
immediatamente sui correntisti aumentando fortemente i costi di tenuta
dei conti e applicando una specie di tassa di secondo livello che i più
maligni hanno già definito “Boschi tax”. O, ancora, il governo che
fornisce cifre molto ottimistiche nel Def (il Documento economico e
finanziario) per influenzare in meglio le previsioni sul Pil e, quindi,
le decisioni nella legge di stabilità; la Banca d’Italia, la Corte dei
conti e l’Ufficio parlamentare di bilancio che, più che contestare le
cifre, le definiscono di fantasia; e Renzi che, piccato da tanta
inusitata mancanza di rispetto nei confronti del capo, risponde
sbuffando: «Vedremo chi avrà ragione», come non si stesse parlando del
destino economico di una nazione, ma di una semplice scommessa tra più o
meno amici.
La palma della bizzarria tocca,
però, a una persona che nel governo non c’è: a Roberto Benigni e non
perché ha detto che «se vince il No sarà peggio della Brexit», copiando
la prima versione di alcuni giornali economici anglosassoni che intanto
hanno cambiato idea (il Financial Time l’altro giorno ha scritto che le
riforme costituzionali renziane sono «un ponte verso il nulla»), ma in
quanto ha anche affermato che «i primi 12 articoli della Costituzione, i
Principi fondamentali, i diritti e doveri sono straordinariamente belli
e intoccabili».
Belli lo sono davvero, ma
intoccabili proprio no. E Benigni è persona troppo attenta e
intelligente per non sapere che non sono assolutamente sacri perché, se è
ben vero che nessuno si è mai sognato di andare a modificare la forma
dei primi 12 articoli andando a ritoccarne il testo, nella sostanza,
invece, già di alcuni si è svuotato parte del contenuto e ora ci si
appresta a proseguire nell’opera di vanificazione.
Non ci credete? Provate a pensare a
cos’è successo nell’aprile 2012, quando è stata approvata a larghissima
maggioranza la riforma dell’articolo 81, che ha introdotto l’obbligo del
pareggio di bilancio in Costituzione. Ma davvero, cambiando l’ordine di
priorità e di importanza nella gestione del denaro pubblico, questa
nuova stesura non è andata a cambiare la sostanza dell’articolo 2 dove
recita «richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà
politica, economica e sociale» e quella dell’articolo 3, almeno nel
passo in cui dice che «è compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli
di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e
l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona
umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori
all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese»? Provate a
chiedere se per loro non è cambiato niente a quegli undici milioni di
italiani – dato Censis – che hanno rinunciato alla prevenzione
sanitaria, o addirittura a curarsi, perché non hanno i soldi sufficienti
per farlo visto che i risparmi sulla sanità per raggiungere il pareggio
di bilancio sono diventati più importanti della loro salute.
Oppure, per venire all’oggi, fate la
fatica di leggervi i lunghissimi articoli 117 e 120 che ritrasferiscono
una quantità infinita di potestà legislative dalle Regioni allo Stato e
pensate a cosa rimarrebbe, nella sostanza, dell’articolo 5 che recita:
«La Repubblica, una e indivisibile, riconosce e promuove le autonomie
locali; attua nei servizi che dipendono dallo Stato il più ampio
decentramento amministrativo; adegua i principi ed i metodi della sua
legislazione alle esigenze dell'autonomia e del decentramento».
E lasciamo pur perdere gli articoli 1
e 4 dove si parla di lavoro, il 9 che dovrebbe tutelare lo sviluppo
della cultura e della ricerca e difendere il paesaggio e il patrimonio
storico e artistico, l’1 che ripudia la guerra. Qui la riforma
costituzionale non c’entra perché sono stati tutti già svuotati, o con
leggi ordinarie, o con cecità volute.
Quindi – e mi spiace dirlo – oggi
suona vuoto anche quel mantra con cui Benigni più volte ha toccato il
nostro animo: «La nostra Carta è la più bella del mondo. È stato un
miracolo. I nostri costituenti ci hanno fatto volare e hanno illuminato
le macerie. E così l'Italia si è rialzata». La nostra sarebbe davvero la
Carta più bella del mondo se, invece di tentare di cambiarla – nel nome
di una “governabilità” che punta a poter fare più in fretta e con meno
controlli, ma non a migliorare la quantità delle leggi – la si fosse
seguita e applicata fino in fondo.
Tutti gli “Eppure…” li puoi trovare anche all’indirizzo http://g-carbonetto.blogspot.it/
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