giovedì 6 ottobre 2016

I principi fondamentali

Di cose bizzarre, in questa campagna referendaria, se ne vedono davvero tante; soprattutto da parte del governo che opera per accaparrarsi più Sì possibili facendo vedere quanto è bravo in tutti i campi. E così si possono ammirare le quattordicesime ai pensionati, ma non a quelli più poveri, al di sotto dei 750 euro mensili di pensione. Oppure la decisione di far pagare alle banche il fallimento di Banca Etruria e delle altre tre, salvo poi concedere alle banche stesse di rivalersi immediatamente sui correntisti aumentando fortemente i costi di tenuta dei conti e applicando una specie di tassa di secondo livello che i più maligni hanno già definito “Boschi tax”. O, ancora, il governo che fornisce cifre molto ottimistiche nel Def (il Documento economico e finanziario) per influenzare in meglio le previsioni sul Pil e, quindi, le decisioni nella legge di stabilità; la Banca d’Italia, la Corte dei conti e l’Ufficio parlamentare di bilancio che, più che contestare le cifre, le definiscono di fantasia; e Renzi che, piccato da tanta inusitata mancanza di rispetto nei confronti del capo, risponde sbuffando: «Vedremo chi avrà ragione», come non si stesse parlando del destino economico di una nazione, ma di una semplice scommessa tra più o meno amici.

La palma della bizzarria tocca, però, a una persona che nel governo non c’è: a Roberto Benigni e non perché ha detto che «se vince il No sarà peggio della Brexit», copiando la prima versione di alcuni giornali economici anglosassoni che intanto hanno cambiato idea (il Financial Time l’altro giorno ha scritto che le riforme costituzionali renziane sono «un ponte verso il nulla»), ma in quanto ha anche affermato che «i primi 12 articoli della Costituzione, i Principi fondamentali, i diritti e doveri sono straordinariamente belli e intoccabili».

Belli lo sono davvero, ma intoccabili proprio no. E Benigni è persona troppo attenta e intelligente per non sapere che non sono assolutamente sacri perché, se è ben vero che nessuno si è mai sognato di andare a modificare la forma dei primi 12 articoli andando a ritoccarne il testo, nella sostanza, invece, già di alcuni si è svuotato parte del contenuto e ora ci si appresta a proseguire nell’opera di vanificazione.

Non ci credete? Provate a pensare a cos’è successo nell’aprile 2012, quando è stata approvata a larghissima maggioranza la riforma dell’articolo 81, che ha introdotto l’obbligo del pareggio di bilancio in Costituzione. Ma davvero, cambiando l’ordine di priorità e di importanza nella gestione del denaro pubblico, questa nuova stesura non è andata a cambiare la sostanza dell’articolo 2 dove recita «richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale» e quella dell’articolo 3, almeno nel passo in cui dice che «è compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese»? Provate a chiedere se per loro non è cambiato niente a quegli undici milioni di italiani – dato Censis – che hanno rinunciato alla prevenzione sanitaria, o addirittura a curarsi, perché non hanno i soldi sufficienti per farlo visto che i risparmi sulla sanità per raggiungere il pareggio di bilancio sono diventati più importanti della loro salute.

Oppure, per venire all’oggi, fate la fatica di leggervi i lunghissimi articoli 117 e 120 che ritrasferiscono una quantità infinita di potestà legislative dalle Regioni allo Stato e pensate a cosa rimarrebbe, nella sostanza, dell’articolo 5 che recita: «La Repubblica, una e indivisibile, riconosce e promuove le autonomie locali; attua nei servizi che dipendono dallo Stato il più ampio decentramento amministrativo; adegua i principi ed i metodi della sua legislazione alle esigenze dell'autonomia e del decentramento».

E lasciamo pur perdere gli articoli 1 e 4 dove si parla di lavoro, il 9 che dovrebbe tutelare lo sviluppo della cultura e della ricerca e difendere il paesaggio e il patrimonio storico e artistico, l’1 che ripudia la guerra. Qui la riforma costituzionale non c’entra perché sono stati tutti già svuotati, o con leggi ordinarie, o con cecità volute.

Quindi – e mi spiace dirlo – oggi suona vuoto anche quel mantra con cui Benigni più volte ha toccato il nostro animo: «La nostra Carta è la più bella del mondo. È stato un miracolo. I nostri costituenti ci hanno fatto volare e hanno illuminato le macerie. E così l'Italia si è rialzata». La nostra sarebbe davvero la Carta più bella del mondo se, invece di tentare di cambiarla – nel nome di una “governabilità” che punta a poter fare più in fretta e con meno controlli, ma non a migliorare la quantità delle leggi – la si fosse seguita e applicata fino in fondo.

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