A ben vedere, il
sentimento dominante in questa lunghissima e sfibrante campagna
referendaria sembra essere quello della paura. Per molti una paura
indotta dalle più o meno velate minacce internazionali. Per alcuni
schierati con il Sì, la paura di vedere cosa potrebbe arrivare dopo
Renzi. Per una certa fetta di parlamentari e iscritti al PD, la paura di
parlare e di agire con decisione all’interno del proprio partito per
fargli riacquistare quei valori la cui assoluta mancanza non può più
essere nascosta soltanto dal fatto di non aver cambiato il nome. E tanti
di coloro che sono schierati per il No sembrano aver paura di dire di
aver paura che la riforma costituzionale, se approvata, metterebbe in
pericolo la nostra stessa democrazia, anche al di là dell’eventuale
combinato disposto con la legge elettorale; perché si rendono conto che
la nuova Costituzione ha in sé un alto grado di pericolosità, a
prescindere dal mantenimento, o meno, dell’Italicum.
Sul merito della riforma
Boschi–Renzi–Napolitano siamo già intervenuti più volte e continueremo a
farlo fino al 4 dicembre, ma mi sembra doveroso mettere in luce che il
sostantivo “merito” non riguarda soltanto le parole che appaiono nei
tantissimi articoli riformati e gli effetti che avranno sulla nostra
vita democratica e, quindi, civile. “Merito” è anche il modo in cui a
questa riforma e alla sua approvazione parlamentare si è arrivati.
In primis, la proposta di nuova
Costituzione sposta il baricentro dell’equilibrio tra poteri dandone di
più all’esecutivo e di meno al legislativo, non può non richiamare alla
mente la teoria della separazione dei poteri fissata da Montesquieu
nello “Spirito delle leggi”, quando ha elaborato e fissato il principio
che ogni funzione pubblica deve essere attribuita a un potere distinto
(il legislativo che elabora le leggi; l’esecutivo che fa progredire lo
Stato applicando le leggi; il giudiziario che, secondo le leggi, dirime
le controversie), per evitare che concentrazione di attribuzioni possano
spianare la strada a forme di autoritarismo. Una separazione di estrema
importanza tanto che la Dichiarazione dei Diritti dell’Uomo e del
Cittadino nell’articolo 169, recita: «Ogni società in cui la garanzia
dei diritti non è assicurata, né la separazione dei poteri stabilita,
non ha Costituzione».
E allora la prima tra le tante
anomalie di questa riforma consiste nel fatto che è stato uno dei
poteri, quello esecutivo, a proporre la riforma di un altro, quello
legislativo.
Si potrebbe dire che nessuno
griderebbe allo scandalo se fosse stato il Parlamento a proporre una
riforma che andasse a incidere sul ventaglio dei poteri del governo; ed è
vero. Ma non va dimenticato che è proprio dell’organo legislativo il
compito di cambiare le leggi, Costituzione compresa; tanto che Piero
Calamandrei disse che durante le discussioni sulla Costituzione e sulle
leggi costituzionali, i banchi del governo avrebbero dovuto restare
vuoti e che De Gasperi, durante l’intero periodo costituente non prese
mai la parola da presidente del Consiglio su temi costituzionali.
E non va dimenticato neppure che,
secondo la nostra Costituzione, è il Parlamento e non il governo a
essere espressione della volontà popolare, tanto è vero che è il
Parlamento – espressione delle democrazia rappresentativa – a decretare
la caduta dei governi e che può capitare – come adesso – che il
presidente del Consiglio non sia mai stato eletto dai cittadini né alla
Camera, né al Senato. Il fatto, insomma, è che la Costituzione dovrebbe
venire sempre prima di qualsiasi governo e di qualsiasi presidente del
Consiglio.
E di “merito” si parla anche quando
si va a esaminare come questa riforma sia stata approvata: non solo per
la legittimità di un Parlamento eletto con una legge dichiarata
incostituzionale, ma perché la fretta con cui è stata portata avanti la
riforma è stata inqualificabile, tanto che la commissione Affari
costituzionali del Senato non è riuscita neppure a concludere i suoi
lavori e i membri della commissione hanno avuto i tempi di intervento
contingentati fino al ridicolo: 10” su ogni emendamento. O, più
esattamente, democraticamente parlando, al drammatico.
Tutti gli “Eppure…” li puoi trovare anche all’indirizzo http://g-carbonetto.blogspot.it/
Nessun commento:
Posta un commento