sabato 22 ottobre 2016

Entrando nei meriti

A ben vedere, il sentimento dominante in questa lunghissima e sfibrante campagna referendaria sembra essere quello della paura. Per molti una paura indotta dalle più o meno velate minacce internazionali. Per alcuni schierati con il Sì, la paura di vedere cosa potrebbe arrivare dopo Renzi. Per una certa fetta di parlamentari e iscritti al PD, la paura di parlare e di agire con decisione all’interno del proprio partito per fargli riacquistare quei valori la cui assoluta mancanza non può più essere nascosta soltanto dal fatto di non aver cambiato il nome. E tanti di coloro che sono schierati per il No sembrano aver paura di dire di aver paura che la riforma costituzionale, se approvata, metterebbe in pericolo la nostra stessa democrazia, anche al di là dell’eventuale combinato disposto con la legge elettorale; perché si rendono conto che la nuova Costituzione ha in sé un alto grado di pericolosità, a prescindere dal mantenimento, o meno, dell’Italicum.

Sul merito della riforma Boschi–Renzi–Napolitano siamo già intervenuti più volte e continueremo a farlo fino al 4 dicembre, ma mi sembra doveroso mettere in luce che il sostantivo “merito” non riguarda soltanto le parole che appaiono nei tantissimi articoli riformati e gli effetti che avranno sulla nostra vita democratica e, quindi, civile. “Merito” è anche il modo in cui a questa riforma e alla sua approvazione parlamentare si è arrivati.
In primis, la proposta di nuova Costituzione sposta il baricentro dell’equilibrio tra poteri dandone di più all’esecutivo e di meno al legislativo, non può non richiamare alla mente la teoria della separazione dei poteri fissata da Montesquieu nello “Spirito delle leggi”, quando ha elaborato e fissato il principio che ogni funzione pubblica deve essere attribuita a un potere distinto (il legislativo che elabora le leggi; l’esecutivo che fa progredire lo Stato applicando le leggi; il giudiziario che, secondo le leggi, dirime le controversie), per evitare che concentrazione di attribuzioni possano spianare la strada a forme di autoritarismo. Una separazione di estrema importanza tanto che la Dichiarazione dei Diritti dell’Uomo e del Cittadino nell’articolo 169, recita: «Ogni società in cui la garanzia dei diritti non è assicurata, né la separazione dei poteri stabilita, non ha Costituzione».

E allora la prima tra le tante anomalie di questa riforma consiste nel fatto che è stato uno dei poteri, quello esecutivo, a proporre la riforma di un altro, quello legislativo.

Si potrebbe dire che nessuno griderebbe allo scandalo se fosse stato il Parlamento a proporre una riforma che andasse a incidere sul ventaglio dei poteri del governo; ed è vero. Ma non va dimenticato che è proprio dell’organo legislativo il compito di cambiare le leggi, Costituzione compresa; tanto che Piero Calamandrei disse che durante le discussioni sulla Costituzione e sulle leggi costituzionali, i banchi del governo avrebbero dovuto restare vuoti e che De Gasperi, durante l’intero periodo costituente non prese mai la parola da presidente del Consiglio su temi costituzionali.

E non va dimenticato neppure che, secondo la nostra Costituzione, è il Parlamento e non il governo a essere espressione della volontà popolare, tanto è vero che è il Parlamento – espressione delle democrazia rappresentativa – a decretare la caduta dei governi e che può capitare – come adesso – che il presidente del Consiglio non sia mai stato eletto dai cittadini né alla Camera, né al Senato. Il fatto, insomma, è che la Costituzione dovrebbe venire sempre prima di qualsiasi governo e di qualsiasi presidente del Consiglio.

E di “merito” si parla anche quando si va a esaminare come questa riforma sia stata approvata: non solo per la legittimità di un Parlamento eletto con una legge dichiarata incostituzionale, ma perché la fretta con cui è stata portata avanti la riforma è stata inqualificabile, tanto che la commissione Affari costituzionali del Senato non è riuscita neppure a concludere i suoi lavori e i membri della commissione hanno avuto i tempi di intervento contingentati fino al ridicolo: 10” su ogni emendamento. O, più esattamente, democraticamente parlando, al drammatico.

Tutti gli “Eppure…” li puoi trovare anche all’indirizzo http://g-carbonetto.blogspot.it/

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