Bisogna cambiare
tutto per non cambiare nulla. È questo il senso della famosa frase
pronunciata da Tancredi, il nipote del principe di Salina, ne “Il Gattopardo”
di Giuseppe Tomasi di Lampedusa. Ed è esattamente il senso di quello
che spera di poter fare Matteo Renzi, nei riguardi della nuova legge
elettorale, l’Italicum, almeno fino a quando la Corte Costituzionale non
deciderà di decidere sulle eccezioni di incostituzionalità sollevate e
presentate da molti tribunali.
L’attenzione dei più, infatti, si
appunta sulle scadenze temporali fissate da Renzi nel suo discorso alla
riunione della direzione PD. Cambiare si può – ha detto, in sintesi – ma
soltanto dopo il voto referendario del 4 dicembre. Per intanto si può
cominciare a discuterne in un’apposita commessione. E in molti hanno
ribattuto – tanto che la minoranza PD ha finalmente deciso di
pronunciarsi per il No – che si tratta soltanto di melina, di un
surrettizio procrastinare la data del cambiamento per poterla spostare
all’infinito, o, anzi, cancellarla, in caso di vittoria del Sì.
Ma la cosa più importante non mi
sembra mettere in discussione la validità della parola data da Renzi,
anche perché su questo argomento tutti hanno già avuto solidi elementi
per decidere il proprio personale giudizio. Il nucleo su cui ragionare
è, invece un altro.
Oltre che del metodo di elezione dei
senatori, Renzi, infatti, afferma che sull’Italicum si potrà discutere
di ballottaggio, collegi uninominali, preferenze, premio di maggioranza
alla lista o alla coalizione. Sembra che davvero cambi tutto. Ma poi –
ribadita in contemporanea dal fedelissimo Nardella e da altri - arriva
la frase che fa capire che nulla, comunque, cambierà: «Deve comunque
essere una legge elettorale che faccia sapere subito chi ha vinto e chi
ha perso».
A prescindere dal linguaggio usato
(“vincere” si attaglia più a una competizione sportiva che a un
confronto politico, almeno se si continua ancora a ritenere che la
politica, anche con qualche compromesso, debba venire incontro alle
necessità non della maggioranza politica del momento, ma della maggior
parte dei cittadini), resta del tutto intatto il concetto base che
informa l’intera filosofia, oltre che della riforma costituzionale,
anche dell’Italicum, così com’è espressa nell’articolo 2 della legge: «I
partiti, o i gruppi politici organizzati che si candidano a
governare…». Ma in un sistema parlamentare ci si dovrebbe candidare a
rappresentare in Parlamento i propri elettori e non a governare.
E non va dimenticato neppure che,
per arrivare al risultato di questa legge che, secondo Renzi, la Boschi e
i loro, era «la più bella legge elettorale dell’Occidente» che «molti
ci copieranno», il presidente del Consiglio e segretario del PD non ha
esitato a ricorrere a mezzi mai, o quasi mai, usati in precedenza nella
storia italiana. Il sistema di porre la fiducia su una legge elettorale,
infatti, prima che per l’Italicum, era stato usato soltanto in due
casi: il 18 novembre 1923 per la legge Acerbo che fu voluta da Benito
Mussolini per assicurare al Partito Nazionale Fascista una solida
maggioranza parlamentare nelle elezioni del 1924, e il 21 gennaio 1953
per la cosiddetta “legge truffa” che voleva dare un premio di
maggioranza a chi avrebbe già conquistato una maggioranza assoluta.
Molto meno “truffa” dell’attuale, quindi.
Poi vorrei ricordare dieci nomi di
cui forse vi sarete dimenticati, ma che nella memoria di Renzi
dovrebbero essere ben presenti: Pier Luigi Bersani, Gianni Cuperlo, Rosy
Bindi, Andrea Giorgis, Enzo Lattuca, Alfredo D'Attorre, Barbara
Pollastrini, Marilena Fabbri, Roberta Agostini e Marco Meloni. Sono i
deputati del PD che il 20 aprile 2015 Renzi ha deciso di sostituire
d’autorità nella Commissione Affari costituzionali perché non erano
pienamente appiattiti sui suoi orientamenti proprio nella discussione
della nuova legge elettorale.
Alla luce di questi ricordi sul
comportamento di Renzi, è dal governatore della Toscana, Enrico Rossi,
che arriva una specie di epitaffio per il PD: «Renzi ha fatto
un'apertura; lui è il segretario e se in un partito non ci si fida del
segretario, allora quel partito è morto». Combiniamola con le parole
rivolte da Cuperlo a Renzi – «Se perdi avrai paralizzato il Paese per
nulla, se vinci camminerai sulla macerie» – e si vede che forse questa
volta qualcosa comunque cambierà perché il PD che conosciamo come
capofila del centrosinistra non ci sarà più. Forse Renzi ha sbagliato
qualche calcolo (magari pensando soltanto alla gerarchia del partito e
non anche agli elettori) perché questa volta comunque qualcosa cambierà.
Tutti gli “Eppure…” li puoi trovare anche all’indirizzo http://g-carbonetto.blogspot.it/
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