Mi sembra
assolutamente azzeccata la decisione, da parte della Einaudi, di ridare
alle stampe un classico della filosofia politica scritto da Henry David
Thoreau: quel “Disobbedienza civile” che è stato scritto nel 1849
raccogliendo una serie di interventi pubblici fatti l’anno prima dal
giovane filosofo che allora aveva 31 anni. Un testo che ha segnato
profondamente il ventesimo secolo, più di quello in cui è stato scritto e
nel quale il concetto di obbedienza era molto più vicino a un
imperativo categorico totale che a un tratto di consigliabile buona
educazione. Un testo che è stato letto e metabolizzato da giganti come
Gandhi e Martin Luther King. Un testo che merita l’appellativo di
“classico” perché ancora oggi, a 170 anni di distanza, mantiene intatto
il suo messaggio e il suo valore.
L’assunto di base sul quale Thoreau
poggia il proprio ragionamento è che qualsiasi governo, anche il
migliore possibile, non può non limitare profondamente la libertà etica
del cittadino, cancellando di fatto quella che Kant definiva «autonomia
morale» della persona. Quindi, in una visione del mondo in cui l’etica
deve essere anteposta al vantaggio economico e in cui – pur in profonda
differenza con l’attuale pensiero politico dominante – i diritti del
singolo devono venire prima della massimizzazione dei profitti, per
Thoreau – ma fortunatamente non soltanto per lui – la disobbedienza è il
primo, necessario passo per tentare di riallineare il mondo esterno con
il proprio mondo morale.
Ed è da queste considerazioni –
nettamente avversate da chi detiene il potere e contestate anche da
spera di conquistarlo, ma apprezzate dagli altri – che discendono
direttamente delle domande decisamente accusatorie. Perché continuiamo a
non fare nulla se lo Stato è da sempre amministrato nell’interesse di
pochi più che dei tanti? Perché dimentichiamo di essere uomini dotati di
dignità se ci troviamo senza reagire davanti a leggi che schiavizzano, o
almeno non difendono, noi, ma anche altri esseri umani? Perché troppo
spesso, per piccini desideri di tranquillità, o per convenienze
assortite, seppelliamo in una studiata indifferenza il nostro senso di
giustizia?
Davanti a queste rivalutazioni della
responsabilità etica individuale è arrivata, come una specie di pugno
nello stomaco, una frase di Romano Prodi che, nel rinnovare il suo
appoggio a Gentiloni e, quindi, al PD, non si è limitato a esprimere la
sua scelta, ma ha affermato che «la democrazia moderna esige
raggruppamenti».
Parlo di pugno nello stomaco per tre motivi.
Il primo è che il raggruppamento –
che è qualcosa di molto meno sentito e vincolante di un’alleanza fondata
su ideali comuni – è proprio la negazione grossolana di ogni analisi
etica individuale e della successiva scelta di comportamento.
Il secondo riguarda il fatto che
aggiungere l’aggettivo “moderna” al sostantivo “democrazia” non soltanto
fa balenare l’idea che il concetto di democrazia non sia un valore
assoluto, ma che possa essere anche “antica”, o “moderna”. E che, visto
che il concetto di moderno, se non usato in maniera esplicitamente
spregiativa, implica un miglioramento, attualmente staremmo vivendo in
un periodo di democrazia avanzata. Mentre c’è un generale accordo sul
fatto che, invece, la democrazia stia proprio vivendo un momento di
profonda crisi.
Il terzo tocca colui che questa
frase ha pronunciato: Romano Prodi per il quale avrò sempre grande
gratitudine per le due volte in cui ha sconfitto elettoralmente
Berlusconi, e grande vicinanza per le tre volte in cui è stato tradito
da coloro che avrebbero dovuto essere di sinistra, o di centrosinistra,
ma che ora sento decisamente estraneo perché ritiene più importante il
valore del “raggruppamento” che i valori del centrosinistra, visto che
se il “raggruppamento” non c’è più, questo dipende proprio dal fatto che
Renzi, l’attuale padrone del PD, ha tradito quei valori.
E, contemporaneamente a quei valori,
ha tradito anche svariate centinaia di migliaia di elettori che hanno
dato ragione a Thoreau mettendo in pratica la disobbedienza civile in un
modo pacifico, ma clamoroso, anche se i politici hanno fatto finta di
non vederlo: rinunciando al diritto di voto piuttosto che votare
qualcosa in cui non si crede.
Tutti gli “Eppure…” li puoi trovare anche all’indirizzo http://g-carbonetto.blogspot.it/
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