Romano
Prodi ha ragione quando, dopo aver annunciato che voterà per il PD di
Renzi, chiede: «Scusi, ma dov'è la sorpresa?». E, infatti, a mente
fredda, la cosa che più stupisce è lo stupore destato dal fatto che il
professore torni ad appoggiare Renzi a poco più di un anno di distanza
dal referendum costituzionale che - merita ricordarlo - nettamente non
ha dato ragione né a chi voleva stravolgere la nostra Costituzione, né
al suo illustre sostenitore.
È sicuramente giusto chiedersi con
che stomaco Prodi, nel suo collegio bolognese, preferirà votare Casini
invece di Errani, ma non c'è da ragionarci molto sopra. Mi sembra più
interessante, invece, esaminare con un po più di attenzione la frase con
cui Prodi ha giustificato la sua scelta: «Liberi e Uguali - ha detto
-non è per l'unità del centrosinistra, mentre Renzi e il PD e chi ha
fatto gli accordi con il PD lo sono». E in questa frase ci sono almeno
due parole sulle quali merita soffermarsi per tentare di dare contorni
certi al loro significato: "centrosinistra" e "unità".
Sul significato di "centrosinistra"
basterebbe chiedersi, anche al di là di alcune leggi volute da Renzi e
dai suoi, come mai possa mantenere questa definizione un'alleanza che
presenta, tra gli altri, Casini (sempre quello che per una vita è stato
emblema del centrodestra e per il quale Prodi ha dichiarato di voler
votare), la ministra Lorenzin, l'ex braccio destro di Formigoni e tutta
una serie di altri personaggi che mai si sarebbero avvicinati a qualcosa
che odorasse veramente, anche se pur soltanto vagamente, di sinistra.
Per non parlare poi - perché è tutt'altro discorso - di altri candidati
nel meridione che sono molto vicini a Cuffaro o a Lombardo.
Meno semplice, invece, è definire il
concetto di unità e poi capire fino a che punto l'unità può essere un
pregio e quando, invece, diventa persino un difetto.
Per quanto riguarda il concetto,
l'unità potrebbe essere definita come la condizione di qualcosa che è
costituito da più parti che sono insieme per coincidenza, o almeno per
convergenza, di ideali e di intenti. E già qui appare difficile
ipotizzare che ci possano essere unità di ideali e intenti tra Renzi e
coloro che lo hanno ritenuto talmente dispotico e talmente poco di
sinistra da decidere di abbandonare il partito del quale pure erano
stati i fondatori.
Ma ancora più evidente appare il
fatto che un'alleanza tra Renzi (parlare di PD attualmente, e a maggior
ragione dopo le decisioni sulle liste, appare superfluo, se non
addirittura ipocrita) e Liberi e Uguali non avrebbe altro significato di
quello che ha l'alleanza tra Berlusconi e Salvini: un semplice modo per
sfruttare al meglio le follie dell'assurda legge elettorale che ha
preso il nome dal suo teorico ideatore Rosato, per poi dividersi subito
dopo, in quanto su molti punti gli obbiettivi non sono soltanto diversi,
ma addirittura divergenti.
Su queste basi incontrovertibili
appare davvero difficile concordare con la presa di posizione da parte
di Prodi, non soltanto sotto l'aspetto politico, ma anche dal punto di
vista utilitaristico. Se è vero, infatti, che uno degli scopi dei
fuoriusciti dal PD era quello di rispettare il sentire dei tanti
elettori che non andavano più a votare perché non trovavano più sulla
scheda elettorale alcun simbolo che rispettasse i loro ideali sociali e
politici di sinistra, o almeno vicini alla sinistra, un'unità tra LeU e
PD forse consentirebbe al partito di Renzi di superare tranquillamente
la soglia-spauracchio del 25 per cento, ma certamente perderebbe non
soltanto tutti quelli che già non andavano alle urne, ma anche un buon
numero di elettori che sul simbolo di quel partito di Renzi che ha
voluto il Jobs Act, la Buona scuola, la fallita riforma costituzionale,
la nuova legge elettorale - e tutto a colpi di fiducia - non
riuscirebbero proprio più a tracciare una croce.
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