La notizia è che
Matteo Renzi dice che «Si vota nel 2018, comunque vada il referendum».
Notizia per modo di dire, se vogliamo, visto che in tanti si era
convinti – e lo si era scritto in tempi non sospetti – che Renzi poi, in
caso di vittoria del No, non se ne sarebbe andato a casa e non soltanto
perché ci sono delle procedure costituzionali da seguire e uno non può
semplicemente uscire arrabbiato da Palazzo Chigi e chiudersi la porta
alle spalle. Con buona pace della Boschi e di altri ferventi renziani
che ne avevano esaltato la sua “coerenza”.
Il corollario, invece, pur se sempre
non molto sorprendente, merita, invece, un po’ di attenzione in più. E
non perché Renzi, dopo aver visto i sondaggi, ammette di aver sbagliato a
personalizzare, ma in quanto la personalizzazione rimane praticamente
invariata, anche se tenta di assumere un’impronta diametralmente
opposta. Mentre prima, infatti, aveva portato a identificare il
referendum costituzionale con un plebiscito su Renzi, adesso, invece,
vorrebbe far pensare che togliendo il legame con Renzi tutto va a posto,
che la riforma costituzionale diventa immediatamente buona e che tutte
le critiche che giuristi, presidenti emeriti di Corte Costituzionale e
cittadini che amano la democrazia hanno fatto, non hanno più ragione di
esistere. E così non è perché i difetti e i pericoli rimangono
perfettamente identici e, con una frase già detta mille volte, mentre
«del destino politico di Renzi mi importa poco o niente, mi interessa
moltissimo, invece, il futuro democratico di mia figlia, di mia nipote e
dei loro coetanei».
Per convincercene guardiamo le prime
reazioni, tralasciando il fatto che Renzi continua a decantare i
supposti pregi della riforma e a ignorarne i reali difetti e che insiste
a denigrare chi gli è contrario perché «coloro che sostengono il no –
dice – stanno difendendo le loro poltrone, i loro rimborsi». Come se a
impegnarsi per il No fossero soltanto deputati e senatori e non anche e
soprattutto normali cittadini che non occupano alcun seggio
parlamentare. Piero Fassino, per esempio, coglie subito la palla al
balzo per confermare il suo sì alla riforma dicendo che «ora il quesito è
chiaro» e che il sì «non può fallire perché è l’Italia che rischia il
baratro».
Cominciamo con quel «ora il quesito è
chiaro» rilevando che il quesito non è assolutamente cambiato e che
l’unico mutamento riguarda le parole (non il pensiero) di Renzi e che,
quindi, sarebbe ora di entrare finalmente nel merito davvero e non come
invocano, ma evitano di fare, se non a slogan, i renziani più convinti.
Disponibili a farlo quando vogliono e dove vogliono.
Per quanto riguarda «è l’Italia che
rischia il baratro», siamo assolutamente d’accordo, ma in senso opposto a
quello di Fassino che si affanna a spiegare che il combinato disposto
tra legge elettorale e nuova Costituzione non esiste. Invito chiunque a
leggere la riforma renziana e a valutare come potrebbe funzionare se non
ci fosse un partito vincente con a disposizione una larghissima
maggioranza. Semplicemente non funzionerebbe perché con una Camera sola e
con alleanze possibili meno articolabili si finirebbe per andare alle
urne ogni anno: altro che governabilità.
Il fatto è che lo spirito di questa
riforma abbraccia entrambi gli aspetti, anche se Fassino sostiene il
contrario. Riforma e legge elettorale sono state fatte
contemporaneamente e sono state propagandate a gran voce insieme perché
avrebbero ridotto i tempi della politica e reso più efficace l’azione
del governo.
E la “filosofia” – scusate se uso un
termine nobile per un progetto basso – è la stessa che si è vista usare
contro l’ANPI e per le feste dell’Unità e che adesso Renzi vuole
annacquare perché ha visto che provocano più danni del previsto: è una
“filosofia” che vede l’espressione di ogni pensiero diverso come un
fastidio, come una perdita di tempo, come un intralcio alla velocità di
esecuzione che sembra essere diventata la bussola del mondo politico di
oggi che l’ha messa al posto che spettava al bene comune.
È una filosofia che anche nel suo
annacquamento rivela la sua natura: «Alle feste dell’Unità – dicono
Renzi e i suoi all’ANPI – venite pure, ma non sognatevi di fare
propaganda, cioè di dire le ragioni che vi spingono a votare No». Per
Renzi questa sarà democrazia; per me, che considero il voto soltanto la
parte conclusiva del processo democratico che è sempre lungo e faticoso,
è del tutto inaccettabile.
Tutti gli “Eppure…” li puoi trovare anche all’indirizzo http://g-carbonetto.blogspot.it/
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