Una delle prime
regole della politica – dicono – è quella di non ammettere mai di essere
rimasti sorpresi. Io non sono un politico e, quindi, confesso senza
imbarazzi che l’uscita di Honsell che decide di aderire ai comitati per
il sì alla riforma costituzionale mi lascia sbigottito, sia per quanto
il sindaco di Udine ha detto in più occasioni pubbliche, sia soprattutto
per il modo in cui è arrivato alla decisione di schierarsi
pubblicamente con Renzi.
E partirei proprio da qui perché,
anche se nell’intervista il sindaco vuole specificare che non associa il
suo sì alla fedeltà al presidente del Consiglio, appare quantomeno
rimarchevole il fatto che questa sua decisione arrivi come velocissima
risposta a una lettera con la quale il ministro delle Infrastrutture
Graziano Del Rio, il sottosegretario e direttore dell’Anci Angelo
Rughetti, e il senatore Roberto Cociancich, coordinatore del Comitato
nazionale per il sì, invitano i sindaci a sostenere la riforma
costituzionale. Sono tre esponenti di spicco del renzismo più
appassionato e fedele (e viene da ridere a pensare che la Boschi diceva
che l’Anpi, in quanto ente pubblico, non doveva prendere posizione) e a
Honsell – al quale tutto si può rimproverare, ma non il fatto di essere
uno sprovveduto – non può non apparire per l’ennesima volta evidente che
la cosiddetta riforma è stata voluta non dal Parlamento, né tantomeno
dal fantomatico “popolo”, ma solo ed esclusivamente dal presidente del
Consiglio pro tempore lusingato dal 40 e passa per cento raccolto alle
Europee e ora imbarazzato fortemente dal risultato delle comunali – e
soprattutto dei ballottaggi – tanto da far dire ai suoi fedelissimi e
anche al suo protettore Napolitano che l’Italicum dovrà essere cambiato.
Ma evidentemente solo dopo il referendum.
Eppure sia in piazza Libertà per il
25 aprile, sia in altre occasioni pubbliche colui che ora si schiera
apertamente per il sì aveva sostenuto che la Costituzione nata dalla
Resistenza andava rinnovata e migliorata, ma non stravolta e – tra tante
altre cose – che non doveva derivare dalla volontà di un esecutivo, ma
da quella del popolo.
Altra cosa che colpisce molto è la
serie di giustificazioni che offre per la sua scelta. Comincia dicendo
che in un momento complicato come l’attuale ritiene «poco costruttivo
rifiutare la proposta del Parlamento». Ma dimentica che la proposta è
della maggioranza e non del Parlamento visto che tra gli altri della
minoranza (?) ha ottenuto soltanto i salvifici voti dei verdiniani e che
il progetto complessivo spesso è andato avanti con fiducie e
supercanguri.
Poi afferma che l’eventuale sì
«rafforza l’immagine dell’Italia nel mondo in un momento di grande
incertezza a livello europeo con la Brexit e a livello mondiale con il
terrorismo. In questa condizione – continua – è importante avere un
Paese forte che vuole cambiare e questa scelta è la migliore». Al di là
del fatto che nessun cambiamento, a prescindere dalla sua qualità,
rafforza l’immagine di qualsiasi Paese, perché altrimenti con le
stravaganze di Berlusconi l’Italia sarebbe diventata la prima potenza
mondiale, questa affermazione mi richiama alla mente quel documento di
16 pagine, diffuso nel 2013, in cui gli economisti del gigante
finanziario americano JP Morgan elencano le modifiche che loro
vorrebbero far apportare nell’area euro per superare la crisi del debito
e che sembra ispiratore della riforma RenziBoschi; in quelle pagine
gli economisti hanno detto, senza giri di parole ai governi europei che
«Dovete liberarvi delle vostre costituzioni sinistroide e antifasciste».
Vi riporto un altro passo del documento: «I sistemi politici e
costituzionali del sud presentano tipicamente le seguenti
caratteristiche: esecutivi deboli nei confronti dei parlamenti; governi
centrali deboli nei confronti delle regioni; tutele costituzionali dei
diritti dei lavoratori; tecniche di costruzione del consenso fondate sul
clientelismo; e la licenza di protestare se vengono proposte sgradite
modifiche dello status quo. La crisi ha illustrato a quali conseguenze
portino queste caratteristiche».
Un’altra accusa che da sempre ho
rivolto all’iniziativa di Renzi e che ora non posso evitare a Honsell è
quella di aver voluto spaccare irrimediabilmente il centrosinistra nel
nome di un cambio di Costituzione che rafforza sempre di più i poteri
dell’esecutivo e che si muove in un tracciato che è certamente molto più
vicino alle idee del centrodestra. Capisco benissimo che Honsell è già
stato eletto per due volte alla carica di sindaco e che non può più
ricandidarsi, ma speravo che il suo sguardo andasse anche oltre la sua
persona e che si allargasse al bene del centrosinistra non come area in
cui raccogliere voti, ma come catalizzatore di idee socialmente ben
indirizzate. La drammatica spaccatura nel centrosinistra prodotto da
Renzi in Italia (ricordate i milioni di persone indubitabilmente di
sinistra che non vanno più a votare: l’Emilia Romagna è soltanto un
esempio) ora si riprodurrà senza più esitazioni anche nella nostra
regione. Ed è vero che io dico quello che penso e che il mio voto vale
soltanto uno, ma è altrettanto vero che in democrazia ogni voto è
importante perché rivela un’idea e che è la sommatoria di tante
individualità che decretano una vittoria, o una sconfitta.
Un’ultima annotazione: abbiamo
applaudito convinti i discorsi che Honsell ha fatto in tanti 25 aprile
in piazza della Libertà e lo abbiamo sostenuto quando moltissimi lo
accusavano perché voleva mantenere vivi i frutti della Resistenza. Mi
domando cosa potrà dire il prossimo 25 aprile. A prescindere da chi avrà
vinto il referendum. Non fosse sufficientemente chiaro, non avrà più il
mio voto, né il mio applauso.
Tutti gli “Eppure…” li puoi trovare anche all’indirizzo http://g-carbonetto.blogspot.it/
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