In questi giorni
di dolore e di rabbia per un terrorismo sempre più crudelmente inumano e
sempre meno mirato, di orrore per continui razzismi e vendette, e di
preoccupazione per come in sempre più Paesi si acuisca la tendenza alla
ricerca dell’uomo forte e non del popolo coinvolto e consapevole, non ci
si può dimenticare - anche se non è facile farlo - dei pericoli che
corre l’Italia con la riforma costituzionale e con il suo “combinato
disposto “ con la nuova legge elettorale.
Ho già dichiarato che farò tutto
quanto è possibile - non tanto per il bene mio, ma per il futuro
democratico di mia figlia, di mia nipote e di tutti i loro coetanei -
affinché a ottobre (o a novembre, o chissà quando) vinca il no; ma
comunque andrà a finire ritengo si debba chiarire subito che l’impegno
dei componenti dei comitati del No non potrà, né dovrà esaurirsi dopo il
conteggio delle schede, in quanto Renzi - per quanto importante lui
reputi se stesso - altro non è che la punta di un pericolosissimo
iceberg, o una specie di brufolo che indica, ma in parte nasconde la
vera malattia che oggi i più indicano con soddisfazione come un grande
successo della chirurgia sociale: la scomparsa delle ideologie che,
però, in realtà consiste soltanto in un intervento di chirurgia estetica
perché un’ideologia, assolutamente per ora vincente, è rimasta.
Cancellato il nome e la veste
politica che avrebbero potuto coinvolgerla nel rifiuto che ha affossato
tutte le degenerazioni delle altre ideologie, infatti – come acutamente
già rilevava Natalino Irti nel suo “La tenaglia” di otto anni fa – si è
palesata esplicitamente nella sua sostanza: il liberismo economico,
fondato sul capitale privato e sulla volontà di guadagno a ogni costo. E
anche nella sua ambizione: diventare - proprio come i comunismi, i
fascismi e i fondamentalismi assortiti - una visione della vita che
pervade il mondo intero, che diventa contemporaneamente teoria e prassi,
determinando linguaggi, costumi e modi del fare; cancellando, come le
aberrazioni di cui sopra, l’unica cosa che dovrebbe importare davvero:
l’uomo, la sua vita, la sua dignità, le sue aspirazioni.
Come si lega questo discorso al
referendum costituzionale? È semplice: il trionfo dell’ideologia del
mercato e della finanza su tutte le altre, grazie anche a una pretesa
oggettività dei numeri, ha portato al dominio del pragmatismo della
quotidianità. E la quotidianità, con la conseguente mancanza di un vero
progetto sociale per il futuro, comporta - per riuscire a dare un senso
alla propria collocazione al vertice del potere esecutivo di una nazione
- la necessità di un’ossessiva volontà di “riforme” e di “riforma delle
riforme”.
In queste condizioni le leggi non
hanno né durata, né stabilità; sembrano immerse in un processo continuo,
oggi possono essere e domani non essere più, a seconda della
convenienza del momento di chi comanda in quel momento. Le leggi,
insomma, sembrano esistere quasi soltanto come invito a essere cambiate.
Manca una direzione, non c’è un fine davvero sociale e rimangono
soltanto le procedure produttive di tutte le norme di cui il pragmatismo
della quotidianità ritenga di avere bisogno. E la lotta politica
finisce per volgersi quasi esclusivamente alla conquista della macchina
che gestisce le procedure che possono tramutare in legge ogni volontà
del potere.
E qui arriviamo al punto, perché le
volontà del potere dovrebbero essere temperate dall’insieme di principi e
valori etici contenuti in quella somma di faticosi ragionamenti e
compromessi, in quel patto di convivenza che è la Costituzione entrata
in vigore nel 1948 la cui sostanza, proprio perché rallenta il
compimento dei desideri della maggioranza, ora Renzi e i suoi vogliono
mandare in soffitta. È per questo che dico che in ogni caso si dovrà
continuare a lavorare e che Renzi è soltanto un foruncolo che distrae
l’attenzione dalla vera malattia. Perché anche la Costituzione, se
spogliata delle sua tensione etica e sociale, altro non è che un
documento fatto di norme che un acconcio numero di voti parlamentari può
cambiare. E non perché i portatori di questi voti debbano avere
argomenti seri e convincenti, o le loro minacce di disastri abbiano
solidi fondamenti, ma in quanto la Costituzione stessa ha finito per
essere consunta dai continui assalti dell’ideologia vincente e per veder
esaurire la sua forza propulsiva. Perché la Costituzione ha bisogno di
una fede sociale che la animi e la sorregga, una fede sociale che deve
essere assolutamente riconquistata.
Dovrebbe essere evidente che Stato,
Costituzione, Parlamento e governo sono elementi che devono essere uniti
in una convivenza storica e che se questa storicità viene a mancare ed è
sostituita dal pragmatismo della quotidianità, la crisi degli organi
legislativi ed esecutivi finisce per apparire – e quindi diventare –
anche crisi dello Stato e della Costituzione. Insomma, è totalmente
contraddittorio salutare con gioia la morte delle ideologie politiche, e
quindi dei progetti sociali, e pretendere contemporaneamente dai
cittadini il senso dello Stato. Perché tra le ideologie “da rottamare”
purtroppo ci sono anche l’ideologia dello Stato e della Costituzione.
Se non vogliamo che dagli obbiettivi
politici e sociali ci si riduca alla pura esistenza normativa, è
evidente che il lavoro dovrà essere lungo, pesante e ininterrotto perché
se distruggere è stato relativamente facile indicando gli errori, le
aberrazioni e una corruzione dilagante (perché anche l’"ideologia"
dell’onestà è stata attaccata con determinazione), ricostruire il senso
dello Stato, della Costituzione, del vivere sociale sarà molto più
difficile anche perché richiederà, da parte di coloro che al futuro
ancora credono, la capacità di mettere almeno temporaneamente da parte
le inevitabili differenze, per unirsi nella difesa del bene maggiore che
è la vera democrazia e non quella cosa che ci ostiniamo ancora a
chiamare così, ma che ha soltanto vaghe rassomiglianze con quel sistema
politico che ha nel voto soltanto la parte finale e – tutto sommato,
visto che l’alternanza è accettabile, se non auspicabile – la meno
importante rispetto ai principi, ai valori, al pensiero, al progetto,
all'elaborazione, al confronto, alla mediazione e alla ricerca degli
accordi che facciano il bene di tutti.
Tutti gli “Eppure…” li puoi trovare anche all’indirizzo http://g-carbonetto.blogspot.it/
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