sabato 9 luglio 2016

I numeri

Matteo Renzi ha pronunciato, per l'ennesima volta, la fatidica frase «Abbiamo i numeri». Questa volta l'ha detta davanti al presidente Mattarella per assicurargli che, pur davanti alle nuove polemiche legate ad Alfano e famiglia, il governo riuscirà ad avere al Senato la maggioranza necessaria a far passare il decreto Enti locali. E Mattarella - che a differenza del suo predecessore si attiene al dettato costituzionale e opera da arbitro più che da capitano di una delle parti in campo - non ha potuto far altro che annuire in attesa degli eventi.

Ma dalla frase di Renzi ancora una volta si evince che i numeri sono l'unica cosa della democrazia che Renzi sia riuscito ad assimilare: di tutto quello che prima dei numeri dovrebbe esserci non c'è traccia. Principi, valori, pensiero, elaborazione, confronto, discussione, mediazione, accordi alla luce del sole sono tutte cose che nella mente dell'attuale presidente del Consiglio sono scomparse, e comunque assenti, per lasciare spazio soltanto alla parte finale: i numeri. Sicuramente importanti, ma altrettanto sicuramente travisabili, addomesticabili, imponibili; e, quindi, adatti a ogni tipo di regime, mentre sono tutti gli altri aspetti che precedono le conte dei voti a distinguere se si è, o meno, in uno stato di democrazia.

Adesso, secondo Renzi e i suoi, dell'Italicum si può discutere; il referendum si può "spacchettare". Un soprassalto democratico? Certamente no. Soltanto, ancora una volta, questione di numeri che il presidente del Consiglio si è accorto con certezza di non avere più. E allora cerca di correre al riparo, anche perché ha legato il suo futuro politico al risultato del referendum.

In questo momento è inutile parlare della ministra Boschi che - dopo aver ribadito più volte in passato che, come il suo capo , se la riforma costituzionale non dovesse passare in toto se ne andrebbe a casa - ora annuncia che la Costituzione va discussa con i cittadini. E neppure di Napolitano che continua ad accusare chi difende i principi fondanti della Costituzione del 1948 di provocare il disastro per l'Italia. Piuttosto un cenno sembra obbligatorio sul fatto che non vorrei mai essere vicesegretario del PD. Guardate come Guerini deve rinnegare se stesso per tentare di salvare la faccia al suo capo: fino a ieri era severissimo sacerdote dell'intangibilità della presunta nuova Costituzione e della nuova legge elettorale, mentre adesso è propugnatore di un dialogo a tutto campo.

Comunque, visto che Renzi soltanto di numeri intende, vorremmo ribadire che l'Italicum non va corretto, ma va cestinato per trovare nuove formule che garantiscano rappresentatività e, quindi, democrazia. E che lo "spacchettamento" della riforma costituzionale può risolvere solamente questioni minute e secondarie, come quella dell'abolizione del CNEL, mentre una Costituzione seria è qualcosa di organico: se la tocchi in un punto (e qui se ne vogliono stravolgere più di quaranta) quell'azione può riflettersi, anche a livello di limitazione di diritti, in altri punti. E, in ogni caso, la voglia di tramutare una repubblica parlamentare in una repubblica presidenziale non può certo essere "spacchettata".

E allora, a maggior ragione, attenti alle promesse di Renzi per il futuro: per lui, visto che è la cosa a cui bada maggiormente, saranno sempre i numeri e non le promesse a contare di più.

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