Uno dei
parametri più certi per valutare lo stato di salute di una democrazia è
quello basato sulla quantità di rischi da correre per mantenere la
propria dignità. E la diagnosi attuale appare assolutamente infausta.
Provate a pensarci. Quanta dignità
perde una persona che magari decide di non alzare più un terribile
cartello con su scritto l’evangelico «Ama il prossimo tuo», perché
rischia di essere picchiato a pugni e calci dai sostenitori del ministro
degli Inferni?
Quanta ne perde chi magari rinuncia a
esprimere il proprio dissenso davanti a una manifestazione – questa sì
con grandi striscioni in testa – nella quale si solidarizza con una
persona che ha ucciso un ladro sparandogli alle spalle da un balcone?
Quanta chi non dice che si preoccupa
di essere in un Paese che sta diventando razzista quando sente sempre
lo stesso padrone del governo che minaccia di ripulire l’Italia dai Rom e
che, davanti all’obiezione «Ma sono quasi tutti italiani», ghigna
minacciosamente: «Beh, quelli purtroppo ce li dobbiamo tenere».
Ma forse l’esempio più clamoroso di
sottrazione di dignità arriva da Udine. E di questo Salvini – scusate la
parola – con tutta probabilità non sa nulla. Ed è proprio per questo
che diventa il più clamoroso; perché ormai il nascondersi e il
nascondere la propria dignità per molti sta diventando un automatismo di
sopravvivenza.
Alla scuola media Fermi, dove il 45
per cento degli studenti è di origine straniera e dove sono
rappresentate più di venti etnie, due insegnanti hanno fatto svolgere ai
propri alunni dell’ultimo anno un progetto teso a riflettere su quanto è
stato fatto nel corso del triennio. E ne sono uscite delle colorate
strisce di stoffa con su delle parole assolutamente pericolose, se non
sediziose: “Solidarietà”, “Amicizia”, “Integrazione”, “Autonomia”,
“Essere poesia” e altri concetti di simile elevata pericolosità.
E, infatti, davanti a una simile
protervia, qualcuno deve aver protestato, se è vero che l’avvenimento ha
fatto discutere e se il Comune di Udine, pro tempore saldamente nelle
mani della destra, ha magnanimamente concesso di non togliere fino alla
fine dell’estate le cosiddette “bandiere tibetane” esposte.
Quello che colpisce, a proposito
dell’ormai impiantato automatismo di autodifesa, è la reazione dei due
bravissimi insegnanti che hanno voluto far pensare e ragionare, in una
parola educare, i propri studenti: hanno ritenuto di dover scusare i
propri giovani e, in definitiva, se stessi, sottolineando che tutte
queste rivoluzionarie scritte non erano assolutamente contro Salvini e
che in tutto questo non c’è alcun collegamento con la politica.
Di tutte le cose brutte che hanno
seguito un’iniziativa assolutamente bella, forse la frase peggiore,
anche se detta per difendere i propri ragazzi e soprattutto quelli
“stranieri”, è stata proprio quella che esclude ogni collegamento tra le
nostre azioni e la politica, perché in realtà tutto quello che
facciamo, o che non facciamo è politica. Perché quel personaggio che ama
travestirsi con le divise come tanti altri nella storia hanno fatto, fa
politica e noi facciamo politica sia che diciamo di essere d’accordo,
sia che esprimiamo il nostro dissenso, sia che stiamo timorosamente
zitti.
Ma perché quei giovani che oggi
hanno distillato quelle parole dalla loro esperienza comunitaria in una
scuola domani dovrebbero rispettare la politica se prima si fa loro
percepire che l’umanità è parte fondamentale della politica e poi lo si
smentisce? E perché dovrebbero praticarla ancora se si nega loro l’onore
e l’orgoglio di averla già fatta pacificamente e razionalmente? Perché
non dovrebbero rinunciare a quella dignità che la democrazia – unico
regime che dà davvero spazio alla politica – ci consente?
Tutti gli “Eppure…” li puoi trovare anche all’indirizzo http://g-carbonetto.blogspot.it/
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