Bisogna dare
atto al “Governo del cambiamento” che almeno una mirabolante
trasformazione l’ha fatta: ha reso la matematica un’opinione.
Inizialmente ero convinto che fosse
allarmante che nell’attuale governo italiano chi diceva di avere cultura
fosse molto carente di valori umani, etici e di solidarietà, mentre chi
diceva di possedere quei valori fosse del tutto privo di cultura. Poi
abbiamo visto i meno acculturati rinunciare spesso e volentieri anche ai
propri principi perché tenere stretta la poltrona è stato per loro più
importante e ora vediamo anche quelli che si ritenevano i più
scolasticamente preparati sprofondare in un mare di ignoranza
addirittura ridicola.
Non ci credete? Eppure mercoledì,
dopo che l’Agenzia delle Entrate ha comunica che il gettito Irpef è
aumentato del 3,2 per cento e quello dell’Iva del 4,6, Salvini e Di
Maio, per una volta d’accordo, hanno annunciato trionfanti che «Abbiamo
maggiori incassi di Irpef e Iva di quasi l’8 per cento».
Eppure un qualsiasi studente delle
scuole medie che ambisca anche soltanto alla più tirata delle
sufficienze dovrebbe sapere che due percentuali diverse non possono
essere assommate che se fossero dei normali numeri: se io ho una
biblioteca di 100 libri e la incremento del 30 per cento e un mio amico
ne ha una di mille e la aumenta del 10 per cento, non è che la somma
delle due biblioteche (1.100 in totale) sarà aumentata del 40 per cento,
cioè di 440 libri, ma la prima aumenterà di 30 e la seconda di 100, per
un totale di 130 volumi.
E, infatti, l’aumento totale delle entrate fiscali è del 3,6 per cento.
I casi sono due: o entrambi i
vicepremier sono di un’ignoranza abissale che, anche se pretendono di
dare lezioni al resto del continente, li rende palesemente inadatti al
ruolo che stanno coprendo, oppure ritengono di governare un popolo di
scemi e anche questo dovrebbe renderli incompatibili con l’alto ruolo
istituzionale che è stato loro affidato da un popolo che assieme
all’inalienabile diritto di scegliere di votare per chi diavolo vuole,
sta evidentemente esercitando anche il diritto a un masochismo di cui
non ci sono precedenti paragonabili.
Ricordo che una volta Moni Ovadia
sosteneva che anche il diritto al voto dovesse essere regolamentato come
il diritto a guidare un veicolo, cioè che, come occorre sostenere un
esame per ottenere la patente, prima di andare alle urne servisse
dimostrare di conoscere, anche se per sommi capi, almeno la
Costituzione.
Avevo molti dubbi su questa tesi,
sia perché il suffragio universale non sarebbe stato più tale, sia in
quanto sarebbe stato sottoposto a una limitazione esposta anche al
rischio di soggettività di giudizio e all’ingiusta punizione di chi, pur
ragionando, non ha capacità, possibilità, o tempo di mettersi a
studiare.
Ma se queste mie obiezioni valgono
per l’elettorato attivo, non hanno ragione di esistere per l’elettorato
passivo. È possibile che un Paese rischi di affidarsi a persone che, non
soltanto non conoscono, o non vogliono conoscere, i principi
fondamentali della Costituzione, o che comunque tentano di stravolgerli o
bypassarli con leggi che poi magari saranno bocciate dalla Corte
costituzionale, ma intanto fanno danni terribili?
Ed è possibile che quello stesso Paese affidi le proprie fortune a personaggi che non sanno nemmeno far di conto?
Tutti gli “Eppure…” li puoi trovare anche all’indirizzo http://g-carbonetto.blogspot.it/
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