venerdì 7 giugno 2019

La matematica è un’opinione

Bisogna dare atto al “Governo del cambiamento” che almeno una mirabolante trasformazione l’ha fatta: ha reso la matematica un’opinione.
 
Inizialmente ero convinto che fosse allarmante che nell’attuale governo italiano chi diceva di avere cultura fosse molto carente di valori umani, etici e di solidarietà, mentre chi diceva di possedere quei valori fosse del tutto privo di cultura. Poi abbiamo visto i meno acculturati rinunciare spesso e volentieri anche ai propri principi perché tenere stretta la poltrona è stato per loro più importante e ora vediamo anche quelli che si ritenevano i più scolasticamente preparati sprofondare in un mare di ignoranza addirittura ridicola.

Non ci credete? Eppure mercoledì, dopo che l’Agenzia delle Entrate ha comunica che il gettito Irpef è aumentato del 3,2 per cento e quello dell’Iva del 4,6, Salvini e Di Maio, per una volta d’accordo, hanno annunciato trionfanti che «Abbiamo maggiori incassi di Irpef e Iva di quasi l’8 per cento».

Eppure un qualsiasi studente delle scuole medie che ambisca anche soltanto alla più tirata delle sufficienze dovrebbe sapere che due percentuali diverse non possono essere assommate che se fossero dei normali numeri: se io ho una biblioteca di 100 libri e la incremento del 30 per cento e un mio amico ne ha una di mille e la aumenta del 10 per cento, non è che la somma delle due biblioteche (1.100 in totale) sarà aumentata del 40 per cento, cioè di 440 libri, ma la prima aumenterà di 30 e la seconda di 100, per un totale di 130 volumi.

E, infatti, l’aumento totale delle entrate fiscali è del 3,6 per cento.

I casi sono due: o entrambi i vicepremier sono di un’ignoranza abissale che, anche se pretendono di dare lezioni al resto del continente, li rende palesemente inadatti al ruolo che stanno coprendo, oppure ritengono di governare un popolo di scemi e anche questo dovrebbe renderli incompatibili con l’alto ruolo istituzionale che è stato loro affidato da un popolo che assieme all’inalienabile diritto di scegliere di votare per chi diavolo vuole, sta evidentemente esercitando anche il diritto a un masochismo di cui non ci sono precedenti paragonabili.

Ricordo che una volta Moni Ovadia sosteneva che anche il diritto al voto dovesse essere regolamentato come il diritto a guidare un veicolo, cioè che, come occorre sostenere un esame per ottenere la patente, prima di andare alle urne servisse dimostrare di conoscere, anche se per sommi capi, almeno la Costituzione.

Avevo molti dubbi su questa tesi, sia perché il suffragio universale non sarebbe stato più tale, sia in quanto sarebbe stato sottoposto a una limitazione esposta anche al rischio di soggettività di giudizio e all’ingiusta punizione di chi, pur ragionando, non ha capacità, possibilità, o tempo di mettersi a studiare.

Ma se queste mie obiezioni valgono per l’elettorato attivo, non hanno ragione di esistere per l’elettorato passivo. È possibile che un Paese rischi di affidarsi a persone che, non soltanto non conoscono, o non vogliono conoscere, i principi fondamentali della Costituzione, o che comunque tentano di stravolgerli o bypassarli con leggi che poi magari saranno bocciate dalla Corte costituzionale, ma intanto fanno danni terribili?

Ed è possibile che quello stesso Paese affidi le proprie fortune a personaggi che non sanno nemmeno far di conto?

Tutti gli “Eppure…” li puoi trovare anche all’indirizzo http://g-carbonetto.blogspot.it/

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