Renzi, dopo aver
intestato a suo favore, oltre che i voti di coloro che hanno votato sì e
il numero di quelli che hanno scelto di seguire il suo consiglio di
rinunciare al diritto-dovere del voto, anche quelli di tutti gli altri
che non sono andati alle urne (i morti negli ultimi giorni, gli
ammalati, quelli all’estero e quelli che ormai non vanno più a votare),
ha detto tronfiamente: «La demagogia non paga». C'è da credergli perché,
in fatto di demagogia, ben pochi sono più esperti di lui.
Lasciamo pur perdere che a vincere
non sono stati tanto i lavoratori, come ha detto Renzi, ma le aziende
petrolifere che pagano cifre irrisorie allo Stato italiano anche perché
devono fare un dispendioso lavoro di lobby – e non uso termini peggiori –
nei confronti di chi può influenzare il governo, e soffermiamoci,
invece, per un momento, sul significato di questa parola – demagogia –
che, come democrazia, deriva dal greco, ma che con quella ha un
significato inconciliabile, se non opposto. Mentre la democrazia,
infatti, si identifica con la sovranità del popolo, la demagogia ha
accezione fortemente negativa ed è la degenerazione della democrazia,
l’arte di accattivarsi il favore del popolo con regalie, o con promesse
di miglioramenti sociali ed economici difficilmente realizzabili, o
realizzati in favore di alcuni e a scapito di altri. Esattamente quello
che il governo ha fatto con la nuova legge sul lavoro (Jobs Act è un
termine di gusto renziano che tende a travisare, almeno parzialmente, il
senso di quello di cui si parla), con le regalie da 80, o da 500 euro,
fatte a determinate categorie escludendo le altre e così via.
Sarebbe stupido dire che non si è
rimasti delusi dal fatto che nel referendum di domenica non sia stato
raggiunto il quorum, ma la delusione non deriva tanto dal fallimento del
referendum, né dall’inqualificabile comportamento di personaggi come
Renzi e Napolitano: ce lo aspettavamo in tutti questi casi. La delusione
deriva, invece, anche se pure questa ce l’aspettavamo dalla scarsa
resistenza di molti della dissidenza interna al PD. Se c’era un momento
in cui andarsene sbattendo la porta, era proprio questo, mentre due
personaggi, su cui lascio a voi il giudizio, sostenevano che non andare a
votare è prova di democrazia.
Però ora viene il bello perché
demagogia e democrazia dovranno affrontarsi in maniera più equilibrata,
senza che nessuno possa appropriarsi del numero dei morti, dei malati,
di coloro che sono assenti e di quelli che non vogliono più votare, o
non sanno cosa scegliere. Ieri mattina è stato depositato in Cassazione
il quesito per chiedere il referendum sulla cosiddetta “riforma
costituzionale” Renzi-Boschi e Alfiero Grandi, vicepresidente del
Comitato ha detto: «Le decisioni in materia costituzionale riguardano
tutti i cittadini e la volontà popolare deve entrare subito in campo. È
una riforma da respingere perché sottrae potere al popolo accentrandolo
nelle mani del presidente del Consiglio».
Ma sono anche molte altre le
considerazioni da fare e da domani in poi l’impegno maggiore sarà
proprio quello di prendere in esame dettagliatamente i vari aspetti
della questione, sollecitando il dibattito, perché tacere in frangenti
simili equivale a essere complici di Renzi e dell’ulteriore diminuzione
della democrazia in Italia.
Tutti gli “Eppure…” li puoi trovare anche all’indirizzo http://g-carbonetto.blogspot.it/
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