sabato 2 dicembre 2017

Norma non transitoria

Nel 2005 Sergio Luzzatto diede alle stampe il pamphlet “La crisi dell’antifascismo” e per presentarlo fu organizzato a villa Manin un convegno intitolato “Verso il post–antifascismo” al quale partecipai con l’autore stesso e con Ettore Mo. Fu l’occasione per analizzare tutti i segni che già allora indicavano che i fascisti non soltanto stavano rialzando la testa, ma chiedevano addirittura una piena, oltre che impossibile, riabilitazione.

Ora sembra quasi che il viaggio sottinteso da quell’avverbio “verso” si sia fortemente avvicinato alla conclusione, visto che gli ultimi avvenimenti vengono trattati come episodi di scarsa importanza e non collegati tra loro. A Ostia le botte con i manganelli che si accompagnano al fortunatamente incompleto successo elettorale della destra estrema, vengono attribuiti soltanto alla malavita. A Como l’irruzione di una dozzina di naziskin quasi in divisa nella sede di un gruppo di accoglienza viene derubricata da molti a ragazzata, o, al massimo, a intimidazione, come se perché si configuri la violenza fosse necessario che ci siano ematomi, ecchimosi, spargimenti di sangue e come se il fascismo e tutte le dittature, di qualunque colore fossero e siano, non facessero sentire la propria prepotenza soprattutto con intimidazioni psicologiche riservando manganello, olio di ricino e armi propriamente dette soltanto ai casi più ostici e ad azioni di propaganda intimidatoria, appunto.

In questi anni troppi sono stati gli episodi di riemersione fascista e troppi i silenzi, o addirittura le complicità sotterranee, quasi sempre motivate da miopi convenienze politiche. Ed è giunto il momento che, al di là della doverosa indignazione pubblica, si ricominci a pensare che antifascismo, non è una vuota parola da usare soltanto nei discorsi celebrativi, ma è un vocabolo vivo, fatto di carne e di sangue, di dolore e di morte, sul quale si fonda tutta la nostra Costituzione e, quindi, la nostra Repubblica.

Non può non essere considerato colpevole chi ha lasciato che un deprecabile revisionismo tentasse – e ancora tenta – di smontare e ricostruire la storia, parlando di “guerra civile” e non di Lotta di Liberazione, come se i fascisti alleati dei nazisti e coloro che hanno liberato l’Italia da loro fossero semplicemente due parti diverse in una lotta fratricida tesa soltanto alla conquista del potere. E non ci fossero, invece, da una parte l’aggressione e il sopruso, e dall’altra la ribellione di difesa e di riscatto. Ripetendo continuamente – e giustamente – che tutti i morti meritano identica pena, ma dimenticando ingiustificabilmente di dire che gli ideali per i quali hanno dato la vita sono diversi e hanno ben diversa motivazione e dignità. Mettendo in maniera inammissibile sullo stesso piano coloro che al fascismo si sono opposti e coloro che il fascismo hanno sostenuto. E non perché i primi abbiano vinto la guerra e i secondi l’abbiano perduta, ma perché il fascismo è stato la promulgazione delle leggi razziali, le guerre di aggressione coloniale, l’ingresso in guerra a fianco dell’orrore nazista, i pestaggi, le prigionie, gli assassinii di tanti avversari politici, l’uccisione di Matteotti, dei fratelli Rosselli, di Amendola e di tanti dissidenti, l’invio al confino – e non in vacanza, come ha detto Berlusconi, allora impudente e ignorante presidente del consiglio – di molti altri che si opponevano perché si rifiutavano di smettere di pensare; è stato la soppressione della libertà di stampa, l’eliminazione della maggior parte dei diritti civili, la dissuasione violenta nei confronti del libero pensiero. Dall’altra parte i partigiani erano coloro che volevano giustizia e libertà nell’ambito di una pace e di una democrazia che oggi sicuramente non sarà così bella come loro allora la sognavano, ma che esiste ancora e che non abdica mai alla speranza di migliorare.

Il fascismo e il nazismo sono state due tra le più forti negazioni dell’umanità, mentre la Resistenza e l’antifascismo, di quella stessa umanità, sono state tra le più alte affermazioni laiche.

Parafrasando la frase scritta da Bertold Brecht nella “Vita di Galileo”, «Sventurata la terra che ha bisogno di eroi», si potrebbe dire «Felice quel popolo che non ha bisogno di Giornate della memoria». È triste dirlo, ma il nostro non è un popolo felice e ha ancora un disperato bisogno di ricordare per non ripetere gli errori – e soprattutto gli orrori – del passato. E Per rendersi conto del valore della memoria, basterebbe pensare a come in Italia, siano tornate a galla idee aberranti come xenofobia, aterofobia, razzismo; in definitiva, a come stia nuovamente gonfiandosi l’intolleranza contro coloro che sono avvertiti come diversi.

Nella parte finale della nostra Costituzione è scritto: «È vietata la riorganizzazione, sotto qualsiasi forma, del disciolto partito fascista». Molti la ricordano come la dodicesima delle “disposizioni transitorie”, ma intanto va ricordato che il titolo esatto della sezione è “Disposizioni transitorie e finali” e anche che, se proprio non la si vuole vedere come finale, questa prescrizione vedrebbe chiudersi la propria provvisorietà non dopo un determinato numero di anni, ma soltanto dopo la sparizione definitiva di ogni rigurgito fascista. Cioè, come storia e cronaca ci insegnano, purtroppo mai.

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