domenica 29 maggio 2016

I beni più preziosi

E per fortuna che Renzi e i suoi hanno chiesto di moderare i toni. Lasciamo pur perdere gli affondo del trio Renzi–Boschi–Napolitano che ritengono che chi non approvi le loro mire è inciucista/ultradestra/offensivo (ma l’elenco potrebbe continuare a lungo), ma adesso ci si mette anche il ministro Franceschini che, con leggerezza, dice che votare NO al referendum costituzionale «è un vero atto contro il Paese». Poi specifica che non si deve usare «una riforma attesa da trent’anni per l’obbiettivo finale di buttare giù Renzi», ma il concetto non cambia, sia se la reprimenda è rivolta all’intera Italia, sia se è limitata alla sinistra del PD. Il concetto non cambia, perché comunque, secondo Franceschini, il destino della Costituzione e quello di Renzi sono inestricabilmente connessi. Se penso che nel 2009 ho guardato con simpatia alla sua elezione a segretario del PD, mi vengono i brividi.
A Franceschini sarebbe utile ricordare che l’iniziativa di unire strettamente il destino di questo governo al risultato del referendum, non è stata decisa da nessuno se non da Renzi stesso. E che allora sarebbe facile rispondere a Franceschini che lui pretenderebbe che gli italiani votino sì alla riforma Boschi soltanto per salvare Renzi e il suo governo, di cui casualmente Franceschini fa parte.

Ma sono anche altri gli argomenti da portare per discutere su un argomento che non mi appassiona affatto perché come ho già detto più volte, a me del destino politico di Renzi importa poco o nulla, mentre mi importa molto del destino democratico di un Paese nel quale vivranno mia figlia, mia nipote e i loro coetanei.

Per prima cosa sarebbe il caso che tutti – a partire proprio da coloro, come i politici, che dovrebbero pensare al bene del Paese – si ricordassero che la Costituzione è più importante di qualsiasi governo. Dovrebbero, insomma, cominciare a parlare davvero del merito della riforma costituzionale e non del destino di un uomo che sa che si fa meno fatica a comandare che a governare e che non si rende conto che sono alte le probabilità che a comandare la prossima volta non sia lui, ma potrebbero essere Grillo, o Salvini.

Ma poi, sempre per quel mio pallino di seguire il dettato della Costituzione, sarebbe il caso che Renzi si ricordasse che lui non se ne può andare e basta: senza aver avuto una sfiducia dal Parlamento, deve presentare le dimissioni al Presidente della Repubblica e poi aspettare che il Capo dello Stato lo mandi alle Camere per la fiducia. Questo darebbe al PD il potere di decidere sulla sorte del suo segretario. Chissà cosa deciderebbe?

Ripeto ancora una cosa: che non capisco perché dovremmo disperarci se Renzi non ci fosse più. Quanti presidenti del Consiglio sono caduti? Tantissimi. Eppure la Repubblica Italiana esiste ancora e ogni volta gli italiani hanno scelto quale fosse l’alternativa migliore – o meno peggiore – possibile.

Dal mio punto di vista molte volte gli elettori hanno sbagliato, ma il succo della democrazia consiste proprio nel fatto che l’infallibilità non esiste e che non sempre chi vince con i numeri è nel giusto con i principi. E anche di questo i padri di quella Costituzione che ora Renzi ambisce a distruggere erano pienamente consci e hanno agito di conseguenza.

È evidente che non so cosa potrebbe uscire dalle urne, soprattutto con una legge folle e – credo fortemente – anticostituzionale. Quello che so con certezza è che Renzi, per salvare se stesso e il suo governo – sta mettendo sui piatti della bilancia non soltanto il bene preziosissimo della Costituzione, ma anche quello ancor più prezioso dell’unità del Paese che, già fortemente minata dal ventennio Berlusconiano, ora rischia di uscire da questa vicenda ridotta in macerie. 

Caro Franceschini, anche questo deve essere pagato nel nome di Renzi?

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lunedì 23 maggio 2016

Il concetto di vergogna

C’è una sola cosa che apparentemente mi vede d’accordo con Renzi ed è quando dice che «nella campagna del referendum è in gioco il futuro dell’Italia». Ma dico apparentemente perché, mentre per me l’età mi porta a preoccuparmi soprattutto per il destino di mia figlia, di mia nipote e dei loro coetanei, per Renzi è in ballo soprattutto il suo destino politico che ha voluto legare all’esito del referendum per trasformarlo in un plebiscito sul suo nome tentando di far filtrare l’assurdo concetto che, come disse Lugi XV, «dopo di lui il diluvio».
Con queste premesse è evidente che la lotta portata avanti da Renzi non può che essere, da parte sua, senza esclusione di colpi, ma colpisce molto che all’attuale presidente del Consiglio pro tempore interessi ben poco se da questa situazione potrebbe derivare, come ha detto Pierluigi Bersani, «una frattura insanabile nel mondo democratico e costituzionale».

Lui, a dire il vero, si limita come sempre a fare propaganda a colpi di slogan, di promesse e di giochi di parole, ma poi non può esimersi dall’intervenire quando si sente costretto a difendere la sua ministra Maria Elena Boschi che entra perfettamente nel ruolo imposto dal suo capo che è quello di tentar di intimidire il campo avverso. Però la Boschi, oltre a non sapere che perché le intimidazioni abbiano successo devono essere fatte ma devono anche trovare qualcuno che si lasci intimidire, non percepisce neppure che certe uscite non sono neppure intimidazioni, ma soltanto uscite di livello talmente infimo che, anche volendo metterci sul suo stesso piano, non ci proviamo neanche perché non sappiamo se saremmo in grado di scendere così in basso.

La ministra ha cominciato giorni fa dicendo che la sinistra del PD votava come i neofascisti di Casa Pound senza rendersi conto – incapace di cogliere certe pur grossolane differenze – che è vero esattamente il contrario e, cioè, che sono quelli di Casa Pound a votare, pur con motivazioni assolutamente diverse, come quelli della sinistra del PD.

E domenica ha affermato, parlando in televisione a “In mezz’ora”, con Lucia Annunziata, che «Come direttivo nazionale, l’ANPI ha sicuramente scelto la linea del no. Poi però ci sono molti partigiani, quelli veri, che hanno combattuto, e non quelli venuti poi, che voteranno sì alla riforma costituzionale». Le reazioni sono state furenti: a parte il fatto che nel direttivo nazionale dell’ANPI la linea del NO al referendum è passata con 347 voti favorevoli e tre astensioni, come può permettersi la giovane ministra di ergersi a giudice di chi è stato davvero partigiano e chi no? La signora ha subito replicato che le sue parole erano state travisate, ma probabilmente non si era resa conto che non si trattava di un’intervista scritta dove le richieste di rettifiche sono più facili, bensì di una trasmissione televisiva di cui la registrazione è a disposizione di tutti. E allora ha provato, con l’aiuto del suo capo e di altri fedeli servitori, a stornare l’attenzione dalle sue parole sostenendo che la colpa è dell’ANPI che, come organizzazione – dicono i renziani – non avrebbe dovuto esprimersi.
 

Cioè, oltre a giudicare chi è partigiano e chi non lo è, Renzi e i suoi si sentono in diritto di decidere sul diritto di parola: a detta loro, per esempio, non possono esprimersi organizzazioni come l’ANPI e l’ARCI, nettamente contrarie, ma possono parlare i vescovi italiani, favorevoli pur con molte riserve; hanno incassato il silenzio dell’Associazione Nazionale Magistrati come organizzazione, ma vorrebbero ancora togliere i diritti stabiliti dall’articolo 21 della Costituzione ai singoli magistrati e, ottenuta anche la neutralità della CGIL come sindacato, vorrebbero tacitare i sindacalisti che, per la stragrande maggioranza, voteranno no.
 

Inoltre, oltre ad avere una preponderanza straripante di spazi giornalistici e tempi televisivi, adesso Renzi manda in campo anche coloro che ritiene capaci di intimidire con la loro autorevolezza. L’esempio più chiaro è quello di Giorgio Napolitano, l’ex presidente della Repubblica che dovrebbe aver travalicato di molto i suoi ambiti istituzionali se è vero quello che ha detto Renzi: «Napolitano mi ha detto: devi fare la riforma del lavoro, della legge elettorale, la riforma costituzionale e quella della pubblica amministrazione».

Ora, dopo essere intervenuto, con la scusa di presentare un suo libro, sul tema del referendum a “Che tempo che fa”, Napolitano, ha ribadito la sua posizione: «Ci vuole libertà per tutti – ha affermato – ma nessuno però può dire: io difendo la Costituzione votando no e gli altri non lo fanno». Dire questo «offende anche me. Mi reca un’offesa profonda».

Molti italiani, presidente emerito, si sono sentiti offesi, profondamente offesi e anche spaventati, dalla combinazione tra riforma costituzionale e nuova legge elettorale. E molto offesi si sono anche quando hanno sentito dire da Renzi che chi voterà NO sceglierà l’Italia degli inciuci. È vero che a dirlo è un vero maestro di inciuci – la stanze del Nazareno, Angelino Alfano e Denis Verdini sono pronti a testimoniarlo – ma è anche vero che la stragrande maggioranza degli italiani che voteranno NO gli inciuci non soltanto non li pratica, ma addirittura ne è schifata.

E ci piacerebbe anche sentire qualche parola, dallo stesso Napolitano, ex compagno di partito di Enrico Berlinguer e di Pietro Ingrao, sulle proteste delle rispettive figlie, Bianca Berlinguer e Celeste Ingrao sull’utilizzo che il PD di Renzi fa del nome di Enrico e dell’immagine di Pietro nella campagna referendaria, tanto che Celeste Ingrao minaccia di querelare il PD per abuso dell’immagine di suo padre sui manifesti referendari.

«Gira su Facebook – ha detto – una foto di papà con appiccicato sopra un grosso SI e il simbolo del PD, prendendo a pretesto frasi pronunciate in tutt’altro contesto e avendo in mente tutt’altra riforma», ha spiegato.
 

Crediamo che il concetto di vergogna tirato in campo da Piercamillo Davigo per quanto riguarda il campo della corruzione, dovrebbe trovare molto spazio anche in quello della propaganda.

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giovedì 19 maggio 2016

Caro PD

Caro PD. E già da queste prime parole di prammatica si capisce che questa non sarà una lettera facile: infatti sono soltanto due vocaboli ed entrambi richiedono una specificazione. Il “Caro”, infatti, lo si usa per rivolgersi alle persone cui si vuol bene, ma anche nelle lettere d’addio rivolte a chi ti ha profondamente deluso; e, per quanto mi riguarda, pur non essendomi mai iscritto al PD, l’ho quasi sempre votato e, quindi, appartengo di diritto alla schiera dei delusi. Per quanto riguarda il “PD”, poi, mi sembra obbligatorio specificare che mi rivolgo a una parte soltanto – quella dei cosiddetti dissidenti – di quel partito che continua a mantenere un nome che ormai non ha più nulla a che fare con quello portato da un raggruppamento politico che aveva tutt’altri orientamenti e ideali. Renzi si è impadronito di quel nome, ha ritenuto più comodo mantenerlo, anche per approfittare della cronica distrazione degli elettori, ma ne ha cambiato profondamente l’anima. Ed è stato tanto bravo da far restare all’interno del PD anche molti di coloro che ormai da più di due anni soffrono a restare lì dentro e si illudono di poterlo cambiare dall’interno; che, per giustificare le propria permanenza nel partito di Renzi, si accontentano di ogni pur piccolissima concessione formale più che sostanziale. È a questi che mi riferisco scrivendo “PD”.
Sono tante le cose che vorrei dire loro, ma, per brevità, mi sembra necessario citarne soltanto alcune.

La prima non può non riferirsi a Verdini. Non mi stupisce che Renzi accetti a braccia aperte l’ex consigliere di Berlusconi: porta voti, ma anche sposta a destra con decisione l’anima del PD dando una mano determinante al piano renziano del cosiddetto Partito della nazione. Mi stupisce – e mi amareggia – molto di più vedere che un personaggio come Gianni Cuperlo accetti di scendere al livello di Renzi riducendo la politica e gli ideali a mero computo elettorale: «Sono di più – dice – gli affezionati che perdiamo. Gli orfani di Berlusconi non riusciranno mai a compensarli». Ma davvero la cosa importante, anche per Cuperlo, è il risultato delle urne. Può Cuperlo accettare di illudersi di vincere, mentre in realtà perde? O, almeno, mentre perde il Cuperlo che si era mosso nella politica italiana fino a un paio di anni fa?

La seconda chiama in causa il referendum costituzionale. Matteo Renzi, nel lanciare la massiccia e ricca campagna per il sì, dice: «Non dividiamoci per questioni interne. Deve essere una battaglia unitaria». E Pierluigi Bersani come gli risponde? «Vediamo nelle prossime settimane. Ho votato sì con luci e ombre e con il patto dell’elezione diretta dei senatori, da fare subito. Ho tutta l’intenzione di votare sì. Ma la Costituzione non può essere l'oggetto con cui dividi il Paese». Cioè a Bersani, persona per cui ho votato con convinzione, davvero l’unica cosa che non va è la formula dell’elezione dei senatori? E non conta nulla il passaggio di tutto il potere a una Camera soltanto che sarà dominata da un partito che potrebbe anche non essere il PD e che, magari anche con solo il favore del 20 per cento dei votanti, si prenderà un premio di maggioranza, già condannato dalla Corte Costituzionale, che gli darà la maggioranza assoluta dei seggi? E, bontà sua, senza la minima ironia, si sente anche in dovere di sottolineare che, secondo lui, «Nel Pd ci potrà essere anche qualcuno che aderisce a comitati del no ed è legittimo che ci siano elettori che votano no».

E potremmo anche andare avanti con molte altre considerazioni sull’argomento Costituzione, ma proseguiamo con domande che riguardano tutti i parlamentari che con il loro voto permettono di rimanere in sella al distruttore del centrosinistra. Come permettete che quel signore, per propria propaganda, appiccichi il concetto di sinistra alle mille cose di destra che in realtà fa? Come fate ad accettare che l’occupazione di posti pubblici da parte degli amici del presidente del Consiglio pro tempore sia così pervasiva? Come fate a restare impassibili quando una ministra che risponde al nome di Maria Elena Boschi, davanti al voto di fiducia richiesto per il suo eventuale coinvolgimento nella vicenda che riguarda suo padre e Banca Entruria, non si sfibri nel protestare la sua estraneità e innocenza, ma, dopo poche frasi di circostanza, con un sorriso che travalica nel sogghigno, affermi che «Tanto abbiamo i numeri»? Come fate a restare impassibili e a protestarvi superiori parlando ancora di “questione morale” che, secondo Renzi, deve essere ridotta a puro calcolo di percentuale: «Abbiamo decine di migliaia di amministratori: è fisiologico che ci siano dei corrotti e dei corruttori»?

Caro PD (ribadendo tutte le avvertenze iniziali), mi sembra ovvio che, continuando così, Renzi sarà il colpevole della trasformazione del centrosinistra italiano in un guazzabuglio che tende più a destra che a sinistra e che mira a concedere al presidente del Consiglio di turno la possibilità di comandare più che di governare, ma i cosiddetti dissidenti saranno complici determinanti. Capisco che uscire dal partito possa essere una cosa difficile e odiosa, ma votare contro quello che impone Renzi, se non si è d’accordo con lui, è un elementare esercizio di democrazia. Se poi sarà lui a estromettere dal partito chi non la pensa come lui, sarà una bella prova di autocrazia che ricorderà molto da vicino quello che accade nel Movimento 5 Stelle. Se, invece, ritenete che il destino di un nome di partito sia più importante dello spirito con cui quel partito è stato fondato, allora chiedetevi perché quelli che a quello spirito avevano aderito più o meno ufficialmente dovrebbero votarvi ancora.

In questi giorni parlo molto di Costituzione e da alcuni, che evidentemente hanno recepito la spinta renziana a trasformate il referendum in plebiscito, mi sento rispondere con la domanda: «Cosa succede se Renzi perde e se ne va?» Do a voi la stessa risposta che do agli altri: «Se Renzi se ne va, il Presidente della Repubblica cercherà un’altra possibile maggioranza, magari incaricando questa volta qualcuno che è stato davvero eletto; se non ci riuscirà convocherà le elezioni e sarà il popolo a decidere secondo la legge elettorale che sarà in vigore dopo il responso della Consulta sulla legittimità costituzionale dell’Italicum. E comunque non credo proprio che Renzi sia l’unico italiano in grado di guidare degnamente un governo. Quanto al destino del PD, mi domando: cosa potrà accadere se non si spacca il PD, ma si spacca la nazione?».

Dubito che qualcuno dei diretti interessati al “Caro PD” leggerà questi miei pensieri, ma se lo dovesse fare, lo invito a meditare bene perché la complicità non è molto diversa dalla colpevolezza.

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lunedì 16 maggio 2016

Chi personalizza davvero

Dire che non ce lo aspettavamo sarebbe una falsità, ma da dilettanti occasionali nel campo delle bugie non possiamo che guardare con ammirazione un vero professionista, forse un fuoriclasse, che, dopo aver annunciato più volte ai quattro venti che se al referendum costituzionale dovesse vincere il no lui si dimetterebbe, ora con una faccia tosta da record afferma: «Personalizzare lo scontro non è il mio obiettivo, ma quello del fronte del no che, comprensibilmente, sui contenuti si trova un po’ a disagio». So che è difficile crederlo, ma non è in dubbio perché è stato scritto, in un passaggio della sua e-news, dallo stesso Matteo Renzi.
 
Purtroppo stiamo già vedendo altri segnali di quella che Renzi renderà una lotta fatta di colpi bassi possibili per chi ha il potere in mano (stanziamenti ai comitati del sì dai gruppi parlamentari del PD, probabile raddoppio dei giorni di votazione, impari distribuzione degli spazi informativi su giornali, radio e televisioni, donazioni e bladizie, come il raddoppio degli euro dati per ogni figlio, e tanti altri ne vedremo ancora), ma che pensi berlusconianamente che tutto si possa dire e poi negare ci sembra davvero eccessivo.

Dice nell’e-news: «Se vince il sì diminuiscono le poltrone; se vince il no restiamo con il Parlamento più numeroso e più costoso dell'Occidente». Renzi fa finta di dimenticare che la controproposta era quella di dimezzare sia Camera, sia Senato e che i risparmi sarebbero stati ben più consistenti.

Continua: «Se vince il sì, per fare le leggi e votare la fiducia sarà sufficiente il voto della Camera come accade in tutte le democrazie; se vince il no continueremo con il ping-pong tra i due rami del Parlamento». È assolutamente vero che sarà soltanto la Camera a votare le leggi, ma la sua labile memoria gli impedisce di dire che, con una maggioranza assoluta ottenuta con un premio addirittura superiore a quello già dichiarato incostituzionale dalla Consulta, si potrebbe eliminare anche la Camera e lasciare ogni decisione direttamente al presidente del Consiglio. Gli consigliamo, comunque, di dare almeno un’occhiata a come funzionano le altre democrazie occidentali perché da nessuna parte il potere non ha quei contrappesi che ora si vogliono eliminare in Italia.

Aggiunge: «Se vince il Sì avremo un governo ogni cinque anni; se vince il no continueremo con la media di un governo ogni tredici mesi». Ma si guarda bene dal rilevare che con il combinato disposto tra cosiddetta riforma costituzionale e nuova legge elettorale, potremmo anche correre il rischio di trovarci di fronte a governi che durino un ventennio.

E ancora: «Se vince il sì avremo meno poteri alle Regioni; se vince il no continueremo a avere venti burocrazie diverse per trasporti, infrastrutture, energie, promozione turistica all'estero. Se vince il sì i consiglieri regionali non guadagneranno più dei sindaci». E serve massacrare un’intera democrazia per effettuare dei mutamenti che avrebbero potuto essere realizzati senza cambiare l’intero impianto costituzionale e senza mettere a rischio l’intera democrazia? Più di sessanta costituzionalisti e oltre dieci presidenti emeriti della Corte Costituzionale non sono assolutamente d’accordo con lui.

Adesso comincia il giro delle questue: «Ho deciso – dice – che domani pomeriggio vado a Bari. Sarà l'occasione per firmare il Patto per Bari e al mattino firmiamo il Patto per l'Abruzzo all'Aquila e il Patto per il Molise a Campobasso». Anche in questo ricalca pari pari la strada percorsa dal suo maestro Berlusconi e, per coerenza non si lascia sfuggire nemmeno il “Meno tasse per tutti”. Si chiede, infatti: «Nonostante tutto, gli italiani pensano che le tasse siano aumentate. C'è qualcosa che non funziona, che dite? Sapete che mi fido molto di chi riceve e segue le e-news: mi aiutate a capire dove ho sbagliato?». Se posso azzardare una soluzione il suo errore lo individuerei nel fatto che gli italiani non sono tutti scemi e che per non sentire più la crisi occorrono lavoro, stipendi non umilianti e diritti. Le promesse e il millantato credito servono davvero a poco. Gli italiani se ne sono accorti anche con Berlusconi; perché non se ne dovrebbero accorgere anche con lui?

Ripeto quello che ho già scritto in altre occasioni: a me del destino politico di Renzi interessa poco o nulla, ma mi interessa moltissimo la democrazia in Italia e, quindi, il destino dei nostri figli e dei nostri nipoti.

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domenica 8 maggio 2016

E se si parlasse di Costituzione?

Le ultime mosse di Matteo Renzi ci hanno richiamato alla memoria Achille Lauro, armatore, esponente politico del Partito Nazionale Monarchico e a lungo sindaco di Napoli. Fu famoso anche perché si faceva votare regalando ai suoi elettori una scarpa sinistra prima del voto e la scarpa destra dopo.
Ovviamente Renzi non è così grezzo, ha rottamato il sistema delle scarpe e si è modernizzato. Così per il referendum costituzionale, che ha voluto legare al suo destino politico, ha continuato nella politica del “do ut des”, ma andando su qualcosa di meno materiale, anche se la filosofia non è cambiata, visto che, in soldoni, dice agli elettori che lui farà cose bellissime, sempre a patto di rimanere a palazzo Chigi e, quindi, chiede loro di votare per promuovere la sua riforma costituzionale che toglie poteri al Parlamento e agli organi di garanzia per conferirli al capo del governo.

Le promesse, per ora, sono due e la loro realizzazione, ovviamente, dovrebbe verificarsi il prossimo anno, a referendum scavallato.

La prima riguarda l’Irpef con una riduzione del numero degli scaglioni, oppure virando su un più tradizionale e immediatamente comprensibile taglio delle aliquote. Ma i soldi ci sono? Non siamo ancora sotto la spada di Damocle di un automatico aumento dell’IVA previsto dalla clausola di salvaguardia se non saranno rispettati i parametri di bilancio? 

Evidentemente l’importante è la promessa; per la realizzazione si vedrà il prossimo anno se sarà possibile, o meno.

La seconda promessa, sempre da realizzare dopo ottobre, oltre a richiamare alla memoria Lauro, fa ricordare anche Berlusconi, visto che Renzi parla di abolire il bollo auto. Attenzione, però, perché se i titoli dei giornali si soffermano soltanto su questo concetto, la frase completa del presidente del Consiglio recita così: «Abolire il bollo auto aumentando un po' le accise non è una cattiva idea perché in questo modo pagherebbe chi consuma e inquina». La fredda matematica dice che per bilanciare il mancato gettito di circa 6,5 miliardi ci sarebbe la necessità di un aumento delle accise pari ad almeno 15 centesimi il litro. Su questo, oltre al tentativo di vellicare la sensibilità degli ambientalisti meno riflessivi, ci sono alcuni aspetti che vanno messi in rilievo. Per prima cosa il provvedimento andrebbe a scapito delle Regioni alle quali va il gettito del bollo. Ma soprattutto si impongono un paio di considerazioni sociali. Intanto la soppressione del bollo – un po’ come l’abolizione indiscriminata della tassa sulla prima casa – favorirebbe molto di più i facoltosi proprietari di fuoriserie dotate di grandissima cilindrata e di un’infinità di cavalli che i più indigenti che dispongono di un’utilitaria, magari vecchia e scassata, mentre l’aumento della benzina andrebbe a colpire tutti indistintamente. Ma non solo: il maggior prezzo del carburante metterebbe ancora più in crisi coloro che con i veicoli sono costretti a lavorare e che finirebbero per far aumentare i prezzi in una situazione di mercato in cui, già senza aumenti, latitano i soldi per far prosperare nuovamente il commercio.

Lasciando pur perdere la considerazione che tutti i progetti renziani, viste le loro caratteristiche assai poco sociali, confermano che il loro autore è persona che pende molto più a destra che a sinistra, continuiamo a sentirci chiedere: «Ma se va via Renzi, chi metteresti al suo posto?». A parte il fatto che, anche se al peggio non c’è mai fine, il popolo italiano ha diritto di scegliere qualcuno che gli dia maggiori speranze, la domanda è profondamente sbagliata perché non ci dovremmo chiedere cosa faremmo senza Renzi, bensì cosa faremmo senza quella Costituzione che finora ci ha difeso dagli avventuristi che arrivano a palazzo Chigi e, lassù, si accorgono che governare loro non basta, perché preferiscono comandare.

Insomma, sarebbe davvero il caso che si cominciasse finalmente a parlare di Costituzione, ma è proprio quello l’argomento che Renzi preferisce evitare perché sa di poter attrarre soltanto i distratti e coloro che pensano di poter vivere tranquillamente anche con meno democrazia di quella che abbiamo adesso.

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giovedì 5 maggio 2016

L’articolo 21 esiste ancora

Periodo non semplice per Renzi. Da una parte i magistrati accolgono il suo sfottente invito a emettere sentenze e condannano a tre anni di reclusione per evasione fiscale il segretario regionale del PD sardo, Renato Soru, che si dimette subito dalla sua carica politica.
 
Dall’altra, riguardo al caso dell’arresto del sindaco PD di Lodi, Simone Uggetti, arrestato per turbativa d'asta, ripete che il PD non vuole assolutamente intralciare la magistratura, ma intanto il membro laico del PD, Giuseppe Fanfani, definisce le misure adottate «ingiustificate e comunque eccessive» e si dice intenzionato a chiedere l'apertura di una pratica al CSM per verificare «la legittimità dei comportamenti tenuti e dei provvedimenti adottati» dalla magistratura. Poi, dopo che la Giunta Esecutiva Centrale dell’Associazione Nazionale Magistrati fa sapere di ritenere «le dichiarazioni rese oggi dal membro laico del Csm Giuseppe Fanfani un'indebita interferenza nel procedimento in corso presso gli uffici giudiziari di Lodi», fa marcia indietro. Ma non sfugge a nessuno che Fanfani è stato sindaco di Arezzo, che è molto amico di Maria Elena Boschi e uno dei più grandi “difensori” di Banca Etruria, e che è stato lo stesso Renzi a indicarlo per l’elezione al CSM. Quindi, appare piuttosto strano che possa essersi reso responsabile di un’alzata d’ingegno personale non in sintonia con le sue importanti amicizie.

Ed è ancora il rapporto con la magistratura a procurargli mali di testa visto che il ministro della Giustizia, Andrea Orlando, che sicuramente non agisce senza il beneplacito del suo capo, chiede al vicepresidente del Csm, Legnini, «un incontro formale per un chiarimento» sulla vicenda di un’intervista del consigliere del CSM Piergiorgio Morosini pubblicata dal Foglio e smentita dal consigliere stesso. Lo ha detto lo stesso Legnini durante il plenum del Consiglio Superiore della Magistratura che ha discusso la vicenda. «Sono inaccettabili gli attacchi a esponenti di governo e Parlamento», ha detto Legnini.

Quale attacco, pur smentito, sarebbe stato portato da Morosini, ex Gip a Palermo e oggi consigliere del CSM in quota Magistratura democratica? Ha annunciato che parteciperà attivamente alla campagna per il No al referendum costituzionale e ha spiegato: «Bisogna guardarsi bene dal rischio di una democrazia autoritaria. Un rapporto equilibrato tra Parlamento e organi di garanzia va preservato. Per questo occorre votare No a ottobre».

Non si vede alcun attacco «a esponenti di governo e Parlamento», a meno che l’attacco non si riferisca al fatto che Renzi ha annunciato che se ne andrà se la sua riforma costituzionale sarà respinta e che, quindi, annunciare di lavorare per salvare l’attuale Costituzione e per far votare contro la riforma Renzi–Boschi coincide con l’annunciare di essere contro Renzi e il suo governo. Ma, tra l’altro, forse ingenuamente, questo ci sembra ancora legittimo.

Probabilmente, affascinato da quei vecchi cartelli che si trovavano sul davanti dei tram – «Non disturbare il manovratore» – e nella fretta di far applicare questo concetto anche nel governo della Repubblica italiana cancellando dalla Costituzione ogni possibile fastidio derivante dall’opposizione e dagli organi di garanzia, Renzi si è dimenticato, almeno per il momento, di por mano anche all’articolo 21 che per ora resta inalterato e che comincia – merita ricordarlo – con queste parole: «Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione».

E, fino a prova contraria, anche i magistrati sono cittadini come gli altri e, quindi, come gli altri, hanno diritto di pensiero e di parola.

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martedì 3 maggio 2016

Le domande giuste

A dire il vero, l’uomo dà l’idea di essere un po’ scarsetto nel linguaggio, ma, d’altro canto, se i suoi valutatissimi guru della comunicazione gli dicono di esprimersi con giochetti di parole e slogan, Matteo Renzi cosa può fare? Una delle sue formulette, già usate molte volte e adesso ripetuta fino alla nausea perché sembra attagliarsi perfettamente al tipo di propaganda necessaria per fargli vincere il referendum costituzionale di ottobre, è dire che la consultazione sarà «un bivio tra l’Italia del Sì e quella che sa dire soltanto No».
Già di primo acchito si potrebbe rispondergli che per il referendum sulle trivellazioni è stato proprio lui, invitando gli elettori a rinunciare al proprio diritto di voto, a voler far vincere, in tutti i sensi, l’Italia del No. Ma gli si potrebbe anche ricordare che il “No” è parola importantissima E non nella maniera gentile, ma sterile, in cui è ricorrente nelle risposte di Bartleby, lo scrivano di Herman Melville. Bensì nel modo in cui spicca netta la convinzione che l’uomo non è necessariamente in balia del destino, ma che, anzi, è il destino a essere creato dall’uomo con la sua dignità, il suo libero arbitrio, la capacità di indignarsi e di dire “No”, appunto. Perché il No non è quel monosillabo istintivamente considerato come antipatico simbolo della negazione, ma è, invece, una parola bellissima perché caposaldo della libertà, base fondante non soltanto di ogni vera democrazia, ma anche dello stesso bene; perché permette il rifiuto di ragione e di coscienza e rende ridicoli quegli alibi che troppe volte nella storia abbiamo sentito provenire dal banco degli accusati dove c’erano persone che si difendevano rispondendo vacuamente: «Non ho fatto altro che eseguire gli ordini».

Devo ammettere che lo sciagurato tentativo da parte di Renzi di massacrare la nostra Costituzione depotenziando qualsiasi elemento di rappresentanza e di garanzia per aumentare a dismisura la cosiddetta governabilità, sbilanciandola e, quindi togliendole la caratteristica fondamentale di ogni Costituzione – la difesa della democrazia – ha almeno un merito: ci ha costretto a guardarci dentro con più attenzione e quantomeno a capire che finora ci siamo fatti quasi sempre la domanda sbagliata. Abbiamo, infatti, tentato di capire come e perché è cambiato il mondo, mentre, invece, avremmo dovuto interrogarci sul come e perché siamo cambiati noi.

Guardando i disastri etici, sociali, politici ed economici nei quali ci siamo quasi abituati a vivere abbiamo sempre gettato la colpa su aspetti come la globalizzazione che accusiamo di aver livellato tutto verso il basso; l’informatizzazione, che diciamo essere la causa della perdita di milioni di posti di lavoro, la finanza che ha strangolato l’economia reale e, con essa, centinaia di migliaia di famiglie; l’edonismo che ha minato fino alle fondamenta, con falsi miti di benessere e piacere, i pilastri su cui si reggeva e stava crescendo la nostra società.

E, invece, come dicevo, dovremmo guardare a come siamo cambiati noi. Dovremmo chiederci: come siamo riusciti a cancellare quella solidarietà che ha fatto crescere tutti e non soltanto quelli già più ricchi e fortunati a favore dell’egoismo? Come siamo riusciti ad arrivare anche solo ad accettare di immaginare di barattare la democrazia che ha salvato l’Italia con la supposta tranquillità che deriva dal pensare soltanto una volta ogni cinque anni (e anche non necessariamente) a chi delegare la gestione della nostra vita per il prossimo lustro, o per sempre? Per quale motivo abbiamo perduto quella capacità di indignarsi e di arrabbiarsi che è sempre stato il salvagente di ogni popolo davanti ai soprusi interni ed esterni?

Qualcuno dice che forse questo è avvenuto in quanto il benessere lo abbiamo raggiunto e perché, facendo così, ci illudiamo, di non perderne neppure un pezzetto. Ma non può bastare, anche se dovremmo renderci conto che, invece, proprio questo benessere lo stiamo distruggendo per noi, ma soprattutto per i nostri figli e nipoti. Altri teorizzano che sia inevitabile che nella storia a ogni momento di fulgore debba seguirne uno di buio. Potrà anche essere, ma la lunghezza del periodo di buio dipende soltanto da noi.

Un altro slogan che si sente stolidamente ripetere da tempo è che chi non accetta questi tipi di cambiamenti vuole tornare al passato, mentre è evidente che retrocedere nel tempo oltre che impossibile è anche stupido, come stupido è il concetto del “rottamare” a prescindere. Il progresso umano consiste da sempre nell’individuazione del male da cancellare e del bene da mantenere o migliorare. Chi nega a forza di slogan queste realtà o è uno scemo, o è un demagogo. E, per togliere ogni dubbio, io non credo assolutamente che Renzi non sia intelligente.

Pochi giorni fa abbiamo visto confermare il fatto che il primo maggio si è tramutato da festa del lavoro a giornata di rimpianto per il lavoro. Una settimana fa il 25 aprile ci ha costretti a ripensare a quanti italiani hanno immolato la loro vita per donarci una democrazia reale. E, quindi, è impossibile, ripensando a quei martiri e ai molti altri che negli ultimi settant’anni hanno onorato i loro insegnamenti, non porci altre due domande: come abbiamo fatto a permettere di tradire così tanto quei sacrifici? Come abbiamo fatto a disattendere così tanto quelle speranze?

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