martedì 25 gennaio 2022

Il dono della memoria

Ausch Nello struggente film “Il labirinto del silenzio” che rievoca il processo tenutosi a Francoforte nel 1963, il primo che ha squarciato in Germania il velo di silenzio che aveva avvolto e nascosto gli orrendi crimini nazisti di Auschwitz, il giovane sostituto procuratore che sta tentando di istruire il processo, afferma: «Josef Mengele è Auschwitz». E il procuratore capo ribatte: «Tutti quelli che hanno collaborato, tutti quelli che non hanno detto “No” sono Auschwitz.

Noi dovremmo aggiungere che ancora oggi sono Auschwitz coloro che ne negano l’esistenza, coloro che fanno il saluto romano e mettono in mostra simboli nazisti, quelli che hanno nostalgia delle camicie brune e delle camicie nere, coloro che ogni volta che sentono parlare di Auschwitz si affrettano a parlare delle foibe, come se l’accostare due atrocità potesse portarle a elidersi a vicenda nell’assurdo e disonesto tentativo di far sì che l’orrore dell’una possa ammorbidire l’orrore dell’altra, che possa azzerarle entrambe, mentre, invece, finiscono inevitabilmente per sommarsi; proprio come in matematica, dove la somma di due numeri negativi dà un risultato che, ovviamente, è ancora più negativo dei due addendi separati.

Domani sarà il Giorno della memoria proprio per ricordare il 27 gennaio 1945 quando il Lager di Auschwitz è stato raggiunto e liberato dall’esercito sovietico ed è già sconvolgente pensare che sia stata necessaria l’istituzione di una ricorrenza per far ricordare una realtà che dovrebbe essere scolpita profondamente nel cuore e nel cervello di tutti gli esseri umani e il cui ricordo, invece, è appannato, o addirittura scomparso in fette troppo larghe della popolazione.

Sbaglierò, ma ho la convinzione che se noi avessimo curato il dono della memoria ricordando costantemente Auschwitz e tutti gli altri campi di sterminio, tutte le vittime e le loro sofferenze, il dipanarsi della storia che ha portato a simili abomini, non avremmo commesso tanti errori, non ci saremmo macchiati di tante omissioni, non vedremmo traballare tante democrazie.

E oggi non staremmo a guardare l’aula di Montecitorio, durante le elezioni presidenziali, con l’unica speranza che non ne esca proprio la soluzione peggiore.

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