L’ignoranza, per mantenersi al
potere, richiede l’uso di massicce dosi di approssimazione che possano
tentare di dissimularla, anche se in realtà finiscono per metterla in
evidenza. Negli ultimi decenni abbiamo visto dilagare queste
approssimazioni fino a raggiungere, soprattutto a livello politico,
vette che un tempo sarebbero state impensabili, fino a essere la causa
di veri e propri disastri.
Tra le vittime di questa
situazione c’è certamente anche la lingua italiana che rischia di
perdere buona parte di quelle sfumature che ne hanno fatto la ricchezza e
che le hanno permesso di contribuire a elaborare pensieri ben lontani
da quelle reazioni rudimentali alle quali siamo purtroppo abituati ad
assistere. Infatti la povertà della lingua usata non può non
corrispondere a una confusione sugli obbiettivi e, quindi, a una
scarsità di risultati.
Un esempio palmare è dato dal
fatto che da tempo troppo spesso si sentono usare i termini “rivolta” e
“rivoluzione” indifferentemente, anche se, in realtà, sono cose
profondamente diverse. Se la rivolta, infatti, è localizzata, quasi
istintiva, solitamente esplosiva e limitata al raggiungimento di alcuni
risultati pratici, la rivoluzione non ha necessariamente bisogno della
violenza perché porta con sé grandi obbiettivi ideali e punta a cambiare
profondamente la società in cui si sviluppa, soprattutto dal punto di
vista sociale e, quindi, etico. E, proprio per questa sua capacità di
puntare a grandi mutamenti, finisce per coinvolgere persone di svariati
ceti sociali e si allunga su vaste estensioni di territorio. Non per
niente la conquista scientifica che tolse dal centro dell’universo la
Terra e la sostituì con il Sole, riducendone anche la supremazia
gravitazionale al solo sistema solare è definita Rivoluzione, e non
rivolta, copernicana.
Se vogliamo capire meglio la
differenza, portando esempi di oggi e guardando a tutti coloro che
protestano perché non sembra che le azioni di governo riescano a
raddrizzare un’economia massacrata anche dal Covid-19, potremmo
dividerli in due parti. I rivoltosi sono quelli che si lamentano perché i
bonus che dovrebbero compensare le perdite non arrivano, o sono troppo
scarsi; i rivoluzionari sono invece coloro che vorrebbero che la classe
politica fosse in grado di creare le condizioni perché non ci sia più
bisogno di bonus, se non in casi del tutto eccezionali.
È sicuramente naturale che ogni
categoria cerchi di recuperare in qualche maniera quanto ha perduto a
causa del coronavirus. Del tutto illecito è che la stessa categoria
denunci perdite che in due mesi superano di quattro volte abbondanti le
dichiarazioni dei redditi dell’intero anno precedente. È sicuramente
normale che il mondo politico si concentri sul modo di aiutare chi ha
subito delle reali perdite economiche. Del tutto inaccettabile è che
ancora una volta maggioranza e opposizione si impegnino e battaglino
esclusivamente sui vari tipi di bonus da dare oggi e che si
disinteressino del tutto del domani: di come progettare una scuola che
possa sopravvivere alle varie calamità, naturali o meno, che ne mettono
in dubbio la sopravvivenza; di come ridare forza e finanziamenti a una
sanità pubblica che è la sola ad aver impedito che la pandemia avesse
conseguenze ancora più catastrofiche; di come impostare una finalmente
seria e determinata lotta all’evasione fiscale che è la causa principale
del fatto che il nostro Paese è impantanato in un’immensa palude di
debiti; di come impostare una seria tutela di un territorio e di un
patrimonio architettonico e culturale che fa dell’Italia il Paese più
ricco del mondo dal punto di vista paesaggistico e artistico, ma
incredibilmente non il più visitato.
E ancora più inaccettabile è che
stia passando quasi sotto silenzio il fatto che il 20 e 21 settembre si
andrà a votare per decidere se la nostra democrazia continuerà a restare
tale, oppure se ci dirigeremo ancora di più verso il pericolo di cadere
nel baratro di un autoritarismo sempre non etico, ma diventato legale.
Se non si voterà “NO” al referendum sul taglio del 36 per cento di
deputati e senatori, infatti, non soltanto si ridurrà, senza alcunreale
vantaggio – neppure quello di un sostanziale risparmio – in
contropartita, la democrazia rappresentativa perché di reale
rappresentanza sarà molto più difficile parlare, ma ci si butterà in un
baratro senza sapere se sul fondo ci saranno, o meno, dei materassi
disposti per attenuare le conseguenze della caduta.
Senza una nuova legge elettorale
che attenui i disastri che potrebbero essere provocati dalla legge
costituzionale voluta dalla boriosa ignoranza dei 5stelle e consentita
dalla tremebonda acquiescenza degli altri partiti, infatti, il nuovo
Parlamento ben difficilmente potrebbe funzionare in maniera decente. I
grillini promettono che una nuova legge sarà fatta velocemente, ma,
intanto, avevano già promesso che sarebbe stata fatta prima del
referendum confermativo e poi c’è davvero qualcuno che crede che una
legge che possa andar bene a Di Maio e compagnia abbia caratteristiche
di finezza politica tali da cancellare i disastri creati in precedenza
da loro stessi?
Ancora una volta toccherà al
popolo opporsi alle pericolose velleità di alcuni politici. Nel 2016 c’è
riuscito. Perché il miracolo si ripeta non basterà che ognuno di noi
voti “NO”, ma servirà che si impegni a convincere tutti quelli che gli
sono vicini a fare lo stesso.
Tutti gli “Eppure…” li puoi trovare anche all’indirizzo http://g-carbonetto.blogspot.it/
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