lunedì 24 agosto 2020

Rivolte e rivoluzioni

Il quadrato bianco è la dimensione del Pil italiano, il rettangolo viola è la spesa per la "quota 100", quello giallo è la spesa per il salvataggio di Alitalia, mentre il puntino verde è il risparmio ipotizzato dai 5stelle per il Parlamento e ancora tutto da dimostrare.
L’ignoranza, per mantenersi al potere, richiede l’uso di massicce dosi di approssimazione che possano tentare di dissimularla, anche se in realtà finiscono per metterla in evidenza. Negli ultimi decenni abbiamo visto dilagare queste approssimazioni fino a raggiungere, soprattutto a livello politico, vette che un tempo sarebbero state impensabili, fino a essere la causa di veri e propri disastri.

Tra le vittime di questa situazione c’è certamente anche la lingua italiana che rischia di perdere buona parte di quelle sfumature che ne hanno fatto la ricchezza e che le hanno permesso di contribuire a elaborare pensieri ben lontani da quelle reazioni rudimentali alle quali siamo purtroppo abituati ad assistere. Infatti la povertà della lingua usata non può non corrispondere a una confusione sugli obbiettivi e, quindi, a una scarsità di risultati.
 
Un esempio palmare è dato dal fatto che da tempo troppo spesso si sentono usare i termini “rivolta” e “rivoluzione” indifferentemente, anche se, in realtà, sono cose profondamente diverse. Se la rivolta, infatti, è localizzata, quasi istintiva, solitamente esplosiva e limitata al raggiungimento di alcuni risultati pratici, la rivoluzione non ha necessariamente bisogno della violenza perché porta con sé grandi obbiettivi ideali e punta a cambiare profondamente la società in cui si sviluppa, soprattutto dal punto di vista sociale e, quindi, etico. E, proprio per questa sua capacità di puntare a grandi mutamenti, finisce per coinvolgere persone di svariati ceti sociali e si allunga su vaste estensioni di territorio. Non per niente la conquista scientifica che tolse dal centro dell’universo la Terra e la sostituì con il Sole, riducendone anche la supremazia gravitazionale al solo sistema solare è definita Rivoluzione, e non rivolta, copernicana.

Se vogliamo capire meglio la differenza, portando esempi di oggi e guardando a tutti coloro che protestano perché non sembra che le azioni di governo riescano a raddrizzare un’economia massacrata anche dal Covid-19, potremmo dividerli in due parti. I rivoltosi sono quelli che si lamentano perché i bonus che dovrebbero compensare le perdite non arrivano, o sono troppo scarsi; i rivoluzionari sono invece coloro che vorrebbero che la classe politica fosse in grado di creare le condizioni perché non ci sia più bisogno di bonus, se non in casi del tutto eccezionali.

È sicuramente naturale che ogni categoria cerchi di recuperare in qualche maniera quanto ha perduto a causa del coronavirus. Del tutto illecito è che la stessa categoria denunci perdite che in due mesi superano di quattro volte abbondanti le dichiarazioni dei redditi dell’intero anno precedente. È sicuramente normale che il mondo politico si concentri sul modo di aiutare chi ha subito delle reali perdite economiche. Del tutto inaccettabile è che ancora una volta maggioranza e opposizione si impegnino e battaglino esclusivamente sui vari tipi di bonus da dare oggi e che si disinteressino del tutto del domani: di come progettare una scuola che possa sopravvivere alle varie calamità, naturali o meno, che ne mettono in dubbio la sopravvivenza; di come ridare forza e finanziamenti a una sanità pubblica che è la sola ad aver impedito che la pandemia avesse conseguenze ancora più catastrofiche; di come impostare una finalmente seria e determinata lotta all’evasione fiscale che è la causa principale del fatto che il nostro Paese è impantanato in un’immensa palude di debiti; di come impostare una seria tutela di un territorio e di un patrimonio architettonico e culturale che fa dell’Italia il Paese più ricco del mondo dal punto di vista paesaggistico e artistico, ma incredibilmente non il più visitato.

E ancora più inaccettabile è che stia passando quasi sotto silenzio il fatto che il 20 e 21 settembre si andrà a votare per decidere se la nostra democrazia continuerà a restare tale, oppure se ci dirigeremo ancora di più verso il pericolo di cadere nel baratro di un autoritarismo sempre non etico, ma diventato legale. Se non si voterà “NO” al referendum sul taglio del 36 per cento di deputati e senatori, infatti, non soltanto si ridurrà, senza alcunreale vantaggio – neppure quello di un sostanziale risparmio – in contropartita, la democrazia rappresentativa perché di reale rappresentanza sarà molto più difficile parlare, ma ci si butterà in un baratro senza sapere se sul fondo ci saranno, o meno, dei materassi disposti per attenuare le conseguenze della caduta.

Senza una nuova legge elettorale che attenui i disastri che potrebbero essere provocati dalla legge costituzionale voluta dalla boriosa ignoranza dei 5stelle e consentita dalla tremebonda acquiescenza degli altri partiti, infatti, il nuovo Parlamento ben difficilmente potrebbe funzionare in maniera decente. I grillini promettono che una nuova legge sarà fatta velocemente, ma, intanto, avevano già promesso che sarebbe stata fatta prima del referendum confermativo e poi c’è davvero qualcuno che crede che una legge che possa andar bene a Di Maio e compagnia abbia caratteristiche di finezza politica tali da cancellare i disastri creati in precedenza da loro stessi?

Ancora una volta toccherà al popolo opporsi alle pericolose velleità di alcuni politici. Nel 2016 c’è riuscito. Perché il miracolo si ripeta non basterà che ognuno di noi voti “NO”, ma servirà che si impegni a convincere tutti quelli che gli sono vicini a fare lo stesso.

Tutti gli “Eppure…” li puoi trovare anche all’indirizzo http://g-carbonetto.blogspot.it/

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