venerdì 5 giugno 2020

Quasi fuori tempo massimo

Bastassero le dichiarazioni di buona volontà, saremmo sicuramente già a posto. Ma purtroppo non è così e non basterebbe neppure avere i soldi necessari, ammesso che ci siano, se alla base non c’è un’analisi, una scelta, un progetto, una programmazione. In Italia dovremmo ormai essere abituati a questa situazione che si perpetua, tranne che per poche virtuose interruzioni, ormai da qualche decennio, ma l’attuale situazione di crisi indotta dalle conseguenze del coronavirus sta mettendo in luce il fatto che, se mancheranno preparazione e velocità, ci troveremo davanti a veri e propri baratri anche in settori strategici per il futuro stesso nel nostro Paese.

La scuola, per esempio, sta annaspando: a tre mesi, o poco più, dalla data abituale di inizio delle lezioni non si sa ancora praticamente nulla del prossimo anno scolastico. Tutti affermano che la didattica a distanza non è un’esperienza da ripetere se non come extrema ratio, ma intanto c’è grande interesse a potenziare sia la rete, sia il parco hardware, pur sapendo bene che comunque una soluzione esclusivamente tecnologica finirebbe per aumentare le discriminazioni tra poveri e ricchi, tra abitanti di zone urbane e di paesi lontani dalle aree maggiormente abitate e, quindi, servite dal web. Si afferma che il vivere assieme nelle classi è fondamentale per la crescita complessiva dei futuri cittadini, ma intanto si medita seriamente sul come spezzettare le classi stesse. Adesso la ministra Azzolina sembra avere avuto l’illuminazione di risolvere il problema della convivenza in sicurezza riempiendo le classi di barriere di plexiglass, anche se tante divisioni non sembrano particolarmente indicate per far interagire studenti e docenti e anche se non si capisce bene da dove tirerebbero fuori i soldi gli istituti scolastici che, in parte non trascurabile, devono rivolgersi al buon cuore dei genitori anche soltanto per dotare i gabinetti di carta igienica.

E non basta, visto che nessuno ricorda, per esempio, del fatto che mentre si parla di grandi sanificazioni di edifici e di aule scolastiche, in tutt’Italia quegli stessi edifici e quelle stesse classi saranno usate per le consultazioni elettorali di settembre e per il referendum sull’insensato ma abbagliante taglio dei parlamentari. E nessuno ne parla perché mai si è pensato di liberare la scuola da questo tipo di servitù per trasferirla in altri edifici pubblici.

Sembra abbandonato, intanto il progetto dei doppi turni, una soluzione disagevole – i tre anni delle medie che allora non erano ancora unificate li ho passati andando a scuola una settimana di mattina e una di pomeriggio, però le condizioni sociali e familiari allora erano diverse – ma che si scontra soprattutto con il fatto che renderebbe ancora più evidente la carenza di docenti preparati, ma anche con la considerazione che si rivelerebbero insufficienti pure i mezzi di trasporto pubblico.

Giunge a puntino, insomma, l’appuntamento di domani mattina, sabato 6 giugno, a Udine che alle 11 vedrà cominciare in piazza Matteotti la manifestazione “A settembre vogliamo tornare tutti in classe!” in cui genitori, educatori, insegnanti e, perché no?, anche studenti si confronteranno anche per sollecitare qualche iniziativa, ma soprattutto qualche ragionamento che tenga conto dei vari problemi, e che tenti di superarli senza darsi per vinti in partenza per carenza di fondi e anche senza scaricare, come per tradizione, troppi pesi sulle famiglie che già, in gran parte, stanno attraversando momenti non facili.

Insomma, tutto è ancora in alto mare e, anche se la propaganda che per anni ha dileggiato la cultura e l’istruzione è penetrata in larghi strati della popolazione, sarebbe necessario concentrarsi pure su questo aspetto che a molti, davanti ai problemi dell’economia, della produzione e del commercio, potrebbe sembrare secondario, mentre, invece, è fondamentale per il futuro del nostro Paese e di tutti i suoi cittadini. Siamo quasi fuori tempo massimo.

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